Rinnovare i modelli di welfare: verso una nuova centralità dei servizi per l'individuo

Non venire meno al fondamentale presupposto di occuparsi di pensioni, impegnandosi al tempo stesso nella realizzazione di un “welfare strategico" che faccia dei servizi a favore dell’individuo la propria colonna portante:  le Casse chiamate a rispondere alle nuove sfide poste dai trend demografici, sociali e professionali in atto. Intervista a Walter Anedda, Presidente CNPADC

Mara Guarino

«Si parla di previdenza e si pensa immediatamente alle pensioni, salvo forse oggi capire che all’interno del welfare, l'assistenza, può rappresentare un secondo pilastro importante del sistema previdenziale»: questo uno dei temi cruciali per il futuro del sistema del welfare italiano sollevato nel corso di “Previdenza in tour”, serie di appuntamenti territoriali promossi dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Dottori e Commercialisti. Un’occasione importante per promuovere il dialogo con i propri iscritti, ma anche per raccogliere spunti di riflessione su un mutamento di paradigma ormai in atto e che interessa tanto il sistema pubblico quanto quello privato.  

Del futuro del welfare italiano e del ruolo delle Casse all’interno di uno scenario in inesorabile mutamento, abbiamo quindi parlato con Walter Anedda, Presidente CNPADC, partendo da un fondamentale presupposto: «Il nostro sistema previdenziale si basa sugli stessi strumenti e sistemi da circa 40-50 anni: riconosciamo cioè a fronte di un certo numero di anni di contributi un trattamento pensionistico, che servirà poi al pensionato per far fronte al post lavoro». Quale allora il vero punto della questione?  «Il punto è che nel frattempo sono cambiati i fondamentali per cui era si era costruito questo tipo di sistema previdenziale. Sono cambiati i fondamentali, ma lo strumento è rimasto lo stesso».

Il tasso di natalità aumenta, la popolazione invecchia e cambia la struttura stessa della famiglia, tanto che sono ad esempio sempre più frequenti i casi di anziani che, magari proprio grazie alla propria pensione, sostengono i più giovani: un quadro che rende appunto evidente, come allo strumento tradizionale, la pensione, vada affiancato un altro strumento, l’intervento assistenziale a complemento del trattamento pensionistico. Da non confondersi però con l’assistenzialismo, precisa il presidente Anedda ricorrendo ad alcuni esempi chiarificatori e utili anche a rispondere ad alcuni quesiti ricorrenti.

Il primo: perché non aumentare l’importo del trattamento pensionistico? «Sarebbe certamente possibile ipotizzare di fare degli sforzi per innalzare i trattamenti, ma è pur vero che l’aumento che si potrebbe riconoscere all’iscritto non sarebbe mai pari all’ammontare dei servizi che gli si potrebbero offrire a fronte dello stesso onere. Supponiamo il caso di un iscritto che debba affrontare delle spese per assistenza sanitaria e domiciliare: si può pensare di assisterlo attraverso un aumento di 100 euro, che potrà usare a copertura di quelle spese, oppure, con lo stesso importo, si potrebbero acquistare per lui sul mercato dei servizi di valore 5-6 volte superiore».

Il che ovviamente non implica il dover intervenire solo in caso di particolari situazioni sfortunate o di necessità: «Più che concorde – sottolinea Walter Anedda – a un welfare che non sia più legato solo al cosiddetto “stato di bisogno”. Fare welfare attivo e strategico significa infatti estendere questo tipo di funzione, al periodo post pensione, ma anche al percorso lavorativo, favorendo ad esempio l’avvio dell’attività professionale, ma anche mettendo a disposizione del professionista strumenti che lo aiutino ad accrescere la propria capacità competitiva e il proprio volume d’affari e, dunque, a produrre reddito. Elementi questi che si concretizzano poi in una capacità di generare maggiore risparmio previdenziale».

Un secondo esempio utile a «traghettare dal concetto di assistenzialismo a quello di assistenza» è invece offerto dal supporto alla professione femminile, «oggi spesso concentrato su  interventi che potremmo definire di “mero indennizzo economico”, come nel caso dell’indennità di maternità. Ma accanto a questo tipo di supporto si dovrebbero favorire tutte le attività di servizio che facilitino la donna nello svolgimento dell'attività lavorativa». In che modo? Un esempio interessante, che già diversi ordini hanno peraltro attivato,  ricorda il Presidente Anedda, è offerto dalla Banca del Tempo:  professionisti che hanno disponibilità di tempo possono metterlo a disposizione dei colleghi e, perché no, delle colleghe che magari si assentano per la maternità o che, per varie ragioni, non riescono a mantenere quella costanza che, invece, il lavoro richiede. «Gli Ordini che hanno attivato la Banca del Tempo fanno quindi in modo che il professionista o la professionista del caso possa rivolgersi se necessario alla Banca del Tempo, impegnandosi a ricompensare il collega per l’attività di supporto: se di questo onere si potesse poi fare carico, in tutto o in parte, l’Ente di Previdenza – spiega Anedda - avremmo un intervento di assistenza previdenziale in grado di favorire anche lo svolgimento dell’attività lavorativa».

D’altra parte, non occorre neppure dimenticare che quella che si pone all’orizzonte è una sfida duplice: rispondere sì in modo funzionale ai trend demografici e socio-economici in atto, individuando però strade capaci di garantire la sostenibilità del sistema. «La soluzione non è certo di breve portata», puntualizza il Presidente CNPADC, ricordando del resto che le attuali tendenze lasciano facilmente presagire che gli oneri del sistema previdenziale saranno in crescita anche nel corso degli anni a venire, rendendo a maggior ragione necessaria una razionalizzazione dell’attuale sistema: «E’ necessario  cambiare il metodo con cui si approccia il problema, passando da un sistema previdenziale basato sull’erogazione monetaria all’individuo, a un sistema previdenziale basato sull’erogazione di servizi a favore dell’individuo».

E all’interno di un contesto così ricco di sfumature, quale invece il ruolo delle istituzioni politiche? Accantonando temporaneamente le novità più recenti, dove segnali interessanti arrivano ad esempio dalla Legge di Bilancio e dall’esclusione delle Casse dalla spending review (dal 2020), e potendo invece liberamente invocare un provvedimento per il prossimo anno, «chiederei – commenta provocatoriamente Walter Anedda - un impegno a non intervenire sul sistema pensionistico privato, auspicando la riqualificazione dell’autonomia del nostro sistema, magari attraverso un norma quadro che garantisca, se non dietro consenso degli interlocutori coinvolti, «l'impossibilità di estendere automaticamente provvedimenti assunti per il sistema pubblico al privato, che a differenza del primo – che si fonda anche sulla fiscalità collettiva – si regge sui soli contributi dei propri iscritti». Non di minor conto, poi, anche l’aspetto di carattere finanziario: «Senza dover necessariamente tornare sul tema della doppia tassazione, rimane fermo il fatto che il sistema previdenziale privato oggi sconta oneri di carattere tributario, diretto o indiretto, che non hanno ragione d’essere se non di far fare cassa allo Stato».

Conciliare funzione pubblica e natura privata resta una delle grandi sfide che si pongono all’orizzonte quando si parla di Casse di Previdenza dei liberi professionisti e ancor di più quando si ragiona sul tema degli investimenti in economia reale e, in una prospettiva più  ampia, sul ruolo che possono assumere in una logica di sostegno economico al Paese.  «Spesso in effetti il confronto sul tema, anche con rappresentanti politici, verte sul tema di come le Casse potessero essere d’aiuto al Paese, quasi prescindendo dal fatto che le Casse abbiano come scopo principale quello di pagare i trattamenti pensionistici  - puntualizza in merito Anedda, ricordando che quello che viene spesso definito come un patrimonio da oltre 80 miliardi è in realtà un risparmio previdenziale di 80 miliardi di euro, necessario innanzitutto a permettere alle Casse di pagare pensioni nel futuro. Ecco perché diventa allora fondamentale che, nel fare le loro scelte di investimento, le Casse possano liberamente agire in ordine di priorità: «Occorre perseguire scelte che prioritariamente consentano la salvaguardia del capitale e, contestualmente, un rendimento che sia in linea con le attese. Se tutto ciò può essere conseguito attraverso investimenti in economia reale, ben venga. Ma è un di cui che si basa sulla consapevolezza di chi  ha già investito e non poco (abbiamo ormai raggiunto il 5% del nostro asset) in economia reale». 

Mara Guarino

11/1/2018

 
 

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