Investire sì, ma responsabilmente!

Anche a livello nazionale si diffonde sempre di più l’attenzione degli investitori verso soluzioni di investimento sostenibile: approfondiamo allora trend e peculiarità di ESG, SRI e impact investing 

Niccolò De Rossi

Il 22 Marzo 2018 si è tenuto a Bruxelles l’evento di presentazione dell’Action Plan sulla finanza sostenibile della Commissione Europea. È da tempo infatti che a livello europeo vi è la chiara volontà di incentivare una moderna visione di investimento, che passa evidentemente attraverso la forte presa di coscienza che anche la finanza deve e può contribuire alla realizzazione di un “mondo migliore”, senza tra l’altro rinunciare al rendimento.

Il documento menzionato recepisce gran parte delle raccomandazioni dell’High-Level Expert Group in Sustainable Finance (gruppo di esperti costituito dalla Commissione Europea con il compito di elaborare linee guida per lo sviluppo della finanza sostenibile in Europa), evidenziando quali saranno i prossimi step che Bruxelles compirà per rafforzare il ruolo della finanza nel proiettarsi verso un’economia sostenibile. Indirizzare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili, incrementare la trasparenza e adottare gestioni efficienti per controllare i rischi finanziari derivanti da disuguaglianze sociali, degrado ambientale, cambiamento climatico, sono solo alcune delle iniziative che verranno quindi portate avanti nei prossimi anni. Se, da un lato, vi è un'evidente intenzione da parte delle istituzioni europee di promuovere attivamente e consolidare lo sviluppo di best practice per investire responsabilmente, dall’altra molto spesso, soprattutto a livello nazionale (non tanto per i grandi investitori quanto più per il panorama retail), manca ancora una consolidata conoscenza tra le svariate “sigle” e definizioni che identificano le modalità di selezione, valutazione e possibilità di investimento.

Disegnare un quadro un po' più chiaro ci consente di compiere il primo passo verso una visione di investimento consapevole, considerando inoltre che i criteri di valutazione ESG, le strategie di investimento SRI e, in generale, gli investimenti a impatto sociale trovano sempre più spazio nelle politiche di investimento degli investitori istituzionali italiani.

L’Environmental Social and Governance, meglio conosciuto con il più semplice acronimo ESGindica una serie di criteri di valutazione ambientali, sociali e di governance che vengono utilizzati, accanto ai tradizionali parametri finanziari, per la valutazione a 360 gradi di un titolo e del relativo emittente. L’attenzione all’ambiente passa certamente attraverso la valutazione di rischi quali emissioni di CO2, inquinamento dell’aria e dell’acqua, i cambiamenti climatici e tutti quelli collegabili alla sfera dell’efficientamento energetico e dell’inquinamento in senso ampio. Il secondo criterio, che afferisce alla sfera sociale, pone l’accento sull’inclusione nelle valutazioni di investimento delle politiche di genere, della gestione del rapporto con i dipendenti dell’azienda e i relativi standard lavorativi, il rispetto dei diritti umani ed i rapporti con la comunità civile. Il terzo criterio, ma non per importanza, fa riferimento alle pratiche di governo societarie (comprese le politiche retributive del management dell’azienda), la composizione del consiglio di amministrazione, le procedure di controllo e tutti i comportamenti dei vertici e dell’azienda in relazione al rispetto delle leggi e dalla professionalità da esercitare verso la pluralità degli stakeholders.

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Sono dunque molteplici i campi di indagine su cui l’investitore può volgere lo sguardo anche se non vi è ancora una classificazione univoca; un punto di riferimento può essere individuato nei principi promossi dalle Nazioni Unite, i Principles for Responsible Investment (PRI), che sono stati sottoscritti su base volontaria da più di 1300 società dell’industria finanziaria per un ammontare di asset in gestione superiore a 60 mila miliardi e che consentono quindi di includere i criteri ESG sopra menzionati nell’analisi e nei processi di selezione dell’investimento. Ad esempio, a livello nazionale, i fondi pensione negoziali hanno ricoperto un ruolo pionieristico nell’utilizzo e nell’incentivazione dei criteri ESG per la valutazione dei propri investimenti, facendo rientrare quasi sempre come requisiti richiesti, per l’assegnazione dei mandati di gestione, quelli della sostenibilità. L’engagement sembra essere l’approccio preferito dai fondi pensione che infatti incoraggiano ad incrementare il dialogo con le imprese su aspetti connessi alla sostenibilità, con il fine di incentivare l’utilizzo di buone pratiche e comportamenti virtuosi.

Proprio nella selezione degli investimenti, gli SRI (Social Responsible Investments) rappresentano strategie che affiancano e integrano la valutazione finanziaria con criteri ESG nella scelta di imprese e istituzioni a fini selettivi. Attraverso gli SRI si fa quindi riferimento a forme di investimento che mirano, accanto alla necessaria ricerca di rendimento, a generare valore aggiunto anche a livello ambientale e sociale. All’interno delle strategie SRI possono essere individuate diverse modalità di applicazione delle stesse: (i) un approccio “best in class”, che predilige e premia, a prescindere dal settore di appartenenza, tutte quelle società che dimostrano un costante impegno nello sviluppare il proprio business secondo le sfide dello sviluppo sostenibile, convogliando esclusivamente su di esse le risorse investibili; (ii) un approccio ad “esclusione”, il quale applica filtri negativi, volto ad escludere a priori determinati settori di attività considerati in contraddizione con lo spirito “responsabile” della strategia di gestione (armi, alcolici, lavoro minorile); (iii) un approccio più normativo, in cui vengono selezionate quelle controparti che dimostrano di operare secondo i sopracitati principi delle Nazioni Unite come la tutela dei diritti umani e la protezione verso l’ambiente in generale. Tali strategie risultano essere sempre più gradite dagli investitori istituzionali, ma il processo interessa in modo pervasivo anche le SGR; a dimostrazione di quanto detto sono in crescita le percentuali relative alla scelta di fondi cui vengono assegnati punteggi alti per la loro “sostenibilità” (il 42% circa dei comparti sostenibili si collocano nel range 4-5 stelle Morningstar) rispetto a quelli più “tradizionali”, denotando, seppur con approcci differenti, una specifica volontà di connotarsi come investitori responsabili.

All’interno quindi dell’ampia famiglia degli investimenti responsabili possiamo annoverare quelli cosiddetti a impatto sociale, gli “impact investing” appunto. Questi investimenti si basano sull’assunto che i capitali debbano essere convogliati verso progetti che perseguano uno scopo sociale che si affianchi così alla mera ricerca del ritorno economico e che possano di conseguenza portare a un miglioramento tangibile da una platea molto vasta. La finanza a impatto sociale può ad esempio fungere da volano per il miglioramento dell’efficienza della spesa pubblica in tema di welfare (interventi di natura preventiva), attrarre nuove risorse da allocare verso investimenti in aree troppo spesso dimenticate quali la cura degli anziani e dell’infanzia, il disagio abitativo, il reinserimento dei detenuti o può arrivare a incentivare lo sviluppo dell’imprenditorialità sociale. L’obiettivo di tali investimenti è in definitiva quello di finanziare progetti a impatto sociale per sostenere in modo efficace una pluralità di categorie spesso svantaggiate a livello economico e sociale migliorando così la qualità della vita dell’intera collettività. Anche su questo fronte gli investitori istituzionali nostrani sono sempre più attivi nel considerare e porre in essere investimenti che impattano, tra l’altro, nell’economia reale del Paese, ad esempio investendo in housing sociale, strutture sanitarie, ottenendo così il duplice scopo di diversificazione ed impatto sociale sul territorio.

Alla luce di quanto detto, è chiaro come vi sia un forte bisogno di arricchire la “tradizionale” analisi finanziaria a fini selettivi con criteri ESG, applicare strategie di investimento sostenibili, individuare e finanziare quegli ambiti sociali che troppo spesso vengono dimenticati dai grandi investitori, potendo tra l’altro accedere a buoni ritorni economici e molto spesso a tanta diversificazione in portafoglio. Come scrivevamo in apertura, “investire sì, ma responsabilmente”!

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/8/2018

 
 
 

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