Reddito di Cittadinanza: un bilancio del primo anno di gestione

I dati al momento disponibili non consentono valutazioni approfondite sulla concreta efficacia del Reddito di Cittadinanza come misura di contrasto della povertà: in attesa di maggiori indicazioni, tutti i segnali sembrano però smorzare l'entusiasmo recentemente ostentato dai suoi promotori, dando anzi ragione alle riserve da più parti espresse già nel corso dell'iter di approvazione del testo legislativo 

Natale Forlani

Nella conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, riprendendo una precedente dichiarazione del Presidente dell’INPS Pasquale Tridico, ha espresso il suo entusiasmo per gli esiti ottenuti nel primo anno di attuazione del reddito di cittadinanza che, a suo dire, avrebbe ridotto del 60% il numero delle persone in condizione di povertà assoluta in Italia.

Sulla metodologia utilizzata per elaborare i numeri, e confortare le affermazioni, le istituzioni interessate non hanno fornito spiegazioni. 

Un tentativo di chiarire il loro significato è stato effettuato sul blog del Movimento 5 Stelle. Secondo il quale tale risultato si otterrebbe calcolando il numero delle persone beneficiarie comunicate dall’INPS sulla base delle domande accolte entro il mese di novembre 2019 - 2,451 milioni nell’ambito di 1,066 milioni di nuclei familiari, con le persone in condizioni di povertà assoluta stimate dall’Istat per l’anno 2018, circa 5 milioni, e dopo aver sottratto dalle stime dell’Istituto di statistica nazionale circa1 milioni di persone appartenenti a nuclei con un patrimonio superiore a quello previsto dai requisiti stabiliti dalla legge per beneficiare dei sussidi del Reddito di Cittadinanza.  

La propaganda che sostituisce la comunicazione istituzionale è purtroppo una caratteristica diffusa di questi tempi. Nella gestazione del reddito di cittadinanza questo difetto ha obiettivamente assunto dei contorni farseschi. A partire dal proposito dichiarato dall'allora Vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio di abolire la povertà assoluta per decreto nel corso di un anno, dalle ordinazioni di 6 milioni di fantomatiche card elettroniche per erogare i sussidi, e dalla promessa di creare 1 milione di nuovi posti di lavoro con l’immissione dei navigator nei centri pubblici per l’impiego.

Cerchiamo di comprendere, con l’ausilio dei dati resi disponibili da Istat, INPS e Anpal, l’Agenzia Nazionale che coordina gli interventi sulle politiche attive del lavoro, cosa realisticamente è avvenuto nel corso del 2019. In attesa di rapporti di monitoraggio che diano conto, con maggiori dettagli, degli esiti effettivi del provvedimento in questione.

 

Le rilevazioni dell'Istat e i dati sulle domande accolte per il reddito di cittadinanza 

Sulla base dei dati aggiornati dall’INPS alla data del 6 dicembre 2019 le domande pervenute all’istituto erogatore per il reddito di cittadinanza e per la pensione di cittadinanza sono 1,623 milioni tra le quali: 1,066 milioni quelle accolte, per un numero di 2,451 milioni di persone beneficiarie, 112mila quelle in lavorazione e 445mila quelle formalmente già respinte o cancellate per l’assenza di requisiti. Per un importo medio erogato di 484 euro per nucleo familiare. Tra le domande accolte 891mila riguardano i percettori del reddito di cittadinanza, per un importo medio di 522 euro, e di 219 euro per le 124mila destinate ai nuclei beneficiari delle pensioni di cittadinanza.

Questi numeri si discostano in modo significativo sia dalle recenti rilevazioni effettuate dall’Istat per l’anno 2018 (1,8 milioni di nuclei e 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta) sia dalle stime effettuate nella relazione statistica che ha accompagnato la gestazione parlamentare del provvedimento, redatta sulla base dei requisiti di accesso previsti nel dispositivo legislativo (1,350 milioni di nuclei e 3,5 milioni di persone coinvolte).

Ma lo scostamento più significativo riguarda l’impatto qualitativo del provvedimento. Infatti nelle rilevazioni effettuate dall’Istat, nei 1,8 milioni di nuclei familiari e le 5 milioni di persone in condizione di povertà assoluta, sono compresi 567mila nuclei familiari con 1,6 milioni di persone di origine straniera (oltre il 30% sul totale delle persone potenzialmente beneficiarie) che, nell'analisi delle domande accolte dall’INPS, risultano avere un'incidenza inferiore al 10%. L’origine del sotto-dimensionamento delle domande degli stranieri regolarmente residenti in Italia è strettamente connessa a due vincoli introdotti nella legge costitutiva che hanno ristretto l’accesso alle prestazioni ai cittadini stranieri privi del requisito dei 10 anni di residenza in Italia, e all’obbligo posto in capo ai richiedenti stranieri di certificare i requisiti di reddito e patrimoniali richiesti sommando i valori posseduti in Italia con quelli detenuti nei Paesi di origine. Sul primo vincolo, esposto al rischio di incostituzionalità e di violazione delle direttive europee che prevedono l’obbligo di autorizzare l’accesso ai diritti sociali almeno per i cittadini stranieri lungo-soggiornanti, pendono i pronunciamenti della magistratura. Il secondo vincolo è stato recentemente rimosso per l’evidente impossibilità di acquisire una documentazione congrua e certificata nella stragrande maggioranza dei Paesi di origine.

Nell’insieme, questi due vincoli hanno sinora provocato una sostanziale esclusione dal reddito di cittadinanza dei nuclei che, secondo le rilevazioni dell’Istat, rappresentano la popolazione più esposta in termini di intensità di povertà assoluta, per livelli di reddito, di patrimonio e di carichi familiari. E tutto questo finisce per generare una serie di conseguenze sull’impatto concreto del provvedimento rispetto all’obiettivo di contrastare i livelli di povertà rilevati nelle statistiche ufficiali.

Le 911mila domande accolte per i nuclei composti da cittadini italiani rappresentano una risposta pari al 73% del fabbisogno di intervento per le famiglie autoctone. Praticamente, l’intera platea dei poveri italiani se depurata da quelli in possesso di un patrimonio superiore ai requisiti previsti dalla legge. Tali dati, se associati a quelli relativi alle domande inoltrate e non accolte, 445mila, o in fase di lavorazione, 112mila, evidenziano una propensione a richiedere il Reddito di Cittadinanza da parte dei nuclei familiari italiani di gran lunga superiore a quella potenzialmente rilevata nell’indagine dell’Istat (1,250 milioni). L’effetto si ripercuote anche sulla capacità di dare risposte al segmento più debole, le 750mila famiglie povere, tra le quali 300mila, il 40%, sono di origine straniera, con a carico circa 1,3 milioni di minori. Giova rilevare che la probabilità di precipitare nelle condizioni di povertà assoluta per i nuclei familiari con minori a carico è di 4 volte superiore per quelli di origine straniera rispetto a quella delle famiglie italiane. 

L’Osservatorio INPS, d’altro canto, conferma che solo un terzo delle domande accolte, meno di 350mila, riguardano nuclei familiari con minori a carico, a fronte del 39% di quelle rivolte a singole persone. Numeri assai distanti dai fabbisogni stimati dal nostro istituto di statistica e che finiscono per aggravare l’efficacia dell’intervento verso le famiglie più intensamente esposte alla povertà assoluta, già penalizzate nel meccanismo di calcolo del sussidio introdotto con il Reddito di Cittadinanza. 

Data l’incidenza prevalente della popolazione straniera nelle regioni del Nord-Italia, la limitazione all’accesso ha comportato un notevole scostamento dei sussidi effettivamente erogati verso le regioni del Sud e delle Isole, il 62% sul totale rispetto al 45% stimato secondo gli indicatori forniti dall’Istat. E una corrispondente riduzione per le aree del Nord-Italia. Le regioni del Mezzogiorno sono peraltro, come ricordato, quelle dove si sono registrate una maggiore intensità delle domande inoltrate rispetto al grado di povertà assoluta rilevato nelle indagini Istat e una maggiore incidenza delle domande respinte rispetto alla media nazionale.

 

La congruità del sistema degli accertamenti preventivi e dei controlli previsti per il Reddito di Cittadinanza 

L’avvio della erogazione dei sussidi è avvenuto in assenza della attuazione dei provvedimenti finalizzati a verificare preventivamente la congruità dei requisiti dei richiedenti, in particolare con l’incrocio dei dati in possesso delle diverse amministrazioni riguardanti la residenza, i redditi, i patrimoni, e l’eventuale accesso a prestazioni e sostegni già percepiti dagli interessati presso l’insieme degli enti erogatori.

La gestazione di questi provvedimenti è ancora in itinere per la complessità delle competenze istituzionali chiamate a concorrere, per i tempi di rilascio dei pareri della autorità della privacy previsti per buona parte degli stessi e per la traduzione operativa dei dispositivi. Il provvedimento interministeriale relativo alla certificazione dei redditi e dei patrimoni posseduti dagli stranieri richiedenti nei Paesi di origine, è stato recentemente emesso con una presa d’atto della impossibilità di effettuare tali accertamenti. Un ritardo che comporterà inevitabilmente un successivo allargamento del bacino dei potenziali beneficiari.

In buona sostanza, l’esame delle domande inoltrate è stato effettuato sulla base delle autocertificazioni dei richiedenti e dei dati già disponibili presso l’INPS. 

Quotidianamente sui mass media vengono segnalati casi, per certi aspetti clamorosi, come quelli dei beneficiari appartenenti alle organizzazioni malavitose e di altri percettori che svolgevano attività sommerse in qualità di imprenditori o di lavoratori. Significativo il fatto che gran parte di queste violazioni siano state accertate nell’ambito di attività ispettive mirate ad altri scopi: indagini fiscali sulle imprese o finalizzate a contrastare la malavita organizzata. Nello specifico, degli interventi mirati a verificare a posteriori la congruità dei requisiti dei beneficiari, è nota solo un'indagine campione della Guardia di Finanza, che segnalava la concreta possibilità che il 70% dei beneficiari indagati non risultasse in possesso dei requisiti previsti. Non sono state però rese note le conseguenze adottate. 

In materia I'INPS ha provveduto a comunicare che circa 52mila beneficiari hanno perso i requisiti per mantenere i sussidi, si presume per via delle dinamiche spontanee del reddito percepito dagli interessati.

Purtroppo, il varo del provvedimento e la sua prima gestazione sono stati caratterizzati da un paradossale ibrido di minacce prive di senso, e sostanzialmente ingestibili (come quelle di carcerare i richiedenti che inoltrano false dichiarazioni), e una strumentazione per i controlli preventivi fortemente inadeguata

 

Le "non" politiche attive per il lavoro

Il titolo del paragrafo si potrebbe motivare con la sola constatazione dei ritardi dell’avviamento dell’apparato di supporto all’inserimento lavorativo dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza aventi i requisiti fisici, di età e di condizione familiare per essere occupabili. Ma, nella realtà, sono le stesse condizioni previste per l'individuazione delle offerte di lavoro congrue - un rapporto tempo indeterminato e un salario non inferiore ai 858 euro mensili - a rendere ingestibile una politica attiva del lavoro rivolta a soggetti "disagiati" e comunque in gran parte occupabili per mansioni che richiedono profili con bassa qualificazione. In pratica, escludendo circa tre quarti dei rapporti di lavoro che vengono effettivamente attivati ogni anno e, generalmente, soddisfatti da milioni di lavoratori che non percepiscono il Reddito di Cittadinanza. 

L’osservatorio sulle politiche attive destinate ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza attivato dall’Anpal (chiamata a coordinare l’intervento e a gestire circa 2800 navigator, il personale assunto a termine per offrire un supporto operativo ai centri per l’impiego) fornisce un aggiornamento sugli esiti delle iniziative attivate nel territorio verso i 791mila beneficiari in età di lavoro occupabili individuati con le modalità previste dalla normativa e dall’intesa sottoscritta tra Stato e Regioni relativa al potenziamento dei servizi per l’impiego dedicati a promuovere l’inserimento lavorativo degli interessati.

Sulla base del monitoraggio effettuato, gli operatori dei centri per l’impiego hanno già provveduto ad attivare il contatto con 423mila persone, tra le quali 331mila hanno già svolto almeno un colloquio e 220mila sottoscritto il patto di servizio che regola il complesso dei diritti e dei doveri delle persone; 44mila sono state esonerate dalla ricerca del lavoro in ragione dei carichi familiari, 8mila indirizzate ai servizi di inclusione sociale e 15mila sanzionate per il mancato rispetto degli obblighi previsti dalle normative.

I colloqui già effettuati presso i centri per l’impiego, a detta dell’Anpal, hanno confermato la difficile condizione di occupabilità di buona parte degli interessati. I ritardi nell’avvio dei servizi di politica attiva rispetto ai tempi di erogazione dei sussidi non consentono allo stato attuale di verificare la qualità degli specifici interventi. La stessa piattaforma tecnologica finalizzata a facilitare l’incontro domanda offerta e a monitorare gli esiti delle azioni di politica attiva del lavoro non è ancora operativa. 

L’Anpal comunica che 28.763 beneficiari hanno nel frattempo trovato una occupazione. Tra questi: il 67,2% con contratti a termine, il 18% con contratti a tempo indeterminato e i rimanenti con altre tipologie tipo tirocini e apprendistato. Il dato viene sottolineato come un riscontro della validità delle politiche attive. Un'affermazione da cogliere con beneficio di inventario, dati i ritardi nell’attivazione delle attività dei servizi già citati e per la ragionevole constatazione che questi numeri di inserimento o reinserimento lavorativo si verificano spontaneamente nel bacino delle persone in cerca di lavoro. Con tutta probabilità trattasi di persone che godevano di un sussidio di importo contenuto e non tale da assicurare una sostenibilità del nucleo di appartenenza.

Mentre, all’opposto, sarebbe interessante verificare quanti percettori dei sussidi abbiano rinunciato alla ricerca di un'opportunità lavorativa per poter beneficiare del reddito di cittadinanza. Ovvero per poterlo mantenere arrotondando l’importo percepito con prestazioni in nero. Un fenomeno ampiamente documentato dalle ricerche storicamente effettuate per verificare la concomitanza dell’utilizzo dei sostegni al reddito con le prestazioni nel lavoro sommerso. E recentemente denunciato da imprenditori che faticano a trovare un'offerta di lavoro disponibile per prestazioni a termine, part-time e stagionali.

L’impostazione scelta dal legislatore, e sulla quale sono state dirottate tutte le risorse disponibili della politica attiva nazionale, finisce per assumere la veste di scoraggiare la ricerca del lavoro, di consolidare una sorta di bacino permanente di disoccupazione assistita e potenzialmente disponibile per effettuare prestazioni in nero per la finalità di accrescere il reddito familiare.    

Del resto, anche nell’ambito del governo cominciano a circolare ipotesi di correzione dell’impianto del Reddito di Cittadinanza, correzioni rivolte in particolare a stimolare l’accettazione di qualsiasi offerta di lavoro contrattualmente regolare, consentendo un'integrazione del salario qualora inferiore al RdC percepito, ovvero consentendo il ripristino del sussidio alla conclusione di un rapporto di lavoro di breve periodo.

 

Riflessioni finali 

Allo stato attuale, i dati resi disponibili dall’Osservatorio dell'INPS e da quello dell’Anpal non consentono di effettuare valutazioni approfondite sull'efficacia del provvedimento del Reddito di Cittadinanza e dell’effettivo grado di riduzione della povertà assoluta. Ma gli indicatori che emergono dalla analisi non autorizzano di certo le stime ottimistiche rilasciate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente INPS

I numeri riscontrati nel primo anno di gestazione del provvedimento confermano semmai la validità delle riserve espresse da numerosi esperti della materia già nella fase di approvazione del testo legislativo. Il provvedimento per il contrasto della povertà assoluta adottato in Italia si discosta radicalmente dalle pratiche europee su due versanti: la pretesa di assegnare al Reddito di Cittadinanza il compito di supplire alle carenze del sistema del welfare, in particolare per gli interventi per il sostegno alle famiglie e delle politiche attive del lavoro e quindi di caratterizzarlo essenzialmente sull'espansione dei sussidi finanziari erogati.

L’intervento si dimostra inadeguato soprattutto per contrastare i livelli di povertà delle famiglie numerose e che hanno in carico le persone non autosufficienti. L’aumento degli importi dei sussidi, oltre che essere controproducente per alcune forme di disagio sociale - si pensi ad esempio alla tossicodipendenza, all’alcolismo e alla ludodipendenza - finisce per sollecitare i comportamenti opportunistici verso l’accesso ai benefici e la possibilità di mantenerli per un tempo prolungato.  

Nel caso italiano tali distorsioni vengono accentuate dalla rilevanza della quota di lavoro sommerso, che falsa i requisiti di accesso dei potenziali richiedenti dalla carenza di coordinamento sugli interventi pubblici dedicati al sostegno delle famiglie meno abbienti, favorisce la dispersione delle risorse finanziarie disponibili e indebolisce l’efficacia dei controlli preventivi, e dall'inadeguatezza degli approcci utilizzati per le politiche attive del lavoro.

La scelta ideologica di delimitare l’accesso ai benefici del Reddito di Cittadinanza e alle politiche attive del lavoro agli immigrati regolarmente residenti e, in particolare, a quelli lungo-soggiornanti come previsto dalle direttive europee, finisce per distorcere ulteriormente l’efficacia del provvedimento. Davvero singolare che in Italia vi sia una ripresa della richiesta di programmare nuove quote di ingresso di immigrati per motivi di lavoro, per lavori “che non vogliono fare gli italiani” ma che, in base dei requisiti dell'offerta congrua di lavoro prevista dalla normativa, non dovrebbero fare nemmeno i beneficiari del Reddito di Cittadinanza. 

Sono distorsioni che rendono l’attuale impianto del reddito di cittadinanza sostanzialmente irriformabile se non attraverso un radicale ripensamento degli attuali pilastri costitutivi. Un'evoluzione possibile nel quadro di un potenziamento dei sostegni alle famiglie e alla natalità, ripristinando la finalità delle politiche attive verso la programmazione del complesso degli interventi rivolti a favorire l’incontro della domanda e offerta di lavoro e ridimensionando l’entità dei sussidi a favore dell’incremento della qualità dei servizi volti a contrastare l’abbandono scolastico, il disagio familiare e le varie forme di dipendenza che caratterizzano il disagio sociale. 

Natale Forlani, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali 

13/1/2020

 
 
 

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