Investitori previdenziali italiani, quali possibilità per gli investimenti?

L’attenzione al tema è crescente: gli investitori previdenziali italiani guardano alle gestione finanziaria con sempre maggior professionalità, ma chi sono questi investitori e a quali limiti d’investimento sono legati? Vediamo di capire il panorama italiano e le sue evoluzioni

Nicola Barbiero

In Italia ci sono diversi tipi di investitori previdenziali le cui differenze non si trovano tanto in funzione dell’obiettivo che ciascuno di essi si pone (costruire un reddito nel momento in cui gli iscritti terminano il periodo lavorativo), ma nei mezzi che vengono utilizzati per raggiungerlo: sotto questo aspetto cominciamo a fare una prima e importante distinzione tra Casse di previdenza e fondi pensione complementari. L’approccio da adottare nei due casi è diverso: le casse di previdenza rappresentano il “primo pilastro” dei principali ordini di professionisti, i fondi pensione complementari rappresentano invece la pensione aggiuntiva o “secondo pilastro”, complementare a quanto fornito del “primo pilastro”.

La normativa di riferimento dei due operatori è, spesso, diversa: vediamola nel dettaglio partendo dalle Casse di previdenza. Per questa tipologia di Enti, nonostante il legislatore sia intervenuto più volte nel regolarne le attività, la partecipazione delle stesse alla finanza pubblica, spending review, tassazione (non ultima, la previsione in materia di credito d’imposta) e trasparenza, nulla è stato deliberato in tema di limiti agli investimenti. Un tentativo venne fatto il 14 novembre 2014 quando il Ministero dell’Economia e delle Finanza emanò uno “Schema di Decreto” utile a regolare la gestione finanziaria delle Casse le cui risorse, si prevedeva in quell’occasione, “potranno essere investite sia in forma diretta che in forma indiretta tramite convenzioni” mentre la scelta del gestore, continua, “avrebbe dovuto essere effettuata sulla base di un processo di selezione che garantisca trasparenza e la competitività del procedimento, improntato a criteri di proporzionalità, tali da assicurare la coerenza tra le modalità gestionali e gli obiettivi fissati preventivamente dagli amministratori”; una normativa che prendeva spunto, e forse anche qualcosa di più, da quanto previsto per i fondi pensione di cui al Decreto 252/05 e DM 166/14. Da qui lo schema, come di consueto, dovette ricevere successivi pareri de parte della vigilanza e del Ministero che ne posticiparono l’adozione; durante questo periodo furono le stesse Casse di previdenza, per il tramite dell’Associazione di rappresentanza (AdEPP), a predisporre un Codice di autoregolamentazione utile a disciplinarne la gestione finanziaria.

Fattispecie diversa per quanto riguarda il secondo pilastro che possiamo suddividere, a sua volta, tra fondi chiusi e fondi aperti. La disciplina a cui sottendono i fondi pensione chiusi negoziali è contenuta del decreto legislativo 252/05 per gli aspetti di carattere amministrativo (adesione, fiscalità, possibilità di erogazione, ecc..) e al DM 166/2014 per quanto riguarda la gestione finanziaria. Questi soggetti nascono, tipicamente, sulla base della previsione inserita nel CCNL di settore o da accordi sottoscritti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro a livello regionale (tre casi in Italia).

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Per entrambi, il legislatore prevede la possibilità di gestione del patrimonio sia in via indiretta che diretta: nel primo caso, viene conferita delega di gestione a uno o più soggetti che svolgono professionalmente questa attività, nel secondo caso il patrimonio del fondo viene gestito dall’ente stesso. Il legislatore (attraverso le previsioni indicate nel decreto legislativo 252/05) ha dato specifiche istruzione utili a regolare la gestione diretta delle risorse, sia per quanto riguarda l’ammontare, fino ad un massimo del 20% del patrimonio, sia nel delineare la platea di strumenti investibili: quote di società o di fondi chiusi immobiliari, quote di fondi chiusi mobiliari.

La normativa di riferimento che disciplina gli aspetti di carattere amministrativo e di gestione finanziaria dei fondi pensione aperti è la stessa dei fondi pensione chiusi, ma diverse sono le previsioni, in modo particolare quelle di carattere prettamente finanziario. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, la gestione degli investimenti delle risorse è effettuata dalla società che ha istituto il fondo con (eventuale) possibilità di delega ad altri soggetti abilitati. Ecco che si apre lo spazio, per operatori esterni, di poter accedere a bandi di gara o altre procedure necessarie a gestire una parte delle risorse di queste forme pensionistiche: qualora il soggetto istitutore del Fondo voglia diversificare gli asset anche con l’introduzione di strumenti alternativi.

Operatori diversi, quindi, ciascuno dei quali con le proprie peculiarità; in ogni caso, ampie sono le possibilità di sviluppare strategie d’investimento alternative. Attenzione, però, alla necessità, data anche dal buon senso e fortemente sottolineata da COVIP, di poter contare su una struttura interna che permetta di valutare adeguatamente il profilo rischio/rendimento di ciascuna asset class e di permetterne il monitoraggio lungo tutto il periodo di detenzione all’interno del portafoglio.

Nicola Barbiero

6/6/2018

 
 
 

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