Occupazione, segnali positivi e inversioni di tendenza

Gli ultimi dati in arrivo da INPS e ISTAT evidenziano segnali contrastanti: i risultati sul fronte dell'occupazione restano positivi, ma si possono anche cogliere i sintomi di una possibile inversione di tendenza. Un fenomeno congiunturale o un (preoccupante) cambio di rotta?

Claudio Negro

Con fortunata coincidenza sono usciti a 24 ore di distanza l'Osservatorio sul Precariato dell'INPS, che esamina le dinamiche del Mercato del Lavoro del primo semestre 2018, e l'ISTAT che aggiorna i dati a luglio mettendo a fuoco i valori assoluti.  Si tratta di valori che suggeriscono una riflessione decisamente positiva per quanto concerne i saldi occupazionali tendenziali, ma che non può fare a meno di osservare qualche importante segnale di inversione del trend. Naturalmente è prematuro trarre previsioni pessimistiche, ma sarebbe altrettanto sbagliato non tenerne conto e non cercarne la cause. 
 
Il dato positivo più evidente è quello del numero assoluto degli occupati, che a luglio erano 23.292.000, con un aumento del 1,2% rispetto allo stesso mese del 2017, uguale per maschi e femmine, e un tasso di occupazione pari a 58,7% (+0,8% rispetto all'anno scorso). L'aumento tendenziale del tasso di occupazione al netto della componente demografica (variazioni contabili dovute al passaggio di lavoratori da una fascia di età ad una superiore) riguarda tutte le classi di età: +1,5% tra i 15 e 34 anni, +0,6% tra 35 e 49 anni, +2,6% tra 50 e 64 anni.
 
Altri dati positivi riguardano le stabilizzazioni di rapporti di lavoro a termine e/o di apprendistato: nel primo semestre 2018 sono state 250.000 contro le 182.000 del primo semestre 2017. Diminuiscono le cessazioni di contratti a tempo indeterminato (753.000 nel primo semestre contro 790.000 dell'anno precedente). I licenziamenti per ragioni economiche scendono nel primo semestre 2018 (314.883 contro 355.633 del 2017) mentre salgono leggermente quelli per motivi disciplinari (51.988 contro 49.540). La percentuale di contratti part time rispetto a quelli full time è in leggerissima decrescita (52,8% contro 53,6%).
 

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Ciò detto, vale la pena prendere in considerazione la dinamica di alcuni indicatori negli ultimi 7 mesi (da gennaio a luglio). Mentre maggio segnava un record, sia per l'occupazione (23.361.000 occupati) che per le nuove assunzioni (708.264) giugno registra una flessione (23.320.000) e ancor più luglio (23.292.000), e un calo delle nuove assunzioni (692.618 a giugno). Significativo è il dato dei contratti a tempo indeterminato: fino a maggio sono stati in crescita (per il 29% grazie agli incentivi della Legge di Stabilità), ma dal mese di giugno hanno improvvisamente invertito la tendenza, nonostante abbiano consolidato un trend di crescita per tutto il primo trimestre, scendendo bruscamente dalle 102.000 assunzioni di maggio alle 82.000 di giugno e un ulteriore saldo negativo (in questo caso parliamo di occupati e non di assunzioni) di 44.000 tra luglio e giugno. Il tasso di disoccupazione decresce, ma essenzialmente per effetto dell'aumento della popolazione inattiva (+0,3% da giugno a luglio: ci sono cioè meno persone che cercano occupazione e quindi non risultano disoccupate).
 
Nulla di tutto ciò è straordinario, queste fluttuazioni ci sono state anche nel recente passato: il tasso di occupazione era calato anche a dicembre 2017 (58,1 rispetto al 58,3 di novembre) per poi risalire. Il tasso di inattività è sempre stato piuttosto ballerino, dall'inizio della ripresa, con scostamenti mensili nell'ordine dello zero virgola in meno o in più. Le assunzioni a tempo indeterminato sono mediamente in calo da quando è cessato l'effetto degli incentivi del Jobs Act,che quelli della Legge di Stabilità hanno solo parzialmente rimpiazzato. 
 
Ma era da tempo che tutti gli indici non scendevano simultaneamente e per due mesi consecutivi. Si può trovare una spiegazione a tutto: le aziende hanno trasformato in contratti a tempo indeterminato tutti i contratti a termine che avevano già deciso di trasformare, e adesso aspettano a fare nuove assunzioni di vedere come impatterà il Decreto Dignità con la modifica all'indennità di licenziamento. Così come è probabile che le imprese attendano nuove indicazioni sulle dinamiche economiche, visto che le ultime segnalano un peggioramento generale del clima: aumenta meno del previsto il PIL, cala l'indice di fiducia dei consumatori (da 116,2 a 115,2 da luglio ad agosto) e delle imprese (da 105,3 a 103,8), diminuisce dello 0,2% l'export. Dunque, è molto verosimile che le imprese siano preoccupate per il clima di incertezza riguardo alle scelte del governo in materia di fisco, pensioni e spesa pubblica e alle conseguenze sull'indebitamento dello Stato con annessi effetti collaterali sui tassi di interesse. E contribuisce all'incertezza naturalmente l'effetto annuncio del Decreto Dignità, che potremo verificare concretamente dopo l'entrata in vigore effettiva del provvedimento, quindi intorno al mese di novembre.  A ciò si aggiunge un certo ondivagare delll'esecutivo tra nazionalizzazioni e smantellamento del Job’s Act, tra “sfondamento” della soglia del deficit oltre il 3% per finanziare la spesa corrente e inutili polemiche con l'Unione Europea. 
 
Durante il mese di settembre capiremo se siamo davanti a un fenomeno del tutto congiunturale o se il trend di crescita dell'economia italiana si è effettivamente invertito... Un vero paradosso in un contesto in cui tutti gli altri crescono!   

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff

7/9/2018 

 
 
 

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