Le promesse dei politici e la rabbia del popolo

Non solo nuovi diritti da rivendicare ma anche maggiore attenzione al senso del dovere: è questo ciò di cui l'Italia avrebbe davvero bisogno nonostante una politica più attenta a catturare consensi nell'immediato (aggravando il debito pubblico) che al futuro del Paese e delle giovani generazioni

Alberto Brambilla

La classe politica italiana, probabilmente senza essere conscia degli effetti pericolosi del suo operato, sta trasformando il sentimento collettivo della maggioranza dei cittadini verso l’insoddisfazione, la rabbia, il populismo e la ricerca continua di un “partito messia” che possa migliorare la loro situazione, straordinariamente ottima se confrontata con la maggior parte dei Paesi mondiali ma pessima agli occhi di un popolo cui si predicano solo diritti.

E così dopo i lunghi anni del bipolarismo Prodi vs Berlusconi i cittadini hanno cercato spasmodicamente un leader che desse loro quelle che spesso, e in modo mendace o inconsapevole dei rischi, la politica definisce “le risposte che gli italiani si meritano”. La travolgente avanzata del PD di Renzi, che raggiunse nel maggio del 2014 un consenso del 40% alle europee, si concluse il 7 dicembre del 2016 con un Partito Democratico in forte calo di consensi; e questo nonostante Renzi avesse introdotto il bonus giovani da 500 euro, agevolazioni contributive per oltre 10 miliardi per le assunzioni e soprattutto il bonus da 80 euro che porta il suo nome, e che costa al Paese circa 10 miliardi l’anno dal 2016. Insomma, una montagna di soldi che però non ha soddisfatto le brame dei nostri concittadini che, in un'indagine di quei mesi, giudicava il nostro Servizio Sanitario Nazionale “insufficiente”. Un popolo cattivo e severo? No, solo una popolazione cui si è promessa la luna e che è quindi ora insoddisfatta anche di uno dei migliori sistemi sanitari mondiali, peraltro totalmente gratuito, nel senso che per garantire la sanità a circa il 60% dei cittadini che non pagano quasi nulla di IRPEF, il restante 40% deve sborsare 54 miliardi. Oltre che, naturalmente, pagarsi la propria quota sanitaria.

Dopo il governo ponte di Gentiloni, l’assetato popolo si invaghisce di chi promette un reddito certo e un posto fisso per tutti, incurante che il debito pubblico sia aumentato al 132% del PIL. È un plebiscito in Sicilia e un enorme successo a livello nazionale con oltre il 34% di share: il maggior partito in Parlamento, che conquista anche Roma e Torino. I governi Conte 1 e 2 saranno però un disastro per la povera Italia nella lotta a COVID-19. Le promesse dei capi e capetti di tutti i partiti si moltiplicano e, con esse, la rabbia degli italici che, insoddisfatti, voltano le spalle al M5S in meno di un anno e mezzo (Renzi era durato almeno 3 anni e Berlusconi nei suoi ultimi due governi, oltre 9). E si innamorano della Lega di Salvini che, tra Quota 100, cancellazione e rottamazione delle cartelle esattoriali (leggasi condono), alle europee del 2019 raggiunge il 37%, meno di 3 punti dal record Renzi.

Le promesse continuano e sono talmente tante e insostenibili finanziariamente che buona parte non viene mantenuta, aumentando così il rancore degli italiani verso la politica. Cala Salvini che già nel 2020 è intorno al 20%, un dimezzamento come per Renzi, e sale l’innamoramento per “io sono Giorgia”. Giorgia Meloni, con una serie di richieste molto popolari, raggiunge e supera la Lega, anche se di poco, e così si scatena la bagarre nel centro-destra a chi la spara più grossa in termini di promesse. Complice SARS-CoV-2 il debito sale al 153%. Il 13 febbraio il governo Draghi subentra al Conte 2, anche per la totale incompetenza di Conte stesso, l’uomo che il 27 gennaio 2020 dichiarava che l’Italia era prontissima a fronteggiare l’emergenza virus avendo adottato misure cautelative all’avanguardia. Meno di un mese dopo il Paese lotterà a mani nude e, senza protezioni, con migliaia di morti (secondi nella classifica mondiale per decessi ogni 100mila abitanti) e con le salme trasportate dai camion dell’esercito. Per molto meno si sono dimessi fior di capi di Stato.

Oggi, nonostante i 159 miliardi di nuovo debito accumulato nel 2020 per la cassa integrazione in tutte le sue varie forme, NaSPI, DIS-COLL, reddito e pensione di cittadinanza, reddito di emergenza e bonus di ogni genere, cui si aggiungono i 137 miliardi di nuovo debito 2021 (2.706 a settembre), i partiti veleggiano tutti sotto il 20% (M5S, Lega, FdI e PD). Eppure, malgrado questi dati disastrosi, prosegue la corsa sfrenata a chi propone nuove categorie da beneficiare con sconti fiscali, bonus, rinvii nel pagamento di contributi e imposte. Salvini, in calo di consensi interni ed esterni nel suo tentativo di portare la Lega verso l'estrema destra europea (povero Bossi), ha scoperto i separati come nuova categoria di bisognosi, a cui peraltro appartiene ma senza problemi economici. Il panel dei politici e delle richieste per accaparrarsi voti e consensi è ormai trasversale e nessuno dei proponenti si pone i seguenti problemi: a) chi paga e b) che Italia lasciamo ai giovani visto che la maggior parte delle spese, comprese quelle della finanziaria targata Draghi (sigh), sono a debito.

Ma quel che più preoccupa sono il tono, la motivazione e le giustificazioni adottate dai politici nel fare le loro proposte: zero doveri, tutti diritti e proposte che si adatterebbero più a popolazioni in via di sviluppo che agli italiani. Infatti, sentendo la politica, sembra che i nostri concittadini siano in condizioni di estrema povertà (5 milioni di poveri assoluti e 9 di relativi, un bilancio da rivoluzione francese), di fame (le code alla Caritas), assenza di assistenza sanitaria, e così via. Ma, guardando le spese degli italiani, non sembra proprio: per citarne alcune, oltre 120 miliardi nel gioco d’azzardo, 10 miliardi per maghi e fattucchiere, 16 miliardi in abbonamenti Sky, Dazn, Now, Spotify, pagato anche con il bonus cultura, quasi 78 milioni di connessioni da telefonia mobile (il 128% della popolazione), il 97% degli italiani ha almeno telefonino e oltre 90 miliardi vengono spesi per mangiare fuori casa. Non male per un popolo povero cui occorre dare anche il bonus terme, la più grande idiozia mai pensata insieme alla paghetta di Stato dell’AUUF.

Cosa significa allora fare un'informazione politica corretta? Significa dire la verità agli italiani, che non sono così poveri come politica, media e influencer vari li dipingono. Sulla nostra Terra siamo in 7,7 miliardi e solo un abitante su 6 (meno del 17%) ha tutto ciò che abbiamo noi: acqua corrente potabile, servizi igienici, energia elettrica costante, televisioni, giornali e soprattutto la libertà, la democrazia e la “protezione sociale”, vale a dire il welfare, gli ospedali e la copertura dai tanti rischi, istruzione e cibo compresi. In molte parti del mondo si vive con meno di 2 dollari al giorno, gli ospedali sono un miraggio per pochi così come la scuola spesso a pagamento; il futuro è solo una parola senza grande significato. Solo quindi 1,2 miliardi di individui hanno una qualche forma di protezione sociale, ma quelli che possono avere il welfare italiano sono nel mondo poco più di 600 milioni.

Basterebbe questo per chiedere ai nostri concittadini meno diritti e più doveri: lavorare, pagare le tasse (siamo al primo posto per evasione fiscale), smettere di essere esportatori abituali di malavita organizzata ma, soprattutto, imparare che lo Stato siamo noi. E quando la politica promette, popolo e media devono chiedere e chidersi chi paga?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

9/12/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Foglio del 2/12/2021
 
 

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