Funzioni fondamentali post IORP II: responsabilità ed esternalizzazione

Il recepimento di IORP II andrà certamente a incidere sulla gestione di alcune "funzioni fondamentali" per i fondi pensione, con risultati peraltro non trascurabili soprattutto per quelli con minore dotazione di risorse: i temi chiave da affrontare

Alessandro Bugli

La futura decretazione di recepimento della direttiva IORP II, attesa per l’entrata in vigore della stessa il prossimo gennaio, imporrà il compimento di tutta una serie di esercizi di adeguamento alle nuove previsioni. Si è già avuto di evidenziare come la seconda armonizzazione non potrà che avere impatti, tutt’altro che trascurabili, soprattutto per i fondi pensione di minore dotazione e risorse, finendo di fatto per rafforzare il pensiero e lo sforzo di coloro che in questi anni si sono spesi per la massima razionalizzazione delle realtà esistenti, soprattutto per quanto riguarda i fondi preesistenti.

Di notevole interesse, il tema del miglior soggetto a cui attribuire il ruolo di guidare e gestire le tre “funzioni fondamentali” del fondo pensione (internal audit, risk management e funzione attuariale, dove necessaria). Si ricorda come le funzioni possano: a) essere svolte da una singola persona o da un’unità organizzativa; b) venir cumulate tra loro, salvo per la funzione di internal audit. Quindi, ai fondi pensione, salvo deroghe, spetta il compito di dedicare almeno due risorse a queste attività oppure di procedere alla loro esternalizzazione. Si ricorda, poi, che il soggetto incaricato non deve svolgere funzioni “simili” nell’ “impresa promotrice” (datore di lavoro, in qualsiasi forma, istitutivo del fondo o contribuente per i lavoratori), salvo deroghe possibili da richiedere a COVIP.

Venendo alla bozza di decreto legislativo, questa recita che: “I fondi pensione assicurano ai titolari di funzioni fondamentali la sussistenza delle condizioni necessarie a un efficace svolgimento delle proprie mansioni che sia obiettivo, equo e indipendente” (si veda il possibile testo dell’art. 5 bis da inserire nel d.lgs. 252/2005).

Si tralascia qualche dubbio di esposizione, con ricadute sui possibili impatti (anche) sanzionatori: l’obbligo del fondo sarebbe verso il titolare della funzione e non verso il mercato o comunque verso gli aderenti (si veda il passo “i fondi pensione assicurano ai titolari di funzioni fondamentali la sussistenza delle condizioni necessarie ad un efficace svolgimento delle proprie mansioni”), così una volta garantite le condizioni di svolgimento “libero” e “indipendente” delle loro funzioni, il fondo pensione non risponderebbe più verso l’Autorità o terzi, avendo adempiuto ai propri impegni.

L’unica lettura possibile, quindi, è che – pur a fronte della fissazione di regole certe per un buon operato della funzione – la responsabilità ultima dell’operato delle stesse rimanga in capo all’organo amministrativo. A conferma di questa lettura si veda il passo per cui, in caso di esternalizzazione di tali funzioni, la responsabilità ultima del loro agire è dello stesso fondo pensione. Opinando diversamente, si verrebbe a creare un'ingiustificata disparità tra fondi che esternalizzano e fondi che al contrario gestiscono direttamente queste funzioni. Questa conclusione è rafforzata dall’obbligo in capo al Consiglio di Amministrazione di prendere posizione sulle “risultanze” e “raccomandazioni” ricevute dalle funzioni in commento. Circostanza già questa sufficiente a chiarire che il compito della funzione è quello di “evidenziare” un’anomalia o dare atto di una necessità di intervento, ma la scelta ultima (con conseguenti responsabilità) starà sempre in capo agli amministratori – e agli organi di controllo – con responsabilità patrimoniale propria.

Più complesso capire cosa si intenda per obbligo di garantire alle funzioni la possibilità di svolgere le proprie attività in modo “equo”. La versione italiana della direttiva avrebbe potuto benissimo tradurre il termine “fair” con “corretto”, evitando di indurre il dubbio che come in altri settori (ad esempio, quello assicurativo, post IDD) l’aggettivo possa essere letto come “contemperamento degli interessi in gioco”, quello del fondo stesso e quello dell’aderente, ad esempio in vicende di contrapposizione e reclamo.

Non va trascurato, poi, l’effetto di whistleblower che la funzione è chiamata a svolgere, dovendo (necessariamente!) denunciare direttamente a COVIP (sotto copertura di anonimato) l’inerzia del Consiglio di Amministrazione o del direttore generale nell’intraprendere le azioni correttive necessarie a dare risposta alle “anomalie” gestionali e alle violazioni di legge riscontrate. Il rischio di sanzioni in capo ai componenti delle funzioni fondamentali potrebbe dare linfa al ricorso a segnalazioni alla “Commissione”; elemento questo di maggior garanzia per il settore e per gli aderenti, ma anche foriero di maggiori contestazioni per i soggetti chiamati alla guida dei fondi pensione, personalmente responsabili anche in sede amministrativa (oltre che civilisticamente verso il fondo e verso aderenti e terzi per 2395 c.c.).

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Attenzione, quindi, a scegliere con attenzione e valutare attentamente a chi conferire l’incarico di internal audit o di presiedere altre funzioni fondamentali di cui al decreto, il tutto per avere certezza che le “raccomandazioni” dirette al Consiglio di Amministrazione siano razionali e ben argomentate, di modo da non dover gestirne di inutili, per la sola “paura” di segnalazioni “anonimizzate” verso COVIP.

La sensazione è che date le particolarità del settore previdenziale complementare italiano, ancora segmentato e composto da fondi di piccola dimensione, le realtà stesse non siano in condizioni di poter procedere alla creazione di funzioni “fondamentali” interne, dovendosi necessariamente percorrere la via dell’esternalizzazione verso studi legali, consulenti, attuari, risk manager e altro, con conseguenti difficoltà in alcuni casi di monitoraggio e di gestire correttamente i processi di legge (con più provider esterni); stante anche l’obbligo di responsabilità di ultima istanza in capo all’organo amministrativo (si veda la bozza art. 5 – septies, comma 1, che andrebbe a integrare il d.lgs. 252/2005).

Il fondo pensione dovrà, quindi, mettere sul piatto della bilancia della scelta di esternalizzare, non solo la competenza del soggetto delegato a gestire (almeno, in prima battuta) le sue funzioni “fondamentali”, bensì i costi rispetto al ricorso a due risorse dedicate da inserire nell’organico.

Pare chiaro che, almeno per quanto riguarda la funzione di internal audit, questa non dovrebbe andare esternalizzata verso soggetti che già si occupano di compiere altre attività per il fondo stesso (ad esempio, il service amministrativo o il consulente legale), pena il conflitto dato dall’essere controllore e controllato. Lo stesso vale per il risk management che non potrebbe, almeno logicamente, coincidere con la figura di advisor del fondo pensione.

In questo senso, il ruolo delle associazioni rappresentative del settore diviene centrale nel convenzionare (stando particolarmente attenti agli aspetti antitrust) strutture di professionisti e società di servizi che possano occuparsi dell’esternalizzazioni, con specifica competenza, su logiche di scala e contenimento dei costi indiretti per la collettività degli aderenti.

Altra soluzione, non propriamente riconducibile alla vera e propria attività di esternalizzazione, potrebbe essere quella di richiedere alle “fonti istitutive” di individuare professionisti esterni per supportare risorse interne (ove presenti) nello svolgimento del proprio incarico ovvero ricorrere direttamente autonomamente a consulenti dedicati, senza che ciò travalichi i veri e propri limiti dell’outsourcing, rimanendo la gestione della funzione le conseguenti attività all’interno del fondo stesso. 

Alessandro Bugli, Area Assicurativa e Welfare Studio Legale Taurini&Hazan - Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

6/11/2018

 
 
 

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