Silver Economy: non una questione di se, ma di quanto e come

I trend demografici sono inesorabili: la società italiana sta invecchiando, e invecchierà sempre più. Ecco perché diventa cruciale comprendere esigenze e bisogni delle persone che stanno vivendo una "seconda giovinezza" o una "terza età"

Giovanni Gazzoli

Che la Silver Economy sia uno dei temi-chiave del futuro (se non già del presente), non è più una questione di se, ma di quanto e di come. Come sempre, non c’è miglior modo per adottare una visione sul futuro di quello di partire dalla realtà presente, che in questo caso corrisponde ai dati demografici attuali e in proiezione.

Come ha ricordato il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, il Professor Alberto Brambilla, in un'audizione presso la Camera dei Deputati riferendosi allo scenario italiano, l’Istat ha evidenziato per il 2018 un aumento della speranza di vita alla nascita che, unito al calo della popolazione residente, ha generato una crescita della popolazione anziana, che all'1 gennaio 2019 consiste di 13,8 milioni di individui over 65 anni, ossia il 22,8% della popolazione italiana, di cui 2,2 milioni (3,6%) over 85. In futuro, peraltro, il trend si accentuerà. Se allarghiamo l’orizzonte allo scenario europeo, la situazione non è molto diversa. In un report della Commissione Europea si evidenzia come nel 2015 ci fossero 199 milioni di persone sopra i 50 anni, ossia il 39% della popolazione totale.

Non è sfuggita all’attento lettore la differenza di parametro tra Istat (over 65 anni) e Commissione Europea (over 50): effettivamente, la questione dell’identificazione di un’unanime definizione della platea di riferimento e della stessa Silver Economy in generale (o quanto meno del suo perimetro) è uno dei tasti dolenti di questo discorso. Dunque, tenendo comunque a mente le difficoltà che conseguono da questa mancanza di universale uniformità, si farà qui riferimento alla definizione della Commissione, che parla di Silver Economy come della “somma delle attività economiche che rispondono ai bisogni delle persone con 50 o più anni di età, inclusi anche i prodotti e servizi di cui queste persone usufruiscono direttamente e l’ulteriore attività economica che questa spesa genera”.

Se la componente “silver” risulta evidente alla luce di questi numeri, potrebbe eventualmente restare qualche dubbio circa la convenienza di parlare di “economy”: ebbene, ci viene in aiuto lo stesso report della Commissione Europea: se la Silver Economy fosse uno Stato sovrano, la sua economia si posizionerebbe, per dimensioni, alle spalle solo di Stati Uniti e Cina. In totale, infatti, questi individui nel 2015 hanno consumato 3,7mila miliardi di euro in beni e servizi, contribuendo per 4,2mila miliardi di euro al PIL europeo e sostenendo 78 milioni di posti di lavoro in tutta l’Unione. Numeri che conoscono un’inesorabile crescita, stimata in un 5% annuo (superiore a tutte le grandi economie del mondo, eccetto Cina e India), principalmente per l’aumento della popolazione di riferimento che, nel 2025, si attesterà intorno ai 222 milioni di persone (42,9% del totale).

Se dunque è abbastanza chiaro il quanto, e scontato il se, resta da sviscerare il come. Sono infatti potenzialmente infinite le declinazioni che tale business può assumere. Per aiutarci in questa “selva oscura”, può tornare in aiuto una macro-distinzione che separa la componente legata alla “terza età” da quella rientrante nella “seconda giovinezza”. In modo abbastanza intuitivo, queste definizioni distinguono gli anziani che per motivi fisici o psicologici sono più legati a una fruizione “passiva” di beni e servizi dedicati e che, quindi, rientrano nel ragionamento della non-autosufficienza, dell’assistenza domiciliare e del mondo sanitario, da quelli che invece godono di una salute psico-fisica tale per cui la “vecchiaia” è soprattutto l’opportunità di usufruire del tempo libero successivo al pensionamento.

In particolare, è interessante analizzare questa seconda categoria, la cui produttività deve essere incoraggiata e sviluppata, non frustrata. In sostanza, si tratta di concentrarsi su due aspetti che caratterizzano gli “anziani-giovani”: la possibilità di lavorare e la volontà di consumare.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è evidente come sia da incentivare il lavoro successivo alla maturazione dei requisiti per andare in pensione. Spesso, la convenienza economica di liberarsi di un senior per un giovane neolaureato non compensa la perdita di esperienza; uno dei temi cruciali, dunque, è la formazione dei profili senior, in vista di una ri-educazione che li tenga aggiornati – ad esempio – con gli sviluppi tecnologici. Per questo, si stanno sviluppando sempre più le cosiddette “Università della Terza Età”, che mirano ad aumentare l’attrattività di questi profili senior proprio tramite la formazione, oltre ovviamente a generare un beneficio psico-fisico per l’anziano, che resta agganciato al mondo che lo circonda. Effettivamente, tra i dieci principi che rendono un’Università “age frendly”, ci sono il supporto alla volontà di iniziare una seconda carriera, l’apprendimento intergenerazionale l’implicarsi attivamente nella comunità.

Inoltre, diversi studi dimostrano le grandi potenzialità delle start-up avviate da ultra 50enni: gli olderpreneurs hanno una competenza, un’esperienza e una rete di contatti frutto di una vita lavorativa passata che generano per la nascente attività una sopravvivenza maggiore della media delle start-up. A questo, si aggiunge una disponibilità maggiore di capitali da investire nell’impresa, nonché un maggior tempo libero da dedicare. Sarà per questi motivi che, come ha rilevato Barclays in UK, negli ultimi anni la proporzione degli over 55 che ha avviato una propria attività è cresciuta del 140%. Insomma, si sono menzionati solo pochi flash di quello che è un tema incredibilmente ampio e che va decisamente in contrasto con una visione genericamente passiva degli anziani, quale l’introduzione del divieto di cumulo per i pensionati sembra voler favorire.

Parlando invece dell’altro lato della medaglia della “seconda giovinezza”, ci si deve concentrare sugli anziani “consumatori”, ossia coloro che, dopo una vita spesa a lavorare, avendo maturato la tanto agognata pensione decidono di usufruire pienamente del tempo libero. Qui ha un ruolo preponderante il cosiddetto Silver Tourism: tutti i trend dimostrano una crescita costante degli over 50 in merito alla proporzione di coloro che intraprendono viaggi turistici, ma anche più in generale di coloro che impiegano attivamente il tempo libero. Nello specifico, la Commissione parla di 140 milioni di turisti over 60 attesi in Europa nel 2030, il quadruplo di quelli del 2010; la maggior parte arriverà da Asia, poi Europa, Nord e Sud America. Un incremento notevole, se si pensa che solo nel 2013 hanno viaggiato 76 milioni di over 65, quasi la metà del totale, mentre oltre l’80% dei turisti over 50 considera che almeno fino a 75 effettuerà viaggi.

Pertanto, sono state identificate alcune caratteristiche che differenziano le esperienze ricercate da questa fetta di popolazione dalle altre: viaggi di lusso, crociere, visite a familiari o amici, soggiorni in centri-benessere e beauty farm, viaggi culturali e turismo medico. Ciò che manca a molti attori di questo segmento di mercato, è l’ideazione di un’offerta commerciale costruita proprio su tali bisogni, piuttosto che un semplice affidarsi a campagne di marketing che strizzano l’occhio a questa popolazione.

In generale, la Commissione Europea sta lavorando a una roadmap sul Silver Tourism che aiuti le aziende nell’agguantare l’opportunità di crescita: questi implica rispondere ai bisogni di migliori infrastrutture, trasporti accessibili – specialmente a cavallo dei confini nazionali - hotel age-friendly e soluzioni tecnologiche inclusive, o anche solo l’inclusione di una specifica assistenza medica nei pacchetti di viaggio.

In conclusione, la tanto temuta sfida dell’invecchiamento sta diventando sempre più oggetto di una visione onnicomprensiva e strategica, che la consideri più alla stregua di un’opportunità mediante il coinvolgimento di innovazioni tecnologiche e sociali. Una visione che, parafrasando chi di sguardo sul futuro certo non difettava, non si curi delle prossime elezioni quanto delle prossime passate generazioni.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

24/10/2019

 
 

Ti potrebbe interessare anche