I falsi miti sulla previdenza italiana: pensioni da mille euro e gender gap

L'Ottavo Rapporto Itinerari Previdenziali sfata alcuni luoghi comuni piuttosto diffusi: la maggior parte delle prestazioni pensionistiche italiane presenta importi inadeguati? E, davvero, le donne sono penalizzate in ambito previdenziale? Alcune considerazioni su pensioni sotto i mille euro e gender gap pensionistico

Michaela Camilleri e Mara Guarino

Oltre la metà delle pensioni è di importo inferiore a 1.000 euro al mese” e “le donne ricevono, in media, assegni di gran lunga più bassi rispetto a quelli degli uomini”: questi due dei principali luoghi comuni che trovano spazio nel dibattito sul sistema pensionistico italiano. Affermazioni che non trovano però concreto riscontro nei dati del Casellario Centrale dei pensionati INPS rielaborati dall’Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. La pubblicazione dimostra infatti come in realtà queste convinzioni siano dei falsi miti da sfatare, scorrette sia dal punto di vista sostanziale dell’analisi sia sotto il profilo di una corretta comunicazione dei temi previdenziali, in particolare nei confronti delle giovani generazioni. Analizziamole quindi nel dettaglio. 

 

I veri importi delle pensioni

Nel 2019 su un totale di 22.805.765 prestazioni erogate, quelle di importo fino a una volta il trattamento minimo (513,01 euro mensili) sono poco meno di 7,9 milioni (7.882.121 per l’esattezza), ma i pensionati che poi ricevono effettivamente un reddito pensionistico fino a una volta il minimo sono poco più di 2,2 milioni su 16 milioni di pensionati totali. Anche alla successiva classe di importo (da 513,02 euro a 1026,02 euro lordi mensili) appartengono circa 6,86 milioni di prestazioni, cui fanno però da contraltare solo circa 4 milioni di beneficiari.

Un fenomeno che non deve sorprendere ma che dipende dal fatto che un soggetto può essere contemporaneamente beneficiario di più prestazioni che si cumulano tra loro, facendo sì che il pensionato si collochi in una classe di reddito più elevata rispetto a quella più bassa in cui si erano posizionate le singole prestazioni o pensioni. In particolare, con riferimento al 2019, il Rapporto stima una media di 1,422 prestazioni per pensionato (erano 1,424 nel 2018), il che significa che ogni pensionato italiano riceve in media una pensione e mezza: nel dettaglio, il 67,30% dei pensionati ha percepito 1 prestazione, il 24,66% dei pensionati ne ha percepite 2, il 6,76% 3 e l’1,28% 4 o più.

Tabella 1 – Numero pensioni e pensionati, importo complessivo lordo e netto annuo del reddito pensionistico
per classi di reddito mensile - Anno 2019

Tabella 1 – Numero pensioni e pensionati, importo complessivo lordo e netto annuo del reddito pensionistico per classi di reddito mensile - Anno 2019

Tabella 1 – Numero pensioni e pensionati, importo complessivo lordo e netto annuo del reddito pensionistico per classi di reddito mensile - Anno 2019

Fonte: Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
 

È quindi vero che le singole prestazioni di importo pari a circa mille euro (per la precisione, fino a due volte il TM), sono circa 14,7 milioni e rappresentano il 64,6% delle pensioni in pagamento, ma per correttezza andrebbe ben chiarito che i soggetti che le ricevono sono meno della metà, circa 6,3 milioni, ovvero il 39,4% del totale pensionati. Di qui, come si legge nel Rapporto, la necessità di fare riferimento ai pensionati, cioè ai soggetti che percepiscono una o più prestazioni, e non alle singole pensioni, quando si analizzano le distribuzioni per classi di reddito, così da evitare errori tecnici o fraintendimenti. Se si calcola l’importo medio della pensione sul numero totale delle prestazioni, si ottengono 13.194,35 euro annui lordi (1.015 euro lordi al mese in 13 mensilità), ma facendo riferimento al totale dei pensionati, il reddito pensionistico medio pro-capite risulta pari a 18.765 euro annui lordi (15.404 euro annui netti), quindi 1.444 euro lordi mensili (1.185 euro mensili netti). Eppure, il dato comunemente più diffuso è proprio il primo, che divide il monte pensioni per il numero delle prestazioni, e non per il numero dei pensionati, con il rischio di incentivare fenomeni di elusione fiscale: perché - si potrebbero impropriamente chiedere i giovani - versare per oltre 38 anni all’INPS se poi le prestazioni sono così misere?

Non solo, come evidenziato da Itinerari Previdenziali, nel calcolo degli importi medi dei singoli trattamenti pensionistici, sarebbe poi più opportuno procedere per tipologia, evitando di mischiare tra loro prestazioni di natura non omogenea, ad esempio perché on egualmente sostenute da contribuzione. Provando a escludere le prime due classi di reddito pensionistico (fino a due volte il TM), che sono principalmente assistenziali per quasi 6,3 milioni di pensionati, il reddito previdenziale medio - supportato da contributi - dei restanti 9,7 milioni ammonterebbe a 26.082,16 euro annui lordi (contro gli ufficiali 18.765 euro lordi) pari a circa 20.688 euro annui netti. Insomma, resta vero che quasi 40% dei pensionati ha redditi pensionistici al più di poco superiore ai mille euro lordi al mese, ma nella maggior parte dei casi non di tratta di pensioni in senso stretto quanto piuttosto di prestazioni assistenziali, non sostenute da contribuzione e quindi di fatto interamente o parzialmente a carico della collettività. 

 

Il divario di genere 

Passando all’altro luogo comune, ovvero il cosiddetto “gender gap pensionistico”, l’Ottavo Rapporto evidenzia che nel 2019 le donne rappresentano il 51,9% dei pensionati, ma percepiscono il 43,9% dell’importo lordo complessivamente erogato per pensioni (168.884 milioni di euro sono pagati agli uomini e 132.023 milioni alle donne). Sul totale delle prestazioni erogate – previdenziali, assistenziali e indennitarie – le donne percepiscono un reddito pensionistico medio pari a 15.857 euro, reddito che nel caso degli uomini sale invece a 21.906 euro. Un divario che trova dunque reale riscontro nei numeri ma del quale spesso non vengono analizzate le motivazioni, dando spazio a imprecisioni e falsi miti. Come rilevato da Itinerari Previdenziali, innanzitutto le pensionate registrano solitamente un maggior numero di prestazioni pro capite, in media 1,51 a testa contro le 1,32 degli uomini. Nel dettaglio, le donne rappresentano il 58,5% dei titolari di 2 pensioni, il 68,8% dei titolari di 3 pensioni e il 71% dei percettori di 4 e più trattamenti. Prevalgono nel caso di pensioni ai superstiti (87,2%) e di prestazioni prodotte da “contribuzione volontaria”, solitamente modeste a causa di bassi livelli contributivi, tutte ragioni per le quali molte pensionate beneficiano di importi aggiuntivi, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, quattordicesime mensilità e altre misure di matrice assistenziale. 

Affermare dunque, con un’elementare operazione di divisione, che le donne ricevono prestazioni inferiori agli uomini è sì corretto dal punto di vista formale ma non da quello sostanziale. Tanto più se si considera che la situazione del sistema previdenziale italiano non fa che riflettere l’andamento del mercato del lavoro il quale, malgrado segni di lento e progressivo miglioramento, si caratterizza tuttora e soprattutto nel Mezzogiorno per tassi di occupazione e livelli retributivi poco favorevoli alle lavoratrici e, dunque, alle pensionate. Ancora una volta, allora, il vero tema è veicolare adeguatamente la questione affinché si comprenda che la soluzione al gap pensionistico tra i generi non va ricercata all’interno del sistema previdenziale, ma in un avanzamento della condizione lavorativa femminile, attraverso misure e servizi, come quelli all’infanzia, che riducano la discontinuità delle carriere.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

2/3/2021

 
 

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