Mercato del lavoro, ripresa e PNRR: cosa aspettarsi dal 2022?

Stando ai dati Istat riferiti al mese di gennaio, il livello di occupazione è fermo, la ripresa rallenta, ma cresce la stabilizzazione di assunzioni a termine: il Recovery Plan potrebbe però permettere un consistente balzo in avanti

Claudio Negro

La pubblicazione Istat “Occupati e Disoccupati” con i dati di gennaio 2022 non mostra novità significative, ma alcune rilevazioni meritano di essere prese in particolare considerazione. Vediamo: il livello di occupazione resta sostanzialmente fermo, come già negli ultimi due mesi del 2021. Si tratta del segnale che la corsa alla ripresa ha rallentato nell’ultimo scorcio del 2021?

In realtà, il PIL atteso per il 2022 è superiore al 4%, e a gennaio l’aumento già acquisito per l’anno è già del 2,4%. Tuttavia, l’indice di fiducia delle imprese continua a scendere, come già a dicembre, mentre l’inflazione sale. Non è fuori luogo pensare a un rallentamento della crescita nei prossimi mesi, anche drammatico se gli scenari di guerra dovessero diventare ancora più dominanti. In ogni caso, e questo è il primo rilievo statistico che vale la pena osservare, il sostanziale consolidamento dei numeri dell’occupazione - appena 7.000 unità in meno del mese di dicembre -  vede però un'interessante redistribuzione al suo interno: scendono gli occupati a termine (meno 32.000) e aumentano quelli a tempo indeterminato (più 23.000). 

Impossibile, fino a quando non verranno comunicati i dati relativi alle Comunicazioni Obbligatorie, stabilire se si tratti di nuove assunzioni o di stabilizzazioni di contratti a termine, ma è molto probabile che per la maggioranza valga proprio questa seconda ipotesi: un sintomo abbastanza rilevante del fatto che, nelle imprese, si inizia a pensare a una stabilizzazione delle posizioni lavorative acquisite più che a un’ulteriore crescita. Il che, se vero, sarebbe un segnale indubbiamente positivo ma, al tempo stesso, anche un'evidente allusione a un tetto di occupazione ormai raggiunto, al netto degli apparentemente incomprimibili posti vacanti (quasi 350.000 a fine 2021).

Un altro indizio della possibile stasi occupazionale che potrebbe interessare il Paese nei prossimi mesi è nella combinazione del numero di inattivi (+73.000) e dei disoccupati (meno 51.000). Dati che indicano come meno persone cerchino attivamente lavoro (inattivi): diminuiscono dunque anche i disoccupati - coloro che cercano lavoro e non lo trovano - ma anche come conseguenza di una minore aspettativa per gli inoccupati di trovare lavoro.

Per capire se le cose stiano effettivamente così occorre aspettare ulteriori dati sulle ore lavorate (pro capite e monte ore) e sulla produzione industriale e sui flussi di mano d’opera (avviamenti-cessazioni). Restano comunque sull’orizzonte due questioni problematiche: le trasformazioni dell’automotive, che rischiano di produrre contraccolpi nell’occupazione di tutta la filiera, e la progressiva digitalizzazione del mercato del lavoro italiano. Un processo che determinerà un crescente bisogno di nuove figure  professionali, e per il quale va ancora sperimentato se gli strumenti di aggiornamento formativo, in primis il Fondo Nuove Competenze, siano adeguati.

In conclusione, è d'altra parte opportuno tener presente come i significativi investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbero avere un significativo impatto sull’occupazione nel comparto delle costruzioni, della sanità e della pubblica amministrazione.     Tuttavia, anche nella migliore delle ipotesi, il prossimo (e in generale i prossimi) anno assegna alla politica del lavoro il difficile compito di provare a rimontare quello scalino di almeno 10 punti che divide il nostro tasso di occupazione da quello medio europeo. Il che significa politiche attive per l’occupazione sia sul terreno della formazione continua che su quello dell’accompagnamento al lavoro, e anche politiche per la fuoruscita dal “lavoro povero”: se queste ultime possano consistere nel salario minimo di legge o nella validità obbligatoria dei CCNL andrebbe stabilito nel corso di una seria discussione su come favorire la mobilità del lavoro, disincentivando il ricorso a strumenti puramente assistenziali in favore di misure più attive e orientate all’inserimento nel mercato.

Le circostanze politiche ed economiche sembrano essere favorevoli: la ripresa e le risorse del PNRR sono occasioni per un salto di qualità del nostro mercato del lavoro che sarebbe criminale sprecare.

Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali        

14/3/2022

 

 
 

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