Investimenti innovativi e diversificati per il welfare integrato

Il superamento delle sfide socio-demografiche in atto richiede non solo un nuovo modello culturale, ma anche un nuovo modo di fare impresa e finanza: quali investimenti, innovativi e diversificati, per sostenere e migliorare il welfare integrato?

Alberto Brambilla

Invecchiamento della popolazione, conservazione dell’ambiente e una migliore convivenza sociale basata su diritti e doveri: è la triplice sfida che ci aspetta nei prossimi anni, una sfida che per essere vinta necessita di una molteplicità di azioni tra cui, indubbiamente, un nuovo modello culturale basato sulla conoscenza dei problemi e appunto su diritti, ma anche doveri e un nuovo modo di fare impresa e finanza. La povertà educativa e sociale è il grande limite culturale la cui riduzione sarà fondamentale per il passaggio a un diverso modo di concepire il nostro vivere sociale e lo sviluppo dell’uomo.

Il binomio collettivismo (comunismo) e capitalismo dovrà lasciare il posto a un’economia basata sì sul profitto (molla e strumento per qualsiasi forma di redistribuzione), ma anche sulla responsabilità sociale dell’impresa (SRI – socially responsible investment). Una “terza via” che sarà tanto più praticata quanto più la finanza e gli stakeholder saranno attenti ai problemi di “sostenibilità sociale degli investimenti”, ma anche quanto più i criteri etici (ESG) saranno alla base della maggior parte degli investimenti, soprattutto di quegli investitori che operano nelle politiche sociali.

Dicevamo che la prima sfida è quella dell’invecchiamento della popolazione e dalla sua spesso inevitabile conclusione, la non autosufficienza. Siamo in presenza dalla più rilevante transizione demografica di tutti i tempi che caratterizzerà i prossimi 20 anni e che genererà nuove problematiche legate alla non autosufficienza, ma anche enormi opportunità nella gestione dell’imponente fenomeno della cosiddetta “silver economy” (negli USA , a chiamano longevity economy), cioè di tutto quanto ruota attorno ai soggetti che stanno per pensionarsi o che in quiescenza lo sono già: tutti i loro consumi, dalla cura della salute al tempo libero, dai farmaci alla mobilità, e così via. Soggetti che hanno una capacità di spesa e una “dote” di risparmi maggiore rispetto al resto della popolazione. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 2020 avremo più anziani che bambini al di sotto dei 5 anni; la popolazione over 60 raddoppierà, passando da 900 milioni a quasi 2 miliardi di individui. Entro il 2050 avrà superato i 60 anni una persona su 5, complice il continuo incremento dell’aspettativa di vita e anche la contestuale riduzione della fertilità. Insomma, in qualche decennio verrà letteralmente ridefinita la demografia mondiale. L’Italia è al vertice della classifica dei Paesi per maggiore aspettativa di vita; la sopravvivenza è prevista in aumento e, entro il 2065, la vita media dovrebbe crescere di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni e 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne con un picco di invecchiamento previsto in Italia nel 2045-50, quando la quota di ultrasessantacinquenni sarà pari a circa il 34% della popolazione. All’1 gennaio 2017 i residenti nel nostro Paese hanno un’età media di 44,9 anni, gli individui di 65 anni e più superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli di 80 anni e più sono 4,1 milioni, il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono 727mila, l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a 17mila. Quindi, a oggi, il potenziale dei soggetti che potremmo definire “attori protagonisti” della silver economy è pari a un quarto della popolazione; oltre 5 milioni i potenziali assistiti perché rimasti soli oppure poco o del tutto non autosufficienti. La sola spesa per la non autosufficienza supera i 20 miliardi e i tempi di accesso alle strutture pubbliche o private sono molto lunghi.

Un nostro recente studio ha stimato che in Italia il valore aggiunto della silver economy, considerando solo i settori per essa più rilevanti, ammonti a oltre 43 miliardi di euro. L’impatto risulta notevole anche in termini occupazionali: si calcola che l’economia dell’invecchiamento in Italia dia lavoro a circa un milione di persone.

L’aumento in prospettiva degli ultra 65enni, la disponibilità economica e patrimoniale e il peso crescente sui consumi dei “silver” sono elementi che già oggi consentono di individuare e costruire una vera e propria filiera di produzione di beni e servizi. A livello mondiale, già nel 2020, la silver o longevity economy varrà oltre 15mila miliardi di dollari secondo la stima delle Nazioni Unite, divenendo - anche se il confronto è un tantino azzardato - una delle maggiori economie mondiali dopo gli USA (PIL 2017 pari a 19mila miliardi di dollari) e Cina (12mila miliardi di dollari). Un’economia in grande sviluppo in cui operano ormai migliaia di aziende di produzione di beni e servizi e sulle quali, con opportune analisi e auspicabilmente con l’applicazione dei criteri ESG, molti gestori e una parte consistente della finanza hanno iniziato a investire con fondi e veicoli specializzati.

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Contemporaneamente alla sfida dell’invecchiamento, la nostra società affronta quella per la conservazione dell’ambiente, problema ormai cruciale per la sopravvivenza stessa del pianeta e quella per una migliore e più stabile convivenza sociale basata su una crescita culturale della popolazione (sforzo al quale per ora poche nazione si applicano, mentre invece è fondamentale come la tutela di aria e acqua) il quale, a sua volta, dipende anche dalla governance delle imprese e delle organizzazioni statali. In queste sfide la finanza e gli investitori istituzionali (in particolare quelli previdenziali e del welfare integrato), possono giocare un ruolo fondamentale investendo con modalità e criteri appropriati: appunto quelli ESG (environmental, social, governance) e SRI. Environmental, ovvero l’impegno nella tutela dell’ambiente e delle specie attraverso un uso sempre maggiore di energie rinnovabili, efficienza energetica, riciclo e riutilizzo delle materie nonché lotta agli sprechi, in primis quelli alimentari, ma anche rispetto per le foreste, l’agricoltura sostenibile, una nuova cultura dell’alimentazione, della mobilità sostenibile e così via; social, vale a dire che premia e incentiva le politiche aziendali virtuose verso gli stakeholder interni (i loro collaboratori) ed esterni (dalle famiglie dei dipendenti ai fornitori, dagli investitori ai clienti), attuate attraverso strategie di welfare aziendale, benefit per i collaboratori, pubblicità non ingannevoli, rispetto della legalità e lotta alla corruzione. E, infine, governance, il buon governo dell’impresa che minimizza i rischi gestionali e reputazionali e massimizza i ritorni economici nel medio e lungo termine. Governance che viene oltretutto applicata anche alle regioni e alle nazioni del globo e ne sappiamo qualcosa ad esempio con i rating e gli spread.

La crescita degli investimenti ESG è esponenziale. Nel 2006, quando l’ONU definì i “principi per gli investimenti responsabili” da integrare e utilizzare nei processi di investimento, furono pochissimi i gestori che firmarono quel protocollo; oggi, a distanza di 12 anni, oltre il 90% degli asset manager aderisce ai principi ESG. Di questi molti partecipano attivamente alle assemblee delle società investite esercitando il diritto di voto e incontrando i vertici delle aziende.  Negli ultimi due anni, secondo le analisi prodotte nel corso della Settimana dell’Investimento Sostenibile e Responsabile, la crescita globale di questo tipo di investimenti, azionari e obbligazionari, è stata del 25%; secondo il report di McKinsey l’utilizzo dei paramenti ESG all’interno dell’analisi di investimento cresce del 17% all’anno e gli ESG, nel 2016, pesano per il 26% del totale dei portafogli mondiali, per un valore di 22.890 miliardi di dollari di asset under management. Il 24% degli ETF e il 15% dei fondi comuni adottano criteri di investimento sostenibili.

Ulteriore slancio ha dato “l’Action Plan sulla finanza sostenibile” lanciato dalla Commissione Europea nel 2018 e guidato dalla Capital Markets Union che segue e rafforza l’agenda 2030 e gli accordi sul Clima di Parigi; obiettivi dell’Action Plan sono di indirizzare i capitali verso investimenti verdi e sostenibili, inserire il concetto di sostenibilità nel risk management, accrescere la propensione agli investimenti a lungo termine evitando norme e regole contabili che scoraggino questi investimenti.

Inoltre, un accenno anche se sintetico, meritano gli investimenti smart city e smart mobility che si inseriscono a pieno titolo nel trend ESG.

Anche in Italia si sta diffondendo la pratica di investire direttamente in azioni di aziende o indirettamente attraverso ETF e fondi comuni specializzati che adottano e applicano i principi ESG e SRI; molti anche gli investimenti tramite green bond o fondi obbligazionari specializzati. Nel 2017, le emissioni di green bond sono aumentate quasi del 40% rispetto al 2016. Anche se i dati sono ancora da consolidare sono una ventina i fondi pensione negoziali e preesistenti che adottano nei loro investimenti politiche SRI.

Proprio per la loro natura questi soggetti sono i più interessati a investimenti socialmente responsabili e alle soluzioni che riguardano la grande transizione demografica. In questa prospettiva, Investimenti innovativi e diversificati per sostenere e migliorare il welfare integrato” significa dunque a tutti gli effetti ricercare sul mercato tutte quelle soluzioni che consentono di migliorare i rendimenti dei patrimoni destinati alle prestazioni sociali e di offrire ai propri iscritti un set di servizi complementari alle prestazioni tradizionali.Invecchiamento della popolazione, conservazione dell’ambiente e una migliore convivenza sociale basata su diritti e doveri: è la triplice sfida che ci aspetta nei prossimi anni, una sfida che per essere vinta necessita di una molteplicità di azioni tra cui, indubbiamente, un nuovo modello culturale basato sulla conoscenza dei problemi e appunto su diritti, ma anche doveri e un nuovo modo di fare impresa e finanza. La povertà educativa e sociale è il grande limite culturale la cui riduzione sarà fondamentale per il passaggio a un diverso modo di concepire il nostro vivere sociale e lo sviluppo dell’uomo.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

30/10/2018

 
 

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