Nel 2019 brilla la stella della previdenza complementare

Nonostante il momento difficile per la diffusione della pandemia di COVID-19, i dati relativi all’andamento delle diverse forme di previdenza integrativa diffusi nell’ultima relazione COVIP restituiscono un quadro particolarmente brillante per l'anno passato

Niccolò De Rossi

Il 2020 verrà ricordato per molto tempo, e sfortunatamente come uno degli anni più nefasti dal dopoguerra a oggi. Il Fondo Monetario Internazionale infatti rivede ulteriormente al rialzo le stime sulla contrazione del PIL mondiale e per l’Italia. Nonostante il tentativo di tornare gradualmente alla normalità, molti dei tradizionali appuntamenti annuali non si sono svolti, o almeno non con le canoniche modalità. 

Salta infatti anche la tradizionale lettura delle Considerazioni del Presidente COVIP Mario Padula in presenza degli ospiti presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati in occasione della presentazione della relazione annuale 2019 COVIP. L’appuntamento rappresenta però, come ogni anno, l’occasione non solo per approfondire lo stato di salute e l’evoluzione delle diverse forme di previdenza complementare, ma soprattutto per richiamare alcuni temi che, oggi più di ieri anche a causa della pandemia, non possono essere trascurati. Le conseguenze di COVID-19 stanno infatti evidenziando le grandi criticità nel mondo del lavoro che continua a essere estremamente precario soprattutto per determinate categorie, facendo emergere tutti i limiti di carriere discontinue e spesso con basse retribuzioni. Tale evidenza, abbinata al sistema di calcolo contributivo per la pensione pubblica e alle rigide regole post riforma Fornero, rischiano di ritardare l’accesso alla prestazione e restituire tassi di sostituzione contenuti. 

È anche per questo che i lavoratori dovrebbero essere maggiormente consapevoli e indotti a dotarsi di un fondo pensione integrativo. Oltre infatti agli innegabili vantaggi che lo strumento presenta sotto il profilo finanziario e fiscale, la previdenza complementare è e sarà sempre più indispensabile soprattutto per i più giovani, per poter contare, al momento della quiescenza, su un’integrazione della propria pensione di base. 

 

L’andamento delle iscrizioni: gender gap, differenze territoriali e per età 

Prima di passare in rassegna l’evoluzione patrimoniale e dei rendimenti conseguiti dai fondi pensione in un anno particolarmente brillante per i mercati finanziari, è utile dirigere l’attenzione sull’evoluzione delle iscrizioni alla previdenza complementare e alle differenti sfumature che le caratterizzano.

A fine 2019 il totale degli iscritti ha superato gli 8,2 milioni, raggiungendo un tasso di copertura superiore al 31% della forza lavoro e in crescita del 5% sull’anno precedente. Vale però la pena evidenziare che, se il trend di crescita degli iscritti procede costante negli anni, nel 2019 sono circa 2 milioni gli iscritti non versanti, dato che inevitabilmente riduce l’effetto integrativo della pensione pubblica. Nonostante il dato nel complesso restituisca un quadro incoraggiante e che fan ben sperare per un costante incremento delle adesioni nel tempo, in linea con gli anni precedenti, permane tanto la differenza di genere quanto quella territoriale, nonché l’ancora contenuta partecipazione delle fasce più giovani della popolazione

Partendo dall’analisi del gender gap, circa il 62% degli iscritti sono maschi e risultano essere particolarmente rappresentati all’interno dei fondi pensione negoziali (73,4%). La restante quota femminile, il 38%, registra il maggiore equilibrio di genere nei PIP, con la quota rosa che si attesta al 46,4% in linea con l’anno precedente.

Passando alla distribuzione geografica degli aderenti, le regioni settentrionali cannibalizzano il 57% del totale, di cui il 20% nella sola Lombardia. Le regioni centrali e meridionali si spartiscono quindi la restante quota quasi equamente: le prime registrano una percentuale pari al 19,7% e le seconde il 23,3%. Oltre alla poco proporzionata distribuzione quantitativa, la COVIP evidenzia anche differenze nelle forme pensionistiche utilizzate. Le regioni settentrionali infatti registrano una prevalenza di iscritti nei fondi pensioni preesistenti e in quelli aperti, mentre nelle regioni del mezzogiorno si rilevano le percentuali più alte di adesioni a PIP e fondi pensione negoziali.  

Per quanto riguarda la distribuzione per classi di età invece, il 52,9% degli iscritti si concentra nella fascia 35-54 annui, in diminuzione rispetto all’anno precedente (54,7%) e in continuità con quanto registrato tra 2018/2017. Di segno opposto invece la variazione per gli over 55, in aumento al 29,5% dal 27,6% del 2018. Un dato importante invece è l’aumento degli iscritti nella classe under 35, che dal 16,4% dello scorso anno sale al 17,6% di fine anno. È certamente un'evidenza che fa ben sperare per il futuro, anche se il grafico seguente mostra inequivocabilmente come la distribuzione sia ancora fortemente sbilanciata sulle classi adulte della popolazione. A contribuire a tale dinamica c’è certamente un ritardo di ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani italiani.

Nel complesso dunque, le tre variabili analizzate, restituiscono ancora una volta e anche per il 2019 marcate differenze nel tasso di occupazione, lavoro sommerso e ricchezza, dipingendo un quadro differente tra le regioni settentrionali e quelle meridionali.

                              Forme pensionistiche complementari. Iscritti per genere, età , tipologia e forma (relazione COVIP)

Fonte: COVIP, Relazione per l’anno 2019

 

Patrimonio e rendimenti

185,1 miliardi di euro a fine 2019. A tanto ammontano le risorse complessivamente destinate alle prestazioni delle diverse forme di previdenza complementare. Il consistente incremento, pari al 10,7% sull’anno precedente, è stato sostenuto da un’ottima performance dei mercati finanziari che si sono resi protagonisti di un’annata particolarmente brillante, facendo segnare ritorni a doppia cifra sul mercato azionario. Il saldo prodotto dalla gestione finanziaria è stato quindi positivo per 10,2 miliardi (nel 2018 aveva segnato un -2,9 miliardi). Nonostante la riduzione della loro numerosità incentivata sotto forma di fusioni, sono ancora 149 le forme che registrano risorse accumulate inferiori ai 25 milioni, a fronte di 47 che superano il miliardo (18 fondi negoziali, 14 preesistenti, 8 PIP e 7 fondi aperti per un totale di 133 miliardi, il 75% dell’intero sistema). Nel dettaglio, con un aumento sull’anno del 6,2%, i fondi pensione preesistenti cubano 63,5 miliardi di euro, i fondi pensione negoziali 56,1 miliardi (+11,4%), gli aperti 22,8 miliardi (+16,4%) e i piani individuali di tipo assicurativo totalizzano 42,5 miliardi (+15,5%). 

Come detto, i numeri appena evidenziati, hanno beneficiato del più che positivo andamento degli attivi investiti sui mercati finanziari. I rendimenti conseguiti dalle diverse forme pensionistiche complementari sono stati ben al di sopra della rivalutazione del TFR (1,5%), parametro per eccellenza con cui annualmente vengono confrontati i rendimenti dei fondi pensione: i fondi negoziali hanno registrato una variazione del +7,2%, i fondi aperti dell’8,3%, i PIP (unit linked) del 12,2% e i fondi preesistenti del 5,6%.

A fronte di una quota crescente di investimenti alternativi e nell’economia reale italiana, che verrà analizzata all’interno del Settimo Report sugli investitori istituzionali italiani di Itinerari Previdenziali, vale la pena gettare uno sguardo sulla composizione aggregata degli asset detenuti dalla previdenza complementare. Nonostante rimanga ancora prevalente e rilevante la quota investita in titoli obbligazionari pari al 58% del patrimonio, si segnala una riduzione dello 0,8% rispetto al 2018, dove invece si era registrato un incremento. All’interno di tale asset class, contrariamente allo scorso anno, la COVIP rileva una diminuzione dell’esposizione ai titoli di Stato, passando al 40,3% dal 41,7% (i titoli di Stato italiani scendono al 20,6% dal 21,2% del 2018). In linea con quanto avvenuto l’anno precedente cresce la quota di obbligazioni corporate (17,7%) giungendo a pesare complessivamente per 26,5 miliardi di euro. Registrano un considerevole aumento i titoli di capitale che arrivano a pesare per il 18,9% (dal 16,5 del 2018) segnale di quanto il risk on che ha caratterizzato il 2019 abbia contribuito al rendimento finale conseguito. In crescita anche gli investimenti in OICR che arrivano al 14,8% (13,8% nel 2018), per un totale di 22,2 miliardi di euro. 

È comunque bene ricordare quanto sia importante analizzare la performance della previdenza complementare nel lungo periodo, su un orizzonte temporale di 30 e più anni, e non solo nel breve periodo. Considerando allora i rendimenti netti medi annui composti a 10 anni, a fronte di una rivalutazione del TFR che si ferma al 2%, la previdenza complementare fa nettamente meglio: le unit linked hanno reso il 3,8%, i fondi aperti il 3,8% e i fondi negoziali il 3,6%.

Se quindi, da un lato, la gestione finanziaria della previdenza complementare sembra aver raggiunto un ottimo livello di diversificazione anche grazie al progressivo investimento nei mercati privati e in strumenti illiquidi, dall’altro c’è ancora bisogno di tanta cultura finanziaria e previdenziale soprattutto tra i più giovani, coloro che saranno i più esposti ai mutamenti demografici e del mondo del lavoro.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

1/7/2020

 
 

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