Povertà educativa e sociale: che fare?

Dai dati delle principali organizzazioni nazionali e internazionali emerge che a una riduzione della "povertà educativa e sociale" corrisponderebbe una riduzione proporzionale della "povertà economica", con ricadute positive sia per i singoli individui sia per la spesa pubblica. Analisi e spunti di riflessione del Prof. Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Alberto Brambilla

Le statistiche delle organizzazioni nazionali e internazionali (OMS) indicano che a una riduzione della “povertà educativa e sociale” (PEeS) corrisponde un'altrettanta diminuzione della “povertà economica”, con enormi vantaggi per la realizzazione del percorso umano di ogni singolo individuo, per la spesa pubblica e quindi, in definitiva, per lo sviluppo di ogni Paese. Ma come si può vincere la sfida culturale della PEeS ?

Il premio Nobel per l’Economia 2017, Richard H. Taler, invita la politica e la classe dirigente ad adottare, accanto alle classiche politiche assistenziali sempre meno efficaci, la cosiddetta “spinta gentile” - NUDGE, per aiutare i cittadini - che spesso per carenze culturali e sociali (di nuovo la PEeS) o anche per semplice impulsività, adottano comportamenti e scelte sbagliate - ad assumere atteggiamenti, decisioni e soluzioni più convenienti per loro stessi  e per la società; il tutto nel rispetto del diritto di ciascuno. E come? Prevedendo norme e leggi che orientino i cittadini stessi verso opzioni di default.

Per il nostro Paese tutto ciò implica un vero e proprio “progetto culturale e sociale” che, uscendo dai classici schemi risarcitori e assistenziali (erogazione di sussidi pubblici e solidarietà filantropica), coinvolga tutte le organizzazioni pubbliche e private. A partire dalla scuola, con la reintroduzione dell’educazione civica obbligatoria, con una votazione che “faccia media” in tutti i livelli di istruzione fino alle superiori; una spinta gentile che induca ad apprezzare la grande convenienza a comportarsi in maniera civile nelle relazioni sociali. Ma non solo educazione civica, anche educazione al lavoro e all’inserimento sociale attraverso test e dialoghi al fine di indirizzare i giovani in funzione delle loro attitudini personali e meno ai “desiderata” dei genitori; in questa attività il collegamento con le organizzazioni del commercio, artigianato, agricoltura e servizi e con le professioni (si pensi agli psicologi e ad altre categorie) è fondamentale anche per una corretta alternanza scuola-lavoro.

Lo scollamento tra educazione e mondo del lavoro è oggi alla base del fenomeno dei NEET e dell’alta disoccupazione giovanile che creano, appunto, povertà economica che si “autoalimenta”. E, invece, si tratta di povertà educativa perché, a fronte di questi fenomeni (che peraltro hanno pesanti effetti collaterali di tipo educativo e di progetto di vita), ci sono nel nostro Paese oltre 800.000 posti scoperti cioè posizioni lavorative che non si riesce a coprire per mancanza delle specializzazioni richieste. Su questo tema anche Anpal (la nuova agenzia nazionale per il lavoro) deve avere un ruolo importante nel creare (nonostante l’esito negativo del referendum costituzionale che intendeva accentrare a livello statale questa funzione) una vera e propria “rete nazionale” d’incontro tra domanda e offerta anche con indicazione delle posizioni che saranno più richieste in futuro nella nostra società in rapido cambiamento. Con il supporto di Ministero del Lavoro e Anpal si dovrà altresì prevedere la formazione e la riqualificazione dei disoccupati, di coloro che sono in cerca di lavoro, di quelli che si vogliono migliorare attraverso veri e propri progetti che però devono legare l’erogazione di sostegni economici a prestazioni reali che i soggetti assistiti devono dare in contropartita alla società; in questo campo si devono mobilitare i progetti dei privati, del terzo settore e degli enti locali. Insomma, trasformare un problema in una risorsa.

E poi ci sono i fenomeni derivati dalla PEeS che, a loro volta, incrementano la povertà economica e deprimono il senso stesso della vita, soprattutto tra le classi meno abbienti, i pensionati con redditi modesti e coloro che hanno una bassa scolarizzazione; tra queste deviazioni, che sono il frutto della povertà educativa: l’alcolismo, soprattutto giovanile; il gioco d’azzardo per il quale quasi la metà degli italiani investe 96 miliardi l’anno (un vero record mondiale e siamo al primo posto per rapporto spesa per gioco su reddito pro capite); le droghe (oltre 14 miliardi l’anno); le spese per maghi e cartomanti (oltre 14 milioni di utenti per un costo tra i 6,5 e i 10 miliardi l’anno). Il tutto considerando che si tratta di cifre per difetto dato che una buona parte è irregolare e nelle mani della criminalità organizzata.

È più che ragionevole stimare che una riduzione di un terzo di ludopatie, alcolismo, droghe, ridurrebbe di oltre il 20% la povertà economica e migliorerebbe il Pil nazionale. Occorre quindi una grande mobilitazione partendo tuttavia da un presupposto fondamentale: “Insegnare a tutti che non esistono i diritti se non ci sono doveri e che sono proprio i doveri a poter garantire i diritti”. E oltre lo Stato? Per raggiungere questi obiettivi, oltre alle attività filantropiche, occorrono anche interventi innovativi del settore privato, opportunamente incentivati, quali gli investimenti a impatto sociale (social impact investment) attraverso i SIB (social impact bond), il pay by result, il microcredito e gli investimenti in Silver Economy.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Per approfondire...

Dalla filantropia agli investimenti veri e propri con scopi sociali  a favore di situazioni di necessità e/o miglioramento di determinate fasce di popolazione; dagli enti dediti a opere pie a investitori istituzionali previdenziali con necessità di fare investimenti che generino vantaggi a fasce di popolazione o ai propri iscritti ma che nel contempo producano il rendimento obiettivo necessario per il “core business” cioè il pagamento di prestazioni sociali, “la promessa pensionistica”.

Alla filantropia basta raggiungere il primo step: miglioramento di una situazione e sollievo per una fascia di persone. E questo è anche lo scopo delle fondazioni di origine bancaria che ogni anno erogano oltre 400 milioni per una serie di interventi nei campi sociali e dei beni ambientali, artistici e culturali. Tuttavia nel loro stupendo progetto di lotta contro la povertà educativa (noi abbiamo aggiunto: “e sociale”) hanno ottenuto un grande riconoscimento dal Governo con l’applicazione di un credito d’imposta pari al 75% delle somme erogate (120 milioni poi altre 2/3 trance da 100 milioni); in Legge di Bilancio 2018 per le nuove iniziative (i nuovi bandi per bambini fino a 5 anni e per le fasce di età intermedie) è stato previsto un credito d’imposta pari al 65% di quanto erogato. Per queste istituzioni che agiscono in modo filantropico (erogazioni a fondo perduto), si tratta di un grande risultato che consente di recuperare i ¾ dell’intervento aumentando così la potenzialità di azione. In questo caso un protocollo con il Governo ha consentito di generare un’azione a forte impatto sociale e un ritorno importante sull’investimento.

Per le Casse Privatizzate e per gli operatori previdenziali istituzionali occorre percorrere le ultime due miglia: la prima per raggiungere il 100% del recupero dell’investimento; la seconda per aggiungerci un minimo di remunerazione dato che si tratta di soldi versati dagli iscritti per poter ottenere poi una prestazione pensionistica o assistenziale.

Accanto a investimenti di questo tipo sono praticabili altri modelli tra i quali il pay by result. Ma come funziona il modello “pay by result”: Un social impact bond, che si basa sul modello “pay by result”, è un’obbligazione con cui il settore pubblico raccoglie investimenti privati per pagare chi gli fornisce servizi di welfare. Come accade con le comuni obbligazioni, chi acquista un social impact bond ha diritto, a una determinata scadenza, a riavere indietro il capitale prestato più una quota di interesse. La differenza sta però nel fatto che la remunerazione del capitale investito viene agganciata al raggiungimento di un certo risultato sociale; infatti risolvere un problema sociale significa evitare un costo per la società. È proprio questo risparmio a mettere la pubblica amministrazione nelle condizioni di remunerare gli investitori. Il primo esperimento risale al 2010 in Inghilterra: per sostenere il reinserimento di 3mila detenuti del carcere di Peterborough, diciassette investitori acquistano social impact bond per un valore di 5 milioni di sterline, accettando di ricevere un pagamento solo se il tasso di recidiva dei detenuti sia sceso del 7,5 per cento. Altri esempi esempio riguardano gli studenti fuori (investimenti sociali per ridurre il numero dei fuori corso con vantaggi per gli studenti, le loro famiglie e la scuola), l’invecchiamento attivo degli anziani e tutto ciò che ruota attorno alla cosiddetta Silver Economy, il terzo settore e una interrelazione tra tutti questi soggetti per aumentare il successo delle iniziative.

7/3/2018

 
 

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