Pensioni, come rendere il Sud il nuovo Portogallo

Dieci anni senza pagare tasse, così il Portogallo è diventata una delle mete favorite dei pensionati italiani in fuga. Perché non importare allora questo modello e rendere maggiormente attrattive e competitive alcune Regioni del Sud, come Sicilia, Calabria e Sardegna? La proposta di Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Michaela Camilleri

Negli ultimi mesi la “fuga” dei nostri pensionati all’estero è stato oggetto di numerosi dibattiti, televisivi e non. Talk show e media in genere ci hanno ormai abituato all’immagine di pensionati felici e spensierati che dall’Italia si sono trasferiti in altri Paesi europei in cui il clima è più mite e il costo della vita più basso, ma soprattutto dove non si pagano tasse sulla pensione. È il caso del Portogallo, diventato negli ultimi mesi una delle mete d’eccellenza per i pensionati che decidono di godersi la quiescenza altrove. E la pensione tax free nei primi dieci anni di nuova residenza sembra essere la chiave del successo dell’attrattività portoghese. Partendo come di consueto dai numeri, cerchiamo allora di comprendere quale sia l’entità del fenomeno delle pensioni in fuga, quali ragioni spingono i nostri connazionali a lasciare il Belpaese e come eventualmente incentivarli a rimanere in Italia.

Quanti pensionati lasciano l’Italia per godersi la pensione all’estero? Stando ai dati del Quinto Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano di Itinerari Previdenziali, sono oltre 373.000 prestazioni pagate all’estero nel 2016, di cui circa il 16% liquidato in “regime nazionale”, ovvero la cui contribuzione è stata interamente versata in Italia. Dunque, un fenomeno di notevole interesse sociale seppure non ancora molto rilevante per dimensione, ma destinato a proseguire, e probabilmente aumentare, in futuro se si considera che costo della vita e vantaggi fiscali sono tra le principali ragioni di questa corsa verso l’estero.

Perché proprio il Portogallo? Tra i Paesi maggiormente ambiti ci sono appunto Portogallo, Bulgaria, Canarie, Tunisia ma anche Messico e Panama. Come accennato in apertura, un'attrattiva interessante nel caso portoghese è stata la decisione da parte del governo di detassare per dieci anni le pensioni dei cittadini stranieri che decidono di traferire lì la residenza. In forza degli accordi bilaterali contro la doppia imposizione fiscale, il pensionato che risiede in Portogallo per più di sei mesi può richiedere all’Inps la detassazione della pensione italiana.

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È possibile importare il modello “portoghese” e adattarlo al nostro Paese? Secondo Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, «si potrebbe guardare all’esempio del Portogallo, applicando l’esenzione totale dalle imposte per i primi dieci anni ai pensionati italiani o stranieri che trasferiscono la residenza fiscale in tre regioni “pilota”, ovvero Sicilia, Sardegna e Calabria. In particolare, per poter usufruire dello sgravio, bisognerà dimostrare di vivere almeno sei mesi e un giorno all’anno nelle nuove ZES-AAS, ossia Zone Economiche Speciali (che già esistono per chi fa impresa al Sud) ad Alta Accoglienza Sociale. L’accesso ai vantaggi fiscali utili a richiamare i pensionati all’interno dei confini nazionali - spiega il Professor Brambilla - sarà concesso ai Comuni che, attraverso bandi pubblici, rispettino determinati requisiti di sicurezza, in quanto l’amministrazione dovrà essere riconosciuta come esente da influenze della criminalità organizzata (saranno esclusi dalla partecipazione al bando ad esempio i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa); ambientali, intesi come un buon livello di raccolta differenziata, decoro urbano, disponibilità di servizi alla persona, sistemi di fognature e illuminazione cittadina ben funzionanti, etc.; e infine sanitari, in termini di adeguatezza e qualità dei servizi di cura (presenza di servizi di volontariato autoambulanze, defibrillatori, medici di turno e aziende ospedaliere con servizi certificati dal Ministero della Salute)».

Quali sarebbero i vantaggi per lo Stato e, in particolare, per il Sud? «Per lo Stato i risvolti economici sarebbero significativi in termini di imposte indirette, accise e altre imposte (relative ad esempio alla compravendita di immobili o affitti). Se è certamente vero che, a differenza degli stranieri, i pensionati italiani che si trasferiscono al Sud rappresentano un costo per lo Stato in termini di perdita del gettito Irpef, è altrettanto vero che si tratta dell’unica forma di investimento sostenibile. Per le regioni coinvolte, come già evidenziato in altra occasione, significherebbe innanzitutto ripopolare i piccoli paesini al di sotto dei 4 mila abitanti che, negli ultimi anni, hanno perso il 20% e più di popolazione e di conseguenza rilanciarne l’economia, offrendo opportunità anche ai giovani nel settore della silver economy ma non solo. Penso al potenziale incremento di occupazione nell’ambito del commercio, del turismo, dell’assistenza, della sanità e così via. Così facendo dovremmo riuscire a recuperare una quota dei 60 mila connazionali espatriati con la pensione “in regime nazionale”, evitare altre fughe di pensionati e, se dimostreremo di essere bravi come i portoghesi, avere almeno qualche migliaio di famiglie straniere. Volendo fare qualche conto, se stimiamo che una famiglia media spende 20 mila euro all’anno e che dopo tre anni dall’avvio del progetto ci siano 100 mila famiglie trasferite - e dunque circa 200 mila persone - lo spendibile supera i 2 miliardi». 

Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

1/10/2018 

 
 

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