L'incerto futuro dei servizi educativi per la prima infanzia

Al momento impegnati a (ri)organizzarsi sulla base delle linee guida per le attività estive, gli asili nido sono tra i settori maggiormente colpiti dalle conseguenze della pandemia: tra carenza strutturale nell'offerta e necessità di una maggiore sinergia con il privato, quale futuro per queste attività? 

Michaela Camilleri

I servizi educativi per la prima infanzia sono tra i settori maggiormente colpiti dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia da COVID-19, tra realtà che stanno provando a riorganizzarsi e altre che chiuderanno definitivamente (specialmente private). La diffusione del coronavirus sta mettendo in ginocchio un settore quanto mai strategico per la conciliazione tra vita familiare e lavorativa, per promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per la grande valenza educativa che ricopre. In realtà, ancor prima dell’emergenza, si assisteva a una carenza strutturale nell’offerta rispetto al potenziale bacino di utenza (bambini di età inferiore a 3 anni) e una distribuzione profondamente disomogenea sul territorio nazionale.

La situazione è ben documentata nel report «Nidi e servizi educativi per l’infanzia» curato dal dipartimento per le Politiche della Famiglia, l’Istat e l’università Ca’ Foscari di Venezia e presentato negli scorsi giorni. Dall’analisi dei dati raccolti nel report, nell’anno scolastico 2017/2018 erano attivi sul territorio nazionale 13.145 servizi educativi per la prima infanzia, per la maggior parte dei quali asili nido tradizionali (80%), nidi aziendali (2%) e sezioni primavera organizzate all’interno delle scuole d’infanzia cui possono accedere i bambini dai 24 ai 36 mesi (10%). I posti autorizzati al funzionamento risultano 354.641, di cui poco meno della metà sono all’interno di servizi privati (il 49%). Rispetto al parametro del 33% fissato dall’Unione Europea, l’Italia copre solo il 24,7% della popolazione di riferimento (bambini con meno di 3 anni). La media nazionale sintetizza situazioni molto eterogenee sul territorio, in parte riconducibili allo storico divario fra il Centro-Nord, da un lato, dove i sistemi di offerta sono più maturi, e il Mezzogiorno, dall’altro, dove la diffusione dei servizi è molto più limitata. Basti pensare che alcune regioni del Nord Italia come la Valle d’Aosta, che ha il tasso di copertura più alto in Italia (47,1%), hanno superato da diversi anni l’obiettivo del 33% mentre quelle del Mezzogiorno si collocano tutte al di sotto della media, ad eccezione della Sardegna. 

Figura 1 – Posti pubblici e privati nei servizi socioeducativi per la prima infanzia per 100 bambini di 0-2 anni (fino a 3) per regione.
Anno scolastico 2017/2018

Figura 1 – Posti pubblici e privati nei servizi socioeducativi per la prima infanzia per 100 bambini di 0-2 anni (fino a 3) per regione. Anno scolastico 2017/2018

Fonte: Report Istat “Nidi e servizi educativi per l’infanzia”, giugno 2020 

In un contesto già così precario, il futuro dei servizi educativi per la prima infanzia è tutt’altro che delineato. Solo l’11 giugno, su parere del Comitato Tecnico Scientifico, sono state estese le linee guida per le attività estive anche alla fascia 0-3 anni. Un piccolo passo in avanti, che però lascia inevasi tutti i dubbi sulla concreta riapertura dei nidi e delle scuole dell’infanzia a settembre. La realtà del Paese è fatta di strutture che devono (ri)organizzarsi alla luce dei nuovi vincoli imposti, come il rapporto di un operatore, educatore o animatore ogni 5 bambini da 0 a 5 anni, e famiglie che hanno bisogno di un servizio strutturato, che non amplifichi le diseguaglianze ma al contrario sia presente proprio laddove c’è più bisogno. 

Sotto il profilo economico, l'emergenza sanitaria ha sollevato non poche preoccupazioni per le possibili ripercussioni sulla gestione dei nidi da parte dei Comuni e delle realtà private, i quali già risentono delle mancate entrate per le rette afferenti al periodo di chiusura delle strutture educative. Come si legge anche nel citato report, in particolare il settore privato, che come abbiamo visto dai dati del citato report rappresenta quasi la metà del totale dei servizi offerti, risentirà della riduzione della capacità di spesa delle famiglie che potrebbe condizionare le iscrizioni (nonostante il temporaneo bonus per i centri estivi e la successiva riattivazione del bonus asilo nido) ma anche per il limitato sostegno in termini di ammortizzatori sociali (con la mancata proroga della cassa integrazione) rispetto al personale del settore pubblico. Emerge allora sempre più chiara la necessità di rafforzare le sinergie con il privato, ancor di più in un ambito nel quale il pubblico non riesce a soddisfare autonomamente le esigenze dei cittadini, anche continuando ad aumentare ad esempio le convenzioni e le gestioni affidate ai privati.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

30/6/2020

 

 
 

Ti potrebbe interessare anche