Se i numeri (non) mentono: indicatori positivi, mercato del lavoro stagnante

Nonostante il miglioramento dei principali indicatori, il mercato del lavoro italiano continua ad attraversare una sostanziale fase di stallo, caratterizzata da una progressiva erosione delle ore lavorate e da una perdurante stagnazione delle retribuzioni. Come evidenziato dall'ultimo Osservatorio sul mercato del lavoro a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, difficile prevederne una ripresa nella seconda metà dell'anno

Claudio Negro

I dati Istat relativi al mese di giugno indicano che la (lieve) crescita occupazionale si è bloccata al mese di maggio, adesso anzi cala leggerissimamente (- 6.000 unità). La curva dell'occupazione, che aveva ripreso a salire dopo la battuta d'arresto del secondo semestre 2018, si è nuovamente fermata.

Da notare che la fine della crescita occupazionale è essenzialmente dovuta a un calo del numero dei lavoratori autonomi (-58.000 rispetto a maggio, pari a -1,1%) non compensato dall'aumento, modesto, dei lavoratori subordinati (+ 0,3%). Considerazione che mette peraltro in luce il il fatto che la crescita dei mesi precedenti fosse robustamente sostenuta proprio dall'incremento dei lavoratori autonomi (+0,15% mediamente negli ultimi 3 mesi), un incremento molto vicino a quello dei dipendenti (+0,23%). A giugno, invece, l'aumento dei dipendenti resta nello stesso ordine di grandezza (0,3%) ma viene a mancare il contributo degli autonomi. Nella sostanza, per quanto concerne i dipendenti, tra il secondo semestre 2018 e il primo 2019, c'è una crescita reale per quanto non impetuosa ( +1%).

Anche il processo di riequilibrio tra contratti stabili e a termine, iniziato con le incentivazioni del Jobs Act (2015), pare aver raggiunto la sua conclusione: il dato di giugno 2019 su maggio mostra un incremento uguale per entrambe le tipologie (+ 0,3%). Anche il dato del secondo trimestre rispetto al primo evidenzia tassi di crescita simili (+0,8% i contratti stabili, +0,6% quelli a termine). Naturalmente, i numeri assoluti delle due tipologie contrattuali restano ben distanti: i contratti stabili sono 15.053.000 e hanno ormai superato i numeri ante-crisi (non sono comunque mai scesi sotto i 14.428.000, nonostante i media nel frattempo ci rappresentassero come un Paese fondato sul precariato...); quelli a termine sono 3.072.000, circa 900.000 in più del periodo precrisi. Il fatto che gli incrementi percentuali delle due tipologie siano sostanzialmente analoghi dimostrano che, almeno nell'attuale congiuntura e più probabilmente in termini strutturali (come in tutta Europa), esista uno spazio incomprimibile  di lavoro cui le imprese ritengono opportuno far fronte con contratti flessibili (quantificabile mediamente tra il 15% e il 20%). Non c'è Decreto Dignità che tenga: la job property non esiste più e non può certo essere riportata in vita ope legis.

Come evidenziato anche nell'ultimo Osservatorio sul mercato del lavoro curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, un altro dato negativo, che però viene oscurato dal calo (-0,1%) del tasso di disoccupazione, è che il tasso di inattività (persone che non lavorano e non cercano lavoro) è inscalfibile: il 34,3% delle persone in età da lavoro, come ormai da 8 mesi a questa parte e un incremento dello 0,2% rispetto a un anno fa. La sensazione, del resto in linea tutti i dati sopra citati, è che sul piano occupazionale si sia arrivati al fondo del barile, almeno nella situazione data e con gli strumenti esistenti. Del resto, con il PIL ormai proteso alla crescita zero, è difficile pensare che si creino le condizioni per una aumento della partecipazione al mercato del lavoro.

Viceversa, ci sono i segnali che stia ripartendo un riflesso classico del sistema economico in tempi di crisi o stagnazione: la diminuzione delle ore lavorate ed eventualmente la loro redistribuzione tra gli addetti. Partiamo da un dato (dicembre 2018) che vede il monte ore lavorate annuo inferiore del 5,8% a quello del 2008, nonostante gli occupati siano più numerosi: l'INPS informa che a giugno 2019 le ore di cassa integrazione autorizzate sono state del 42,6% più numerose di quelle di 12 mesi fa, e in maggior parte di CIG Straordinaria, quindi non di breve termine. A fine 2019 il monte ore lavorate sarà sceso ancora più sensibilmente, con effetti pressoché certi sulle retribuzioni e poi, forse, anche sull'occupazione stessa. 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff 

12/8/2019 

 

 
 

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