Passo dopo passo, l'economia reale tra partnership e rischio "realwashing"

Investimenti sostenibili e in economia reale mostrano più punti di contatto di quanto possa sembrare: il parallelismo è ad esempio utile a mettere in guardia dal rischio di "realwashing". Cosa fare allora per favorire quel passaggio dalla teoria alla pratica fondamentale per un supporto concreto allo sviluppo del Paese

Gianmaria Fragassi

* I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Il valore dell’investimento e il rendimento che ne deriva possono aumentare così come diminuire e, al momento del rimborso, l’investitore potrebbe ricevere un importo inferiore rispetto a quello originariamente investito (*disclaimer)

Chi di noi non si è mai soffermato a riflettere leggendo una di queste frasi sul sito web o sulla brochure di un fondo di investimento? Il disclaimer, termine inglese ormai di uso comune anche nella lingua italiana, viene applicato principalmente nei casi in cui la relazione implichi un certo livello di rischio o di incertezza per almeno uno dei soggetti coinvolti, circoscrivendo e definendo tali rischi. 

Il mio pensiero è subito corso ai rendimenti “facili” del passato e alla situazione “complicata” del presente, dove rischio e incertezza sono le variabili principali. Il disclaimer da cui trae spunto questo articolo è molto attuale e ben delinea la situazione in cui viviamo oggi. I rendimenti del passato non sono garanzia di rendimenti futuri. Verissimo. E, quindi, che fare? La soluzione potrebbe essere semplice, quasi banale, ma in realtà non lo è. Se, in passato, gli investimenti obbligazionari (caratterizzati da un profilo di basso rischio) hanno garantito rendimenti sufficienti e in linea con gli obiettivi, oggi la storia testimonia uno scenario differente. 

Come primo step per risolvere l’impasse si potrebbe provare ad acquistare portafogli obbligazionari da altre case. Ma se mi accorgo che il problema non è la casa, ma l’asset class? Significa che il mondo è cambiato – profondamente -  e, di conseguenza, c’è bisogno di cambiare view (investimenti alternativi). E se, oltre al cambio di view, riuscissi anche a fare del bene al mio Paese

Con queste premesse è iniziata la riflessione del Tavolo di Lavoro sull'investimento in economia reale promosso da Itinerari Previdenziali in collaborazione con Borsa Italiana. Proprio dall'esigenza di coniugare due necessità ormai non più scindibili: la ricerca di asset class remunerative e il sostegno al Paese (magari anche con un accento green?). Agli investitori istituzionali però spetta una specifica responsabilità; debbono, infatti, in primo luogo garantire una vecchiaia serena, o almeno sostenibile, ai loro iscritti/aderenti. Ma, con il crescere del loro peso economico e sociale, si sono arricchiti di nuovi compiti, a cominciare dalla possibilità di intervenire direttamente a favore delle libere professioni, dei territori e più in generale dei propri aderenti.   

Sostenere lo sviluppo del Paese, investire nel tessuto produttivo nazionale e, se possibile, farlo in modo sostenibile applicando ai portafogli (o, almeno, a parte di questi) i criteri ESG. L’investimento in economia reale infatti, nelle sue varie declinazioni e attraverso i vari strumenti a disposizione, difficilmente potrà prescindere da una visione sempre più sustainable.

 

Real vs Greenwashing 

L’economia reale e i temi della sostenibilità ambientale hanno molti più punti di contatto di quanto ci si potrebbe aspettare. Entrambi, innanzitutto, ricoprono ruoli con importantissime ricadute a livello sociale. Ne è la dimostrazione il fatto che ormai questi temi sono stabilmente in cima alle agende delle primarie autorità europee. Allo stesso modo, la necessità di individuare e dotarsi di definizioni condivise ben testimonia il sempre più evidente parallelismo tra economia reale e ESG, per i quali risulta ancora complicato circoscriverne il perimetro di applicazione. Mentre le authority sono al lavoro per definire la tassonomia per gli investimenti green, il Tavolo di Lavoro ha provato nel tempo a trovare definizioni quanto più condivise per quanto attiene alla sfera dell’economia reale.

D'altra parte, l’analisi, il contatto e il dialogo stretto sui temi dell’economia reale avuti in questi anni ci hanno portato a una considerazione estrema: stressando il concetto si può dire che, come accade per le tematiche di sostenibilità ambientali per le quali c’è un concreto rischio di greenwashing, anche per quanto riguarda gli investimenti a supporto del sistema Paese ci troviamo in una pericolosa fase di “realwashing”Molti studi dimostrano come le aziende che utilizzano l’operazione di greenwashing spendano più tempo e denaro nel proclamare il loro “essere verdi” attraverso pubblicità e azioni di marketing piuttosto che nell’implementare realmente pratiche a basso impatto ambientale. Nel concreto, nel caso dell’economia reale, affrontiamo il rischio di essere molto bravi nella teoria, ma poco efficaci nell'applicarla alla  pratica.

Per evitare l’effetto “realwahsing” è allora necessario partire da esempi concreti e approfondire quanto più possibile le informazioni, offrendo spunti ed esempi virtuosi da seguire come, nel caso del Tavolo di Lavoro, i due anni di progetto hanno raccontato. Buone pratiche... e non solo teoria! 

 

Miopia governativa

Nonostante in passato gli investitori istituzionali abbiano allocato il loro patrimonio prevalentemente in strategie “semplici” (per molto tempo infatti è stato sufficiente investire nei mercati in maniera “tradizionale”), l’attuale contesto economico-finanzario racconta di una progressiva necessità di indirizzare le risorse verso mercati privati e, di conseguenza, verso l'economia reale. 

Come testimoniato negli incontri del Tavolo di Lavoro, se dal lato della domanda si è potuto assistere a una profonda crescita formativa con concreti progetti e processi di maturazione interna, dal versante politico-legislativo (malgrado l'avvicendamento di più legislature)  si è dovuto assistere a una sostenziale mancanza di interventi pubblici, a conferma di una certa (ampia) miopia e di un'altrettanto scarsa lungimiranza

Con un paradosso tutto italiano, il governo NON guarda a sufficienza verso questo tipo di investimenti. Sono davvero pochissimi gli aiuti e i sostegni che il legislatore ha previsto per chi investe a favore del Paese. Tra questi, possiamo ricordare l’aumento dal 5% al 10% dell’attivo patrimoniale esente da tassazione qualora dedicato a investimenti cosiddetti “qualificati” e la revisione dello strumento PIR, che dopo molti mesi di stallo, è tornato alla versione originale la quale, perlomeno a livello di raccolta, aveva dato frutti (meno, invece, aveva fatto in termini di vero sostegno alle PMI).

 

Per il futuro…

Quali sono allora le possibili soluzioni in questa fase? Come il Tavolo di Lavoro ha ampiamente dimostrato tramite la presentazione di numerosi casi di investimento virtuosi (oltre 15 casi analizzati), sono diverse le modalità attraverso le quali aggiornare le proprie view. Dall’investimento individuale in fondi alternativi (private equity, private debt, infrastrutture, real estate, energie rinnovabili,..) a percorsi condivisi tra più investitori attraverso accordi, collaborazioni, partnership e co-investimenti. Il 2019 verrà ricordato per questo nuovo trend che non tocca la governance o la composizione societaria degli enti, ma solamente gli aspetti che riguardano l’allocazione delle risorse. 

Numerosi sono gli esempi conosciuti in questi anni, tra questi: tra le Casse di Previdenza, Geometri, Periti e Architetti hanno iniziato da tempo un percorso di investimento condiviso, con un unico fornitore, mettendo a fattor comune patrimoni e obiettivi; i fondi negoziali hanno visto concretizzarsi nel 2019 un progetto di co-investimento tramite un mandato comune a 5 fondi o, ancora, sono protagonisti di un recente progetto nato in partnership con Cassa Depositi e Prestiti; le Fondazioni di origine Bancaria non stanno di certo a guardare e alcune di esse, Cariverona, Caritro (Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto) e Carima (Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata) - con l’aiuto di  un gestore di fondi alternativi - hanno aderito in maniera consortile a un fondo di fondi di private capital, ottimizzando costi e masse.

E chissà che in futuro queste realtà - animate da difficoltà e obiettivi comuni - non stringano accordi per investire insieme e dare finalmente quella spinta di cui il Paese avrebbe tanto bisogno.

Gianmaria Fragassi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

8/1/2020

 
 

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