L'anno dell'uscita da Quota 100: flessibilità sì ma con poche eccezioni

L'avvicinarsi della "scadenza" di Quota 100 pone il tema pensioni al centro dell'agenda del governo Draghi: l'occasione per una definitiva riforma del sistema attraverso un intervento duraturo, equo e che sappia rimediare alle eccessive rigidità della riforma Monti-Fornero, lanciando così un bel segnale all'Europa e al mercato del lavoro italiano

Alberto Brambilla

Quota 100 scade quest’anno e così pure opzione donna e altre anticipazioni pensionistiche. In termini previdenziali, saremmo già in ritardo perché aziende e lavoratori dovrebbero già sapere oggi quello che succederà dal primo di gennaio del prossimo anno, almeno per fare un minimo di programmazione produttiva per i primi e di vita per i secondi.

Di proposte sul tavolo ce ne sono molte ma la soluzione che proporrà il Governo Draghi dovrebbe, a nostro avviso, tener conto di almeno 3 fattori: 1) la situazione post pandemica occupazionale ed economica, 2) la tipologia dei potenziali richiedenti la pensione e l’aspettativa di vita post SARS-CoV-2 e, infine, 3) la necessità di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro in un sistema caratterizzato in gran parte dal calcolo contributivo. Tutti questi elementi, pur nella loro diversità, convergono verso una precisa soluzione. 

1) Se, come speriamo, la campagna vaccinale si concluderà entro luglio, già da settembre per l’effetto combinato della ripresa delle attività e dei primi stimoli del Recovery Plan (PNRR), l’occupazione - che, nel contempo, si è contratta di circa 700mila unità (470mila nel 2020) - dovrebbe aumentare a partire dalle attività alberghiere, di ristorazione e ricettive in generale. Le erogazioni di sostegno “a debito” dovrebbero cessare e dovrebbe così iniziare la fase di recupero del rapporto debito/PIL. In queste condizioni sarebbe perlomeno imprudente consentire un pensionamento tipo Quota 100 con solo 62 anni di età o come opzione donna con 58/59 anni, considerando un'aspettativa di vita prossima agli 86 anni per le donne e circa 27 anni o più di pensione.

2) Nel 2022 oltre il 90% dei potenziali pensionati avrà la pensione calcolata per almeno il 65% con il metodo di calcolo contributivo, il che significa a 62 anni di età avere una prestazione decurtata di almeno il 10%. Con i tempi che corrono e con una speranza di vita per i maschi di circa 81 anni, sarebbe meglio maturare una pensione più robusta per far fronte agli imprevisti della vita da anziani. Se è vero che l’aspettativa di vita post COVID-19 si è statisticamente ridotta (più del 95% dei decessi ha riguardato ultra sessantenni) è molto probabile che dopo la pandemia resterà la stessa e che, sempre per la statistica, riprenda a crescere già dal 2023.

3) Che ci sia necessità di reintrodurre l’originaria flessibilità in uscita prevista dalla riforma Dini-Treu non v’è dubbio. Basti pensare che tra salvaguardie (ben 9), Quota 100, anticipi varii, APE sociale e opzione donna, escludendo le cosiddette pensioni anticipate (quelle con 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne), gli “scampati” alla legge Monti-Fornero sono stati 604mila a fine 2019, cui se ne sono aggiunti altri 170mila nel 2020. Oltre 770 in 9 anni, 85mila l’anno, su un totale di 16 milioni di pensionati.

Tabella 1 - Andamento delle richieste per Quota 100 e prestazioni anticipate
(dati aggiornati al 31/12/2020) 

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati INPS             

Per tener conto di questi 3 fattori, il superamento di Quota 100 dovrebbe prevedere: a) Per i lavoratori con problemi di salute, familiari a carico da curare, lavori pesanti, in mobilità (la vecchia APE sociale) o precoci, la messa in funzione e l’utilizzo dei “fondi di solidarietà” per l’industria, il commercio, l’artigianato e l’agricoltura, sul modello di quelli operativi oggi per le banche e le assicurazioni, che hanno permesso di prepensionare a totale carico del fondo - senza alcun costo per lo Stato, con un anticipo di 5 anni a 62 anni di età anagrafica e 35 di contributi -  oltre 80mila lavoratori. Questi fondi bilaterali sono alimentati già oggi da una contribuzione intorno allo 0,32% della retribuzione lorda (un terzo a carico dei lavoratori) e potrebbero beneficiare di altre contribuzioni attualmente già in essere. Si risolverebbero in un colpo solo sia le necessità delle imprese che non riescono a reimpiegare nei nuovi processi produttivi questi lavoratori sia le esigenze dei dipendenti che soffrono delle problematiche evidenziate. Questi dipendenti resterebbero nei fondi esubero per 5 anni e a 67 di età avrebbero una pensione decorosa, senza incidere sulla collettività; in attesa del pensionamento vero e proprio, potrebbero poi fare almeno 2 giorni di lavori socialmente utili per gli enti locali di riferimento, magari anche con il versamento dei contributi INPS e Inail, che contribuirebbero ulteriormente alla futura pensione. 

b) Fatto questo, occorre una proposta di legge che concluda il ciclo delle riforme dando certezza ai cittadini con regole semplici e valide per tutti, giovani e anziani, retributivi, misti e contributivi puri. Mantenendo i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione, si potrebbe prevedere un pensionamento flessibile con 64 di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita) e 38 anni di contributi, di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari), rendendo stabile la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne), svincolata dalla aspettativa di vita, eliminando qualsiasi divieto di cumulo tra lavoro e pensione e prevedendo altresì agevolazioni per le donne madri (ad esempio, 8 mesi di "sconto" per ogni figlio fino a massimo 24 mesi), per i caregiver (1 anno) e per i precoci (maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età). c) Infine, bisognerebbe prevedere anche per i giovani “contributivi puri”, l’integrazione al minimo su valori pari alla maggiorazione sociale (630 euro al mese) e calcolati sulla base del numero effettivo di anni lavorati.

Da parte del Governo di Mario Draghi sarebbe un bel segnale sia nei confronti dell’Europa sia, soprattutto, del mondo del lavoro italiano. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

20/4/2021

 
 
 

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