Donne, lavoro e natalità: prima e dopo la pandemia di COVID-19

Per molte lavoratrici la famiglia resta difficile da conciliare con l'attività professionale,  imponendo scelte difficili: ecco come COVID-19, malgrado o forse proprio in virtù dei suoi pesanti effetti sull'occupazione femminile, può diventare l’occasione per potenziare gli strumenti volti a favorire il work-life balance 

Mara Guarino

Come evidenziato dagli ultimi dati Istatgli effetti della pandemia di COVID-19 hanno investito nel 2020 tutte le componenti del ricambio demografico: non solo la pesante mortalità provocata dal nuovo coronavirus (746mila il livello eccezionale raggiunto dai decessi), dunque, ma anche una minore mobilità residenziale interna e con i Paesi esteri, un calo sensibile dei matrimoni e  l’ennesima riduzione delle nascite, passate nell’arco di 12 anni da un picco relativo di 577mila nati ai 404mila dello scorso anno. Con conseguente saldo negativo pari a 342mila unità. 

Numeri impressionanti ma non del tutto imputabili a SARS-CoV-2, le cui ripercussioni sulle scelte riproduttive degli italiani hanno potuto per forza di cose manifestarsi solo a partire da dicembre 2020. In altre parole, se è innegabile che la demografia nazionale del presente e del prossimo futuro sta risentendo della crisi sanitaria  (le nascite risultano in diminuzione anche per i primi mesi del 2021), lo è altrettanto che  l’Italia è ormai già da tempo alla prese con una “questione demografica”, di delicata interpretazione e complessa risoluzione. 

 

COVID-19, natalità e occupazione femminile: dal presente… 

E per quanto l’argomento non possa certo essere esaurito analizzando solo una delle sue molteplici componenti - così come del resto ben sottolineato dal Prof. Brambilla in quest’articolo che mette in relazione il tema della natalità con argomenti altrettanto centrali per il Paese (sostenibilità ambientale e sociale, qualità e impatto dei fenomeni migratori, andamento della spesa assistenziale) – è indubbio che tra i nodi centrali da sciogliere, per provare quantomeno a venirne a capo, ci siano occupazione femminile e conciliazione vita-lavoro. Work-life balance che - va detto - di per sé non dovrebbe conoscere genere ma che, numeri alla mano, si tinge inevitabilmente di rosa, specie in Italia, per ragioni storiche e culturali

Una domanda sorge allora spontanea: ben noti i trend pre-emergenza, in che modo la pandemia ha inciso su queste dinamiche? Premessa indispensabile a farsi è che la crisi sanitaria ha pesantemente danneggiato il mercato del lavoro italiano con particolare riferimento alle categorie che già pre-COVID si erano dimostrate più fragili, tra cui proprio le donne. La percentuale di lavoratrici che ha perso il lavoro nel 2020 è stata doppia rispetto a quella degli uomini, tanto che il gap di genere sul tasso di occupazione è aumentato di mezzo punto, passando da quota 17,8 a quota 18,3 punti. 

Le donne sono poi risultate più penalizzate anche nelle nuove assunzioni, faticando più dei lavoratori maschi a reinserirsi nel mercato dopo il primo lockdown: nel secondo trimestre 2020, la riduzione tendenziale delle attivazioni dei rapporti di lavoro delle donne supera di 6,2 punti percentuali il calo osservato per la componente maschile (rispettivamente, -49,0%- e 42,7%).  Sempre le lavoratrici, insieme ai giovani fino ai 24 anni di età, sono infine tra le “categorie” ad aver aspettato il maggior tempo prima di trovare una nuova occupazione, con distanze rispettivamente pari a 99 e 100 giorni, 21 e 22 in più rispetto al 2019. 

 

COVID-19, natalità e occupazione femminile: …alle prospettive future 

D’altra parte, però, l’emergenza ha sì ampliato i carichi familiari (si pensi ad esempio alle scuole chiuse) ma anche imposto il passaggio repentino alla sperimentazione del lavoro da remoto in molti settori. E, guardando anche ai recenti provvedimenti legislativi in materia, si prefigurano ora le condizioni perché, se non altro nelle realtà aziendali in grado di compiere tutti gli sforzi tecnologici e organizzativi necessari, smart working e altre soluzioni di flessibilità nella gestione dei tempi e degli spazi di lavoro vengano mantenuti e promossi anche in condizioni di “normalità”, segnando un punto importante per quei lavoratori, e soprattutto quelle lavoratrici, che si ritrovano a dover conciliare doveri professionali e cura familiare. 

È insomma evidente che le donne abbiano sofferto e soffrano tuttora più degli uomini la crisi occupazionale innescata da COVID-19, ma più per ragioni pregresse al virus che a causa del coronavirus stesso. Il quale può anzi ora contribuire a dirottare risorse (il PNRR) al servizio di misure a sostegno della partecipazione femminile al mercato del lavoro e mirate ad agevolare il work-life balance, le quali potrebbero, a propria volta, rivelarsi una buona leva per la natalità, sviluppando finalmente un contesto socio-economico nel quale le famiglie e soprattutto le madri non debbano sentirsi in qualche misura “costrette” a sacrificare la professione in favore della vita familiare, o viceversa. 

A una fondamentale condizione: quella di privilegiare strumenti concreti, strutturali e proattivi, come lavoro agile, asili nido e defiscalizzazione per baby sitter e collaboratori familiari, a misure monetarie e/o a debito come l’assegno unico universale.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali

6/9/2021

 
 

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