Lo strano Paese del futuro al mattino e dei debiti al pomeriggio

Nonostante l'ostentata preoccupazione per le nuove generazioni, in Italia la politica (pre e post COVID-19) sembra saper agire solo facendo continuamente leva su sussidi, sgravi o agevolazioni a carico della fiscalità generale: nel concreto, quindi, generando ulteriore debito che graverà proprio sulle spalle dei più giovani

Alberto Brambilla

Il nostro è uno strano Paese che, oltre alle tante contradizioni, ha un'avversione per i numeri e per le scomode verità (qui, mi rifaccio al mio ultimo libro). Possiamo così descrivere, in prosa, una delle contraddizioni che caratterizza la nostra società negli ultimi, almeno, 13 anni: la mattina tutti - politici, sindacalisti, ecclesiasti - piangono e si disperano per il futuro dei poveri giovani che non vengono aiutati e sono costretti a emigrare; il pomeriggio, però, gli stessi soggetti reclamano sempre più soldi per tutti. Per le famiglie, paventando un “deserto demografico” come se la crescita della popolazione italiana e mondiale fosse infinita e senza “limiti allo sviluppo”, per i soggetti svantaggiati (nessuno dice chi siano), per i portatori di handicap, per gli anziani, per i bimbi colpiti da grave dispersione scolastica, per il Sud e così via.

A sentire i loro commenti i fondi stanziati dal decreto Sostegni del governo Draghi sono “mancette” e ristorano meno del 5% delle perdite. Certo, se 32 miliardi ristorano il 4%, per fare solo il 40% come chiedono a gran voce i partiti, dovremmo spenderne 10 volte tanto: altri 300 miliardi, ovviamente tutti a debito e sul “groppo” di chi verrà. E sta qui la grande contraddizione cui accennavamo. Al mattino il pianto per i giovani e al pomeriggio richieste di aumentare a dismisura il debito pubblico che, altro non è, se non una gravissima pregiudiziale per lo sviluppo del Paese e per le libertà economiche totalmente a carico delle giovani generazioni, figli e nipotini. Di numeri e di “scomode verità” non si può parlare; anzi, se solo la politica o il sindacato sospettano che qualcuno li possa far uscire, è immediatamente escluso: in Italia, si può solo cantare nel coro delle corporazioni. I solisti danno noia!

Proviamo a fornire qualche numero, peraltro ripreso esclusivamente dai dati ufficiali dello Stato. a) La spesa per l’assistenza sociale è a carico della fiscalità generale perché, a differenza delle pensioni, per le prestazioni assistenziali non si pagano i contributi, quindi i soldi vengono pescati da coloro che pagano le tasse, di cui diremo a breve. Nel 2008 spendevamo 73 miliardi l’anno e il rapporto debito pubblico su PIL si aggirava leggermente sotto il 100%. Nel 2019 - a furia di inventarsi bonus TV, gas, energia, casa, baby sitter, trasporti, bonus Renzi,  quattordicesime mensilità, ReI, reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza e così via -  le entrate IRPEF si sono ridotte di circa 10 miliardi, mentre le spese a carico della fiscalità generale (dei soliti noti) sono lievitate a 114 miliardi: ben 41 miliardi strutturali in più!

Si dirà: magari non abbiamo abolito la povertà come declamato dai neofiti del M5S, ma almeno si sarà ridotta. Purtroppo no! L'Istat ci informa che nel 2008 le persone in povertà assoluta erano 2,113 milioni e nel 2019, prima della crisi da COVID-19, circa 5 milioni (più che raddoppiate); le persone in povertà relativa sono passate da 6,5 milioni a 9 milioni! In che mondo si aumenta del 50% la spesa con il risultato di raddoppiare i poveri? Possibile che nessuno se ne sia accorto? 

b) Poiché la spesa è a carico della fiscalità generale, chi paga? Per farla breve, lo diciamo in sintesi: il 60% degli italiani paga il 9% dell’IRPEF, pochi contributi ed è praticamente a carico di altri cittadini; il 20% è autosufficiente, cioè paga tasse per i servizi che riceve; l’ultimo 20%, e in particolare il 13% dei contribuenti, cioè coloro che dichiarano redditi da 35mila euro in su, versano il 60% delle imposte e pagano per tutti. 

c) Tra il 2008 e il 2019, gli anni che i nostri politici e non solo hanno definito dell’austerity imposta dalla cattiva Europa matrigna, a furia di dar retta alle voraci richieste dei partiti e dei capipopolo sempre in campagna elettorale e alla spasmodica caccia di consensi, nonostante si siano risparmiati oltre 60 miliardi di interessi sul nostro mostruoso e lievitante debito pubblico, si sono fatti circa 595 miliardi di nuovo debito sempre sul groppone dei “poveri giovani”. E se non ci fosse stata l’austerity, cosa avremmo fatto? Mille miliardi. Incurante di tutto ciò la politica continua a promettere soldi non suoi: rifinanzia il reddito di cittadinanza, aumenta i bonus e ora, con il beneplacito degli altri due influencer, ha progettato “l’assegno unico per i figli”, con una spesa aggiuntiva di 3 miliardi che, si affretta a precisare la ministra, dovranno essere molti di più. Ovviamente, a debito. Cioè a quelli che nascono e ai giovani fino a 18 anni diamo un po' di soldi che, proprio perché a debito, loro stessi dovranno ripagare da grandi.

Due ultime annotazioni sui “coccodrilli” che prima mangiano e poi piangono: 1) Ipotizzando 200 euro al mese per ogni figlio fino ai 18 anni, le maggiorazioni previste e altri spiccioli per quelli che studiano fino a 21 o 26 anni, i costi per i contribuenti variano tra i 18 e i 20 miliardi strutturali l’anno; 2) i maggiori beneficiari saranno i contribuenti con redditi inferiori a 35mila euro. Possibile che non ci si renda conto che, se tutte le agevolazioni vengono erogate a chi dichiara il meno possibile, la lotta all’evasione fiscale è già persa in partenza? Vi pare davvero plausibile che in Italia il 60% della popolazione viva in media con meno di 800 euro al mese?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

12/4/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Messaggero del 3/4/2021
 
 

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