Nuove incognite e vecchie certezze per gli investitori istituzionali italiani

I timori per la diffusione di nuove varianti di SARS-CoV-2 pesano sul consolidamento della ripresa economica in corso ma il possibile ritorno dell’inflazione e la risalita dei tassi di interesse sono le altre variabili che anche gli investitori istituzionali dovranno gestire nel breve medio termine

Niccolò De Rossi

Probabilmente la fase più acuta della crisi sanitaria ed economica è alle spalle. A ben vedere però le previsioni di una ripresa solida e duratura dovranno fare i conti con più di qualche incognita all’orizzonte. Se la campagna vaccinale ha consentito un (parziale) ritorno alla normalità con la ripartenza di quasi la totalità delle attività economiche e produttive, la diffusione della “variante delta” lancia un segnale d’allarme per il prossimo futuro. Ma non solo. Gestita e superata l’onda d’urto di questi primi 18 mesi, i diversi Paesi iniziano a interrogarsi, neanche troppo sommessamente, sulla possibilità di ridurre gli aiuti monetari che hanno sostenuto le economie in questo difficile periodo, rischiando però di raffreddare la ripresa.

C’è poi l’inflazione che dopo anni di assenza torna a crescere e condizionerà le riflessioni di BCE e FED sul graduale rialzo dei tassi di interesse e sul possibile alleggerimento del Quantitative Easing. In un quadro così complesso e di difficile lettura ancora una volta le decisioni di politica monetaria giocheranno un ruolo fondamentale: per le economie, per i mercati finanziari e, di conseguenza, per tutti gli investitori. 

Ma come si sono comportati gli investitori istituzionali durante questo complesso periodo? Partendo da lontano, nonostante le ricorrenti crisi finanziarie che si sono susseguite tra il 2008 e il 2019 (da ultima quella innescata dalla pandemia da COVID-19, il patrimonio di investitori istituzionali che operano nel welfare contrattuale (fondi pensione negoziali, preesistenti e fondi sanitari integrativi), Casse Privatizzate e Fondazioni di origine Bancaria è aumentato dai 142,85 miliardi di euro del 2007 ai 269,84 miliardi di euro del 2020, con un incremento dell’88,9%. Considerando che il patrimonio aggregato di questi investitori vale, in percentuale rispetto al PIL nazionale, il 16,3%, si comprende bene quanto può essere rilevante l’attività di investimento e sostegno al Paese da parte degli investitori Istituzionali. Per fondi pensione, Casse di Previdenza e Fondazioni di origine Bancaria si aprono allora nuovi scenari e nuove prospettive, che vanno oltre alle iniziative di investimento che verranno attuate grazie alle risorse del PNRR: potranno essere i grandi attori che contribuiranno alla ripresa. 

In particolare negli ultimi anni è cresciuta la loro attenzione verso la sostenibilità, il rispetto dell’ambiente e l’efficientamento energetico attraverso l’applicazione dei criteri ESG alla propria politica di investimento. Sostenibilità che soprattutto in questo momento si traduce in una forte connotazione di inclusione e attenzione alle ricadute sociali che gli stessi investimenti potranno e dovranno generare, con l’obiettivo di colmare le carenze evidenziate da CODVID-19. Accanto alla sostenibilità, c’è poi da sempre il tema del sostegno all’economia reale del Paese e a quelle PMI che sono state le più colpite dal susseguirsi dei vari lockdown: ormai gli investitori istituzionali, ciascuno con le proprie peculiarità, investono nel Paese una quota sempre crescente del loro patrimonio.

Questo anche grazie all’evoluzione del sistema nel suo complesso e dell’industria finanziaria, che ha saputo accrescere l’appetito degli investitori per tipologie di strumenti “differenti”. Private equity, debt, infrastrutture, real estate e green non costituiscono più solo una parte residuale dell’allocazione degli investitori istituzionali, ma rivestono un peso sempre maggiore.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

20/9/2021

 
 

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