Liberi professionisti, Casse e COVID-19: l'impatto su contributi e prestazioni

In attesa del quadro completo illustrato dall'Ottavo Report Itinerari Previdenziali, un primo sguardo ai bilanci 2020 consente di analizzare l'impatto di COVID-19 sulle Casse di Previdenza dei liberi professionisti: calano i ricavi in termini di contributi e sanzioni, aumentano gli interventi di natura assistenziale 

Alessandro Bugli

Il mondo degli enti di previdenza e assistenza dei liberi professionisti è variegato e complesso. Sono infatti 20 gli enti privati o privatizzati (di seguito, le “Casse”) che sono chiamati a gestire il risparmio previdenziale dei professionisti (dipendenti e liberi professionisti, a seconda delle regole istitutive del singolo ente) e a erogare prestazioni di previdenza e assistenza a favore di questi e delle loro famiglie. Alle 20 Casse afferiscono 23 gestioni (tra loro separate).

La buona parte di questi enti è integralmente sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria (A.G.O.), altri invece hanno un ruolo integrativo rispetto a quello dell’INPS, andando a complementare il “primo pilastro”, attraverso un cosiddetto primo pilastro bis, di rinforzo del primo. Di seguito un quadro quantitativo e qualitativo delle Casse al 2020. 

 

I dati di bilancio

Il numero complessivo dei professionisti continua a crescere anche nel 2020 (anno di riferimento dei bilanci delle Casse, di recentissima pubblicazione). Si contano 1 milione e 692mila professionisti iscritti alle Casse, con un +0,53% rispetto all’anno 2019. Da notare come alcune Casse crescano sensibilmente in termini di nuovi iscritti (ad esempio, gli psicologi, gli infermieri e gli agrotecnici), anche oltre il 5% su base annua, e altre registrino un decremento, per ragioni fisiologiche o legati alle dirette o indirette conseguenze della pandemia di COVID-19 (ad esempio, fra gli altri, agenti di commercio e geometri).

Il rapporto tra attivi e pensionati è ancora molto favorevole, intorno a 3,7 attivi per pensionato. I contributi incassati ammontano a circa 11 miliardi di euro, a fronte di circa 7 miliardi di spesa per prestazioni assistenziali e pensionistiche. Gli  attivi e i patrimoni netti continuano a crescere. Desta preoccupazione il dato di INPGI (gestione sostitutiva dell’A.G.O.).

 

Gli effetti della pandemia sui professionisti e le Casse

Dalla lettura dei singoli bilanci si vede comunemente come almeno 3 siano gli effetti registrati nel 2020:

1) Minori ricavi (in termini di contributi e sanzioni) rispetto a quelli diversamente ottenibili. Ciò in ragione delle diverse proroghe, da parte delle Casse, delle attività di raccolta contributi e di recupero coatto degli importi dovuti. Il tutto per ridurre, quanto più possibile, gli impatti economici nel breve termine per professionisti e famiglie.

2) Minore raccolta di contributi, di quella prevista, in ragione della crisi che ha colpito, soprattutto al tempo del primo lockdown determinati settori professionali, con conseguente riduzione dei redditi. L’effetto, in molti casi, è stato quello di non poter prestare i propri servizi, in ragione del blocco delle relazioni fisiche e della circolazione, o di vedere dilatarsi i tempi per ottenere il compenso dovuto (ad esempio, il prolungarsi di un giudizio per blocco delle attività processuali, comporta normalmente il dilatarsi del tempo in cui il professionista potrà vantare il proprio onorario).

Ma non basta: un diffuso stato di criticità, comporta anche una difficoltà nell’ottenere il pagamento dei compensi da parte della clientela, spaventata e spesso in crisi di liquidità. La riduzione dei fatturati pare comprovata dal ricorso massivo al Reddito di ultima istanza (RUI) da parte dei professionisti per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020, proprio in ragione dei minor introiti rispetto al passato. Trattasi di circa un professionista su 3: valore che sale a 1 su 2, se si guardano i soli liberi professionisti. I dati sono quelli aggregati ricavabili – nel limite del possibile - dai bilanci e di quanto confermato da AdEPP nel suo X Rapporto.

Esiste in ogni caso una sensibile differenza tra professionisti: alcune categorie avrebbero superato il 50% di richiedenti sul numero di iscritti. Trattasi per lo più di uomini, tra i 30 e i 50 anni, mentre la concentrazione percentuale è più alta al Sud, rispetto al Nord (il dato ovviamente si ribalta se si guarda non alle percentuali dei richiedenti sul totale dei professionisti della Regione, ma al numero assoluto delle richieste, stante il maggior numero di professionisti, come ad esempio nel caso della Lombardia). 

3) Maggiori interventi in materia di assistenza, giustamente intrapresi, dalla maggior parte delle singole Casse (con preventiva autorizzazione ministeriale, dove e quando dovuta dovuta). Questi interventi, straordinari - a carico del bilancio degli enti di previdenza - e non preventivabili nell’anno precedente hanno costi nient’affatto trascurabili e stimati qui, all’estremo ribasso, in oltre 350 milioni di euro per il solo 2020. “Spesi” in prevalenza per indennità per quarantena, contagio, spese funerarie e per il rafforzamento delle soluzioni assicurative salute sin lì esistenti, oltre al concorso da parte di alcune Casse in materia di rimborso dei finanziamenti richiesti dai propri iscritti.

Il tutto senza contare le notevoli risorse anticipate dalle Casse per la concessione del RUI ai propri iscritti, importi che – dalla lettura dei bilanci – sembrano già stati rimborsati pressoché integralmente dallo Stato (per oltre il 98%) in chiusura di anno 2020.

Alessandro Bugli, Socio Studio legale associato THMR 
e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

24/8/2021

 
 

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