La vita oltre il QE: prospettive per gli investitori istituzionali

In vista del tramonto delle politiche monetarie di QE e con la diffusa ripresa economica si apre un nuovo capitolo che chiederà grande proattività agli investitori istituzionali. Quali aspettative dagli scenari economici e finanziari previsti per il 2018?

Irene Vanini

Nell’era del tasso zero, favorita dall’accomodante politica monetaria della Bce (e prima ancora dalle banche centrali di Giappone e USA) la gestione dei patrimoni diventa materia sempre più complessa. È questa un’ottima ragione per chiedersi quanto questa situazione sia destinata a durare, per quanto tempo i tassi dei titoli obbligazionari rimarranno così bassi, anche e soprattutto in vista del cambio al vertice della Bce. Già lo scorso 5 febbraio Wall Street e altre borse internazionali hanno registrato un ribasso record, probabilmente indotto anche dal “mix americano”: il piano fiscale di Trump potrebbe infatti innescare nuova inflazione e quindi un rialzo dei tassi Usa. In questa situazione di incertezza, le buone performance degli anni scorsi rappresentano un’incognita del prossimo futuro e rendono urgente una strategia per garantire redditività in linea tanto con gli obiettivi di legge quanto con le esigenze delle singole gestioni.

Il 2016 si era chiuso con una media quinquennale del Pil pari a 0,514%, un’inflazione pari a -0,1% e un TFR al netto della tassazione pari a 1,245%. Come nei passati dieci anni, i rendimenti ottenuti dai fondi pensione e dagli investitori istituzionali, pur in leggero calo, si sono mantenuti ben sopra i rendimenti obiettivo. Nel 2017 questi stessi indici si sono attestati rispettivamente a circa 0,431% (poiché sono entrati in media i Pil negativi del 2012 –1,48% e 2013 –0,54%), 1,2% e 1,99%. Di contro, i rendimenti medi (media ponderale delle diverse linee di investimento) ottenuti dai fondi pensione negoziali, preesistenti e Pip (fondi aperti esclusi) si sono ridotti, soprattutto a causa degli scarsi risultati del comparto obbligazionario. Infatti, le linee garantite (sulle quali peraltro grava il problema della mancanza di soggetti gestori) e quelle obbligazionarie, nonché la bilanciata dei Pip, presentano risultati molto inferiori rispetto ai benchmark inflazione e TFR. Invece, grazie alle buone performance dei mercati azionari nazionali e internazionali, le linee misti, bilanciati e azionari hanno presentato risultati molto positivi. L'Istat conferma per il 2017 un contesto di ritorno all'inflazione: nel corso dell'anno i prezzi sono saliti in media dell'1,2% (dopo il -0,1% del 2016). Tuttavia, l’obiettivo indicato dalla Bce era quello di portare la dinamica dei prezzi vicina al 2% ed è bene ricordare che Draghi non ha certo usato parsimonia del dispiegare i mezzi per raggiungerlo. Il dato è da considerarsi scarso soprattutto alla luce dell’inflazione di fondo, ovvero quella misurata al netto delle componenti variabili come energia e alimentari freschi, che si attesta a +0,7% (poco più del +0,5% del 2016).

Le previsioni per il 2018 suggeriscono una prosecuzione del rialzo dei rendimenti obiettivo, ma è probabile che fino almeno a ottobre i tassi d’interesse del fixed income rimangano bassi (laddove non nulli). I prezzi delle obbligazioni e dei titoli di Stato si prevedono ai massimi, ma i mercati azionari saranno molto volatili e, salvo le visioni positive per Europa e Giappone, anche meno performanti. Queste previsioni non stupiscono se si pensa che la Bce estinguerà le politiche di QE e che probabilmente anche la Fed, sotto la guida di Jerome Powell, adotterà una strategia nuova.

La scarsità di rendimento obbligazionario si riflette anche sulle gestioni garantite offerte da tutti i fondi pensione negoziali oltreché da gran parte dei preesistenti (anche al fine di raccogliere il TFR tacito previsto dal d.lgs. 252/2005). Fino a poco tempo fa la gestione di questo comparto otteneva rendimenti generalmente superiori alla rivalutazione del TFR. Tuttavia questa linea inizia a vacillare, poiché (come è recentemente capitato al fondo complementare Inpgi) i gestori non intendono rinnovare le condizioni in essere e i bandi per sostituirli vanno deserti. Il combinato europeo di QE e Solvency 2, influendo sui rendimenti, ha scoraggiato le società di gestione dall’avventurarsi in un terreno non più solido come lo era la gestione garantita (garanzia di restituzione del capitale e di un rendimento vicino al TFR).

L’attività dei gestori sembra dunque prospettarsi complessa nei mesi a venire. Le performance cui tendere dovranno infatti essere in linea con un’inflazione attorno al 1,2% (secondo cui ricalibrare le risorse destinate alle pensioni), un parametro obiettivo di TFR del 1,99% al netto delle imposte, una media quinquennale di Pil al +1,138%. Quest’ultimo valore è di molto superiore ai quelli degli ultimi anni, che avevano consentito alle tante casse previdenziali che adottano il metodo contributivo di superare agevolmente l’asticella. Le stime restituiscono inoltre un Pil reale è stimato attorno all’1,4% e un Pil nominale attorno al 2,5% per cui sostituire i titoli in scadenza con nuove emissioni o con strategie alternative sarà una sfida impegnativa, tanto più se si tiene conto che l’esposizione al mercato obbligazionario è molto alta sia per i fondi negoziali sia per i preesistenti.

Irene Vanini, Itinerari Previdenziali

27/02/2018

 
 

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