Non è precario chi non ha un lavoro, ma chi non ha tutele

Dalle tutele assistenziali alla pensione anticipata, viaggio nel pianeta delle partite Iva alla scoperta delle questioni ancora irrisolte per collaboratori, parasubordinati e freelance 

Domenico Comegna

Gli ultimi dati Inps disponibili dicono che gli iscritti alla Gestione Separata, i cosiddetti parasubordinati, sono 1.245.000, di cui 330-350 mila titolari di partita Iva, i professionisti conosciuti anche come free-lance. Da gennaio 2018 l’aliquota contributiva è salita al 33,72% per i collaboratori “esclusivi”, coloro che dalla collaborazione ricavano il principale sostentamento e al 24% quella dei collaboratori “non esclusivi”, di chi è in pensione o risulta titolare di un’altra previdenza obbligatoria. Coloro i quali, occupati o pensionati, con la collaborazione raddrizzano il bilancio familiare. Sono le aliquote previste dalla riforma del lavoro targata Fornero (legge n. 92/2012), che ha voluto equiparare la previdenza dei parasubordinati a quella dei dipendenti: aliquote tanto severe  che, per quanto riguarda i professionisti, ha richiesto uno specifico intervento della Legge di Bilancio 2017 (n. 232/2016) che ha definitivamente stabilito l’aliquota al 25,72%, lasciando agli stessi la possibilità di recuperare in fattura il 4%.  

Chi sono - La Gestione Separata è il fondo pensionistico, nato con la Riforma Dini del 1995, a cui devono essere iscritti coloro che svolgono attività di lavoro autonomo, esentanti dall’obbligo di iscrizione a una Cassa professionale. In altri  termini, sono tenuti all'iscrizione alla particolare gestione i lavoratori che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo per la quale non via sia obbligo di iscrizione a un determinato albo professionale. Vi rientrano inoltre coloro che, pur svolgendo attività per le quali è prevista l'iscrizione in un albo professionale, in base alle norme del proprio statuto, non sono tenuti al pagamento dei contributi presso la corrispondente Cassa di Previdenza. Un caso concreto per capire meglio. L’architetto dipendente (che insegna disegno in una scuola privata) il quale faccia anche qualche consulenza professionale, è tenuto all'iscrizione presso la Gestione Separata, dal momento che il regolamento dell’Inarcassa (la sua Cassa professionale di riferimento) non consente l’scrizione del professionista in presenza di redditi da lavoro dipendente. Pertanto, l’architetto ipotizzato, sul reddito derivante dal compenso professionale, dovrà versare all’Inps il 24%.

Un'ulteriore categoria di lavoratori per i quali è obbligatoria l'iscrizione è quella costituita dai soggetti che svolgono attività di collaborazione, come, ad esempio, l'attività di amministratore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica,  o di sindaco o di componente di collegi e commissioni. Diverse disposizioni di legge hanno nel tempo  previsto l'iscrizione di particolari attività tra cui: gli incaricati di vendita a domicilio, gli associati in partecipazione i cui compensi siano qualificati come lavoro autonomo, gli spedizionieri doganali non vincolati da rapporto di impiego, gli studenti e dottorandi titolari di borse di studio e assegni di ricerca o altri compensi erogati dalle Università e/o da scuole di specializzazione (come i medici in formazione specialistica), i volontari del servizio civile nazionale

Lo scenario 2018 - Dopo le diverse modifiche apportate in materia soprattutto dalle leggi Finanziarie dell’ultimo quinquennio, ricapitolando, il quadro 2018 si presenta come segue:

  • il lavoratore non iscritto ad altro fondo obbligatorio, né titolare di pensione, paga un contributo del 34,23% (33 per il fondo pen­sioni, più 1,23 per il fondo maternità, assegni familiari e disoccupazione)  di cui 11,41% a suo carico e 22,82% a carico del committente;
  • il lavoratore già iscritto ad altro fondo obbligatorio, oppure titolare di pensione, paga un contributo del 24% (con la medesima ripar­tizione, 8% e 16%);
  • l’addizionale dello 0,72% serve a finanziare le tutele assistenziali come malattia, maternità e assegni al nucleo familiare. Addizionale che dall'1 luglio 2017 è stata maggiorata di un ulteriore 0,51%, destinato  a finanziare la stabilizzazione della Dis-Coll, l'indennità di disoccupazione per i collaboratori coordinati e continuativi; 
  • infine, come  detto, i  titolari di partita Iva, i quali per il triennio 2014-2016 hanno goduto di un sconto particolare (27,72%). A partire dal 2017, grazie alla Legge di Bilancio, l’aliquota è stata ridotta definitivamente al 25,72%. Il contributo, lo ricordiamo è interamente a loro carico. Gli stessi possono recuperare in fattura il 4%.

L'evoluzione dell'aliquota contributiva

La tutela assistenziale - Per fornire una maggior tutela ai lavoratori atipici iscritti alla Gestione Separata, a partire dal 1998 è stato istituito, all’interno della gestione, un fondo per la corresponsione degli assegni familiari e dell’indennità di maternità, cui si è aggiunta, con la legge Finanziaria 2000, una sorta di indennità di malattia. Il fondo, come detto, si alimenta attraverso la maggiorazione dello 0,72% del contributo dovuto dai collaboratori “scoperti”. In seguito alla parità di trattamento con le dipendenti, voluta dalla legge Finanziaria del 2001, l’assegno di maternità delle lavoratrici atipiche ora è un po’ più consistente, passando da un importo fisso, legato all’anzianità contributiva dell’ultimo anno, all’80% del reddito in base al quale vengono versati i contributi.

Anche la disciplina dei trattamenti di famiglia, come l’indennità di maternità, è stata equiparata a quella dei lavoratori dipendenti. Pertanto, i parasubordinati hanno diritto al medesimo assegno per il nucleo familiare previsto per i dipendenti, legato cioè al reddito del nucleo ed al numero dei suoi componenti. Perché scatti il diritto al trattamento di famiglia, la somma dei redditi derivanti dalle attività di collaborazione deve essere almeno pari al 70% del reddito complessivo del nucleo familiare. La quota del 70% può essere raggiunta anche con l’aiuto dei compensi, derivanti da attività di lavoro dipendente, di altro componente della famiglia. La disposizione si riferisce evidentemente ai casi di nuclei familiari nei quali siano presenti due titolari di diritto all’assegno, uno come dipendente e l’altro come parasubordinato, i quali benché titolari in proprio del diritto, non possono esercitarlo perché nessuno dei due autonomamente, in virtù dell’attività esercitata, raggiunge il requisito del 70%.

L’indennità di malattia - L’assicurazione sulla malattia la si deve alla legge Finanziaria del 2000 ed è limitata però ai soli casi di degenza ospedaliera. Per il diritto all’indennizzo sono previste due condizioni:

  • l’interessato, nei 12 mesi che precedono la data iniziale del ricovero, deve far valere almeno 3 mesi di contribuzione accreditata, anche non continuativi;
  • il reddito assoggettato al contributo, riferito all’anno precedente l’evento (il ricovero ospedaliero), non deve superare il 70% del massimale contributivo valido per l’anno in cui si verifica la degenza.

Questo vuol dire che per le degenze che si verificano nel 2018 occorre guardare il reddito del 2017, che non deve superare i 70.999  euro (70% di 101.427).

L’assegno, corrisposto per non più di 180 giorni, è calcolato in relazione al massimale contributivo vigente nell’anno di insorgenza dell’evento, diviso per 365. L’indennizzo varia a seconda dell’anzianità contributiva fatta valere nei 12 mesi precedenti l’evento. Le percentuali di commisurazione, da applicare al massimale imponibile (101.427), sono le seguenti:

  • 8% in presenza di contribuzione fino a 4 mensilità;
  • 12% in presenza di contribuzione da 5 a 8 mensilità;
  • 16% in presenza di contribuzione da 9 a 12 mensilità.

Tradotto in cifre, in caso di ricovero nel corso del 2018, il soggetto che nell’anno 2017 poteva far valere l’intera copertura assicurativa (12 mesi) ha diritto a un assegno giornaliero di 45 euro (101.427 diviso 365 per 16%). Per ottenere l’indennizzo dall’Inps, gli interessati devono inoltrare apposita domanda, entro il termine di decadenza di 180 giorni dalla data di dimissione ospedaliera, allegando il certificato di degenza.

Sino al 2006, la copertura per la malattia scattava solo in caso di ricovero ospedaliero. La Legge Finanziaria del 2007 anche per i co.co.co. ha introdotto l’indennità giornaliera in caso di assenza, simile a quella prevista per i dipendenti. La misura della prestazione è pari al 50% dell’importo corrisposto a titolo di indennità per degenza  ospedaliera. Pertanto, l’indennità di malattia va calcolata applicando la percentuale  del 4%, del 6% o dell’8%, a seconda delle mensilità di contribuzione accreditate nei 12 mesi precedenti l’evento, assumendo a riferimento l’importo che si ottiene dividendo per 365 il massimale contributivo. Per le malattie iniziate nell’anno 2018, anno nel quale il massimale contributivo suddetto è pari a 101.427 euro, l’indennità viene calcolata su 275 euro (100.324, massimale anno precedente, diviso 365) e corrisponde, per ogni  giornata indennizzabile, a:

  • 10,99 euro (4%), se nei 12 mesi precedenti l’evento risultano accreditate da 3 a 4 mensilità di contribuzione;
  • 
16,49 euro (6%), se nei 12 mesi precedenti l’evento risultano accreditate da 5 a 8 mensilità di contribuzione;
  • 21,98 euro (8%), se nei 12 mesi precedenti l’evento risultano accreditate da 9 a 12 mensilità di  contribuzione.

Se ci si ammala... parasubordinati

La pensione - Gli iscritti alla Gestione Separata Inps hanno diritto ai trattamenti per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, secondo le disposizioni previste per i commercianti. Essendo inquadrati nel regime contributivo, i requisiti per la quiescenza sono gli stessi di quelli previsti dalla riforma Dini  per gli esercenti iscritti negli elenchi di categoria dall'1 gennaio 1996 in poi. Nel 2018 la rendita per vecchiaia si acquisisce al compimento dei 66 anni e 7 mesi, con almeno 20 anni di anzianità contributiva, oppure a 70 anni e 7 mesi di età con almeno 5 anni di anzianità contributiva effettiva.

Affinché venga riconosciuta la pensione, l’importo del trattamento non deve risultare inferiore a 1,5 volte l’ammontare annuo dell’assegno sociale Inps (limite pari a 679,55 del 2018). Si prescinde da quest’ultima condizione  (1,5 volte l’assegno sociale), nel  senso che la pensione viene comunque messa in pagamento, all’età di 70 anni, in presenza di un minimo di 5 anni di contribuzione effettiva (non vale la contribuzione figurativa). Anche per i cosiddetti atipici  (iscritti alla Gestione Separata Inps) è previsto che dall'1 gennaio 2013 i requisiti di età anagrafica (uomini e donne) siano adeguati alle speranze di vita accertati dall’Istat.

Nella tabella che segue sono riepilogati i limiti di età già comprensivi degli adeguamenti alla cosiddetta speranze di vita, sino a tutto il 2020.

                         Adeguamento pensione speranza di vita

Pensione anticipata - Il pensionamento anticipato rispetto all’età della vecchiaia, è possibile anche per i professionisti iscritti alla Gestione Separata, i quali come più volte affermato avranno un trattamento interamente calcolato con il meno favorevole criterio contributivo. Dall1 gennaio 2012 i requisiti sono gli stessi di quelli previsti per i soggetti che risultano già assicurati alla data del 31 dicembre 1995, ossia:

  • 42 anni e 10 mesi (41 e 10 mesi le donne) nel 2018;
  • 43 anni e 3 mesi (42 e 3 mesi le donne) nel 2019-2020.

E’ inoltre possibile ottenere, sia per le donne sia per gli uomini, la pensione anticipata all’età di 63 anni e 7 mesi (64 anni nel 2019-2020), con almeno 20 anni di contribuzione effettiva (non sono considerati utili i contributi figurativi). Vi è un’altra importante condizione: l’importo del trattamento, alla data di liquidazione, deve almeno raggiungere un minimo pari a 2,8 l’assegno sociale (1.269 euro di oggi). In caso contrario occorre attendere la pensione di vecchiaia.

Una questione irrisolta - Il pesante aumento dei contributi, avvenuto nel corso degli anni, ha lasciato irrisolta la vera questione per i collaboratori e professionisti, l’accredito contributivo. Che è poi la vera “precarietà” che li continuerà a distinguere dai dipendenti. Se l’intenzione di partenza della riforma del lavoro Fornero  era quella di ravvicinare le due categorie, succederà l’esatto contrario, peraltro con qualche danno in più a carico degli iscritti alla Gestione Separata.  Proviamo a vedere il perché.

Nel linguaggio comune, dire che per andare in pensione anticipata serviranno  “64 anni d’età e 20 anni di contributi” è lo stesso di dire che servono “64 anni d’età e 20 anni di lavoro”. In altre parole, si usano come sinonimi “contributi” e “lavoro”, cosicché a “un anno di lavoro” si fa corrispondere “un anno di contributi”, e viceversa. La corrispondenza è vera e reale solo con riferimento ai lavoratori “dipendenti” e “autonomi”, in quanto, per ogni anno di lavoro, viene pagato un certo ammontare di contributi tale da garantire un intero anno di “accredito contributivo” utile ai fini della pensione. La corrispondenza non è altrettanto veriteria, invece, per i co.co.co e i professionisti.

Ciò che contraddistingue le tre categorie di lavoratori – dipendenti, autonomi e parasubordinati – sono proprio le regole per l’accredito contributivo. Poiché mentre per dipendenti e autonomi esiste, come detto, un meccanismo che garantisce che a ogni giorno, settimana, mese o anno “di lavoro” corrisponda esattamente un giorno, settimana, mese o anno “di contributi”, lo stesso meccanismo non opera nel caso dei contributi dovuti alla Gestione Separata. Parliamo del “minimale contributivo”,  l’importo minimo, al di sotto del quale non si possono calcolare i contributi da pagare (è vietato dalla legge). Quindi, quand’anche la retribuzione pagata al dipendente risultasse inferiore a tale minimo, il datore di lavoro è comunque tenuto a versare un contributo calcolato sul minimale così da garantire al proprio dipendente un effettivo “accredito contributivo”: ha lavorato un giorno avrà un giorno di accredito contributivo; ha lavorato un mese o un anno avrà un mese o un anno di accredito contributivo. Così avviene anche per i lavoratori autonomi (artigiani e commercianti) e per tutti i professionisti iscritti alle casse professionali (avvocati, medici, ecc.).  

Unica eccezione è la Gestione Separata Inps. In tal caso, infatti, i contributi sono calcolati e pagati sugli effettivi compensi dei lavoratori, senza alcun vincolo di importo minimo: non c’è, insomma, un minimale di riferimento. Però – e qui sta l’anomalia – un “minimale” opera ai fini dell’accredito contributivo, nel senso che per avere l’accredito di un giorno, di un mese o di un anno di contributi utili ai fini della pensione, è necessario che risulti pagato un tot preciso di contributi predeterminato per legge, guarda caso, proprio sul “minimale” (che è preso a prestito dalla categoria degli artigiani e commercianti).

Per l’anno 2018, ad esempio, l’importo minimo di contributi che deve pagare il professionista iscritto alla Gestione Separata per avere un anno di “accredito contributivo” è pari a 3.928 euro. In caso di contribuzione inferiore a tale importo, i mesi di assicurazione da accreditare vengono ridotti in proporzione alla somma versata e vengono attribuiti temporalmente al periodo corrispondente a partire dall'inizio dell'anno solare fino a concorrenza del periodo riconoscibile. Per cui, un giovane free-lance che percepisce 10 mila euro  e versa 2.500 euro (il 25% di 10mila) ai fini della pensione si vedrà accreditati 7 mesi e mezzo. Insomma, oltre al danno (minore reddito) anche la beffa (ridotto diritto alla pensione).

Si può dire che non è precario chi non ha un posto di lavoro, ma chi è destinato a soffrire per la scarsità di tutele sul lavoro.

Domenico Comegna, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

30/1/2018

 
 

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