Tre impedimenti che possono frenare la ripresa

Instabilità politica, troppa burocrazia ed eccessiva frammentazione dell'apparato statale hanno rappresentato negli ultimi anni alcuni dei principali ostacoli allo slancio economico dell'Italia: problemi ormai radicati ma da risolvere, pena il rischio di perdere le grandi opportunità offerte dal PNRR

Alberto Brambilla

Tra i tanti problemi che affliggono l'Italia e ne costituiscono un limite allo sviluppo e alla crescita, vale la pena affrontarne sinteticamente almeno tre che - se irrisolti - rallenteranno le semplificazioni e la realizzazione dei progetti del PNRR, “l’ultima chiamata” per il nostro Paese.

Il primo, la grande instabilità politica causata dalle leggi elettorali e dal perenne stato di campagna elettorale che blocca la progettualità italiana e immerge la nazione nell’immobilità, affiancata dal “metadone” delle continue promesse “acchiappaconsensi”; il secondo, la bizantina, complessa e parcellizzata macchina amministrativa, con troppi centri decisionali che complicano lo sviluppo delle attività produttive; terzo e ultimo, le troppe leggi, i regolamenti, gli ordinamenti comunali, provinciali, regionali e statali cui oggi si affianca anche una robusta normativa europea che, insieme ai troppi centri decisionali, asfissiano il Paese. 

1) Dal febbraio 2013 al gennaio 2020 (7 anni) nel nostro Paese si sono tenute ben 22 tornate elettorali tra europee (2), politiche (2) e amministrative (18), cioè 3,14 campagne elettorali ogni anno - 5 nel 2013 e 2018, 4 nel 2019, 3 nel 2014, 2 nel 2017 e 1 nel biennio 2015/16 - che hanno riguardato 218 amministrazioni centrali e periferiche, con esclusione delle comunali che nel periodo sono state ben 12.875. In pratica, salvo il 2015 e 2016, ogni anno siamo stati sottoposti a 7 mesi medi di campagna elettorale e di discussione post-elettorale, senza farci mancare nulla perché nello stesso periodo si sono avvicendati ben 5 governi (Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e 2), non poco!

Quindi, 7 anni di campagne elettorali a colpi di rinfacciamenti e promesse: promesse che hanno aumentato la spesa sociale dai 92,7 miliardi del 2013 agli oltre 114 miliardi del 2019, cui si devono sommare altri 20 miliardi per gli interventi assistenziali e per la casa degli enti locali, con un incremento medio annuo del 4,3%, di gran lunga superiore all'inflazione e al PIL. Tuttavia, nonostante questa “grande distribuzioni di soldi” la povertà -  dice l’Istat - è raddoppiata e così pure la “volatilità elettorale” che si è mangiata in meno di 3 anni il PD (aveva il 40%), in 18 mesi il M5S (aveva il 34%), le “sardine”, la Lega (37%)... E adesso? 

2) Il secondo problema è l’eccessiva parcellizzazione delle amministrazioni territoriali, che producono molti problemi burocratici ed economici al sistema produttivo limitandone produttività e sviluppo. In Italia ci sono 7.914 comuni, 107 province di cui 10 città metropolitane, 19 regioni e due province autonome (Trento e Bolzano). Tra le regioni ce ne sono 4 a statuto speciale: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia di cui non si capisce più il senso. E poi ci sono le 148 comunità montane che si dovevano abolire nel 2012. In totale i centri dotati di poteri amministrativi, escludendo i parchi, sono 8.190, che diventano 8.386 includendo ASL e aziende ospedaliere; i centri di acquisto sono ancor di più.

Ogni comune ha un suo regolamento e norme specifiche, che molto spesso sono diverse tra entità comunali confinanti nelle materie edilizia, urbanistica, trasporti ecc., creando problemi di viabilità e produttivi per coloro che operano in più comuni; lo stesso vale per le regioni che hanno regole assai differenti in moltissimi campi e nella sanità con 97 ASL, AOA, IRCCS, ATS ecc. Ci sono 1.560 comuni con meno di 800 abitanti (20%), altri 1.286 comuni tra 801 e 1.500 abitanti (16%), tra 1.501 e 5.000 sono 2.726 (un altro 34%). Considerando che per ottenere un minimo di efficienza e di offerta di servizi alla popolazione occorrerebbero tra i 10 e i 15mila abitanti, solo 1.228 -  cioè il 15% dei comuni - ha questa dimensione. Con questa selva di amministrazioni e con tutte le aziende partecipate, sarà difficile sveltire le procedure ma soprattutto avere le giuste competenze. La soluzione potrebbe essere di lasciare nominalmente i comuni come sportelli decentrati ma accentrare nelle province - che non dovrebbero essere più di 60 - tutte le attività comprese le comunità montane e i parchi, così come i servizi consortili, (smaltimento rifiuti, piani regolatori, scuole, strade e infrastrutture). Quanto alle regioni che senso ha avere Valle d'Aosta (126.202 abitanti), Molise (308.493), Basilicata (567.118), Umbria (879.337) e Trentino-Alto Adige (1.074524)? Regioni tanto piccole da diventare spesso inefficienti e costose, senza un reale piano di sviluppo e molto spesso approdo della maggior parte dell'occupazione locale: potrebbero assumere il ruolo di province rendendo la Regione un ente intermedio di coordinamento con massimo 11 realtà regionali. 

Il terzo problema è legato all’eccessivo proligerare di leggi, di cui nessuno sa il numero. Si dice, spulciando gli atti del Poligrafico dello Stato, che dall’Unità d’Italia a oggi siano 187.000 di cui ancora molti regi decreti, decreti luogoteneziali e 21 atti firmati da Mussolini. Ci sono poi le leggi, e le normative regionali e i regolamenti provinciali e comunali: fossero solo 20 per comune (ma saranno sicuramente molti di più) avremmo altre 170mila norme. Una follia che costa ai cittadini e soprattutto agli imprenditori tante giornate perse per inseguire la “malattia mentale” della nostra burocrazia. Si potrebbero modificare i regolamenti parlamentari imponendo alle diverse Commissioni di Camera e Senato di esaminare, ognuna per le sue competenze, tutte le leggi, eliminando i doppioni e le norme con più di 25 anni e lavorando sui testi unici; lo stesso dovrebbero fare le “nuove province”.

Per il lavoro, ad esempio, si passerebbe da oltre 1.500 pagine a meno di un centinaio, diminuendo il contenzioso nei tribunali in modo esponenziale, favorendo le assunzioni e rendendo più semplice fare impresa, con un guadagno per aziende, lavoratori e produttività. Quanto PIL in più con le metà delle leggi indicate?

Un libro dei sogni? Perché non provarci?! La rinascita del Paese e il successo del PNRR dipendono da noi. 

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

30/6/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Messaggero del 25/6/2021
 
 
 

Ti potrebbe interessare anche