Finanza sostenibile in Europa: trend e prospettive future

Il mercato della finanza sostenibile prosegue il suo percorso di sviluppo anche grazie alla spinta dei grandi accordi internazionali su clima e sostenibilità: come si colloca l'Italia all'interno del contesto europeo? E quali le prospettive future per la finanza SRI di Italia e Unione Europea?

Paolo Novati

A seguito dell’accordo di Parigi, l’Unione Europea si è impegnata a promuovere il passaggio a una crescita economica sostenibile e inclusiva ponendosi obiettivi in ambito climatico ed energetico da realizzare entro il 2030. 

In questo contesto, si collocano dunque le recenti iniziative in materia di finanza sostenibile dell’Unione, cui è stato peraltro dedicato anche un evento nel corso dell'ultima Settimana SRI promossa dal Forum per la Finanza Sostenibile, "SRI in Europe", occasione anche per anticipare i dati sul mercato italiano raccolti nell'ambito dell'European SRI Study 2018, la ricerca biennale coordinata da Eurosif, l'associazione che promuovere la pratica dell'investimento sostenibile in ambito europeo. Lo studio biennale sarà peraltro presentato nella sua versione completa proprio quest'oggi a Bruxelles. 

Nel rapporto viene dunque rilevato il capitale investito in SRI, dettagliandone le tipologie ed evidenziando le tendenze del settore sia a livello europeo che nazionale. In particolare, con riferimento ai dati nazionali l’Italia si piazza nelle prime posizioni per investimenti SRI: il mercato del Paese continua in particolar modo a essere guidato dagli investitori istituzionali, soprattutto compagnie assicuratrici e operatori previdenziali. Allo stesso tempo, si rileva poi un crescente interesse anche da parte dei cosiddetti piccoli risparmiatori, tanto che nota non proprio positiva segnalata nel corso della presentazione è  la  scarsa offerta di prodotti ESG/SRI, pur a fronte di una richiesta ormai elevata da parte degli investitori sia retail sia istituzionali. 

Per quanto riguarda invece le strategie utilizzate per declinare gli investimenti sostenibili e responsabili si osserva una crescita significativa e generalizzate, con la sola eccezione (in linea con la tendenza europea) della selezione basata su convenzioni internazionali, che rimane comunque la terza più diffusa nel Paese. Esclusioni ed engagement si confermano in ogni caso, rispettivamente con circa 1.450 e 135,7 miliardi di euro di masse, le strategie maggiormente adottate in assoluto. In particolar modo, è proprio l’engagement a mostrare una solida crescita: alla base di questo notevole incremento (+213% rispetto al 2015) soprattutto un rinnovato interesse degli investitori istituzionali a influenzare le politiche di sostenibilità delle aziende investite.

Ampio spazio nel corso dell'evento è stato poi dedicato al “Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile” lanciato dalla Commissione Europea a marzo 2018 e il cui complementato dovrebbe essere realizzato entro l’ottobre 2019, data quest'ultima che suscita qualche apprensione anche in virtù del suo essere subito successiva alle elezioni del maggio 2019 e che ha quindi portato qualche relatore ad augurarsi un completamento anticipato alla prossima primavera.

Nello specifico, il piano di azione si prefigge l’obiettivo di contribuire alla “transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio” e alla costruzione di una “economia circolare”, perseguendo contemporaneamente “nuove opportunità di occupazione e investimento”, come condizioni per la “crescita economica”. Si tratta pertanto sostanzialmente di un insieme di iniziative volte a:

  • aumentare i capitali in investimenti sostenibili;
  • gestire efficacemente i rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici, al consumo di risorse, al degrado ambientale ed alle forti disuguaglianze sociali;
  • migliorare la trasparenza;
  • incoraggiare l’approccio di lungo periodo.

Tra le iniziative maggiormente significative va però indubbiamente rilevata l’introduzione di una “tassonomia SRI”, vale a dire di un unico sistema di classificazione dei prodotti e servizi “sostenibili” che consenta agli operatori di individuare facilmente e con chiarezza quelli SRI (Sustainable and Responsible Investment). A questo si aggiunge l’opportunità di aggiornare le direttive MIFID II e IDD prevedendo l’inclusione dei criteri ESG nei test di adeguatezza dei prodotti. Ulteriori provvedimenti potrebbero riguardare poi una maggiore trasparenza nella rendicontazione non finanziaria delle imprese, oltre alla valorizzazione strategica di un approccio di lungo periodo nei processi decisionali dei Consigli di Amministrazione.

Il tutto con un preciso auspicio: che il processo innescato dall’Action Plan non si fermi in quanto base per un nuovo modello di sviluppo, strumento tecnico per la sua stessa attuazione e, forse, ultima occasione per l'Unione Europea di tornare al centro della scena mondiale.

Paolo Novati, Senior Advisor Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

26/11/2018

 
 
 

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