Non solo INPS, come stanno le Casse dei liberi professionisti?

Quando si parla di pensioni, si è spesso portati a pensare alla sola INPS, dimenticando che il primo pilastro è garantito in Italia anche da gestioni privatizzate: come si collocano le Casse dei liberi professionisti nel più ampio bilancio previdenziale italiano?

Mara Guarino

Nel 2017, la spesa totale per pensioni è ammontata a 220,843 miliardi di euro, con un aumento dell’1,07% rispetto al 2016 (+2,339 miliardi), valore che tiene conto delle gestioni sia pubbliche sia privatizzate (le Casse dei liberi professionisti) del sistema obbligatorio. Nel tracciare un bilancio del sistema previdenziale italiano, guardare alla sola INPS del resto non basta, tanto più che, come evidenziato dal Sesto Rapporto a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, molto differenziata è la situazione tra le diverse gestioni, con sole quattro categorie – lavoratori dipendenti, commercianti, liberi professionisti e parasubordinati – “capaci” di realizzare saldi positivi.

 

Grafico 1 - Saldi di gestione delle diverse categorie di assicurati (2012 – 2017)

Grafico 1 - Saldi di gestione delle diverse categorie di assicurati (2012 – 2017)

Fonte: Sesto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano

 

Se, in realtà, per i lavoratori dipendenti e i commercianti le entrate contributive sono state inferiori alle uscite totali rispettivamente del 16% e del 2,3% e l’avanzo è ottenuto in forza della gestione assistenziale, da cui sono arrivati trasferimenti pari al 18,5% e al 13,2% delle uscite totali, per le Casse dei liberi professionisti va sottolineato come il totale delle prestazioni previdenziali sia stato finanziato senza trasferimenti di natura assistenziale, registrando un saldo attivo pari addirittura all’84% delle prestazioni erogate. Un risultato notevole, dovuto peraltro anche a un rapporto elevato tra contribuenti attivi e numero di pensioni erogate, tipico di fondi interprofessionali “giovani” e/o comprendenti categorie in forte espansione numerica (eventualità, quest’ultima, particolarmente evidente nel caso dei parasubordinati).

 

Grafico 2 – Percentuali di finanziamento con contribuzione totale della spesa previdenziale

Grafico 2 – Percentuali di finanziamento con contribuzione totale della spesa previdenziale

Fonte: Sesto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano

 

Scendendo nel dettaglio, il numero complessivo di contribuenti agli enti previdenziali privatizzati ha raggiunto nel 2017 le 1.318.864 unità, per un totale di 391.224 pensioni erogate. Data la recente costituzione in particolar modo degli enti istituiti dal D.lgs 103/1996, il trend è comunque inevitabilmente in aumento: basti pensare che nel periodo compreso tra il 1989 e il 2017 le pensioni erogate hanno subito un aumento del 158,3%, di quasi 30 punti percentuali superiore all’incremento invece registrato dal numero degli iscritti. Verosimilmente per le stesse ragioni, è in realtà in contenuto ma costante peggioramento anche il rapporto tra pensionati e attivi che, al momento, può comunque contare sull’estremamente favorevole risultato di 3,37 attivi per ciascun pensionato.

 

Tabella 1 – Il quadro generale e gli indicatori principali 

Tabella 1 - Il quadro generale e gli indicatori principali

Fonte: Sesto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano

 

Qual è lo stato di salute delle casse degli Enti privatizzati?

Ricordando innanzitutto come premessa fondamentale che, a differenza delle gestioni pubbliche, le Casse dei liberi professionisti – che operano secondo la schema “a ripartizione” – hanno obbligo di previsione di sostenibilità dei bilanci a 50 anni e dispongono inoltre di proprie riserve patrimoniali, valutate per il 2017 in circa 79 miliardi di euro, destinate a tutelare le prestazioni degli iscritti in ogni evenienza (ad esempio nel caso di picchi di pensionamento o di forti variazioni demografiche), va segnalato che il rapporto tra le entrate per contributi e le uscite per pensioni è stato nel 2017 pari a 1,723. Valore in calo rispetto al 2016, ma comunque buon indicatore di sostenibilità della spesa nel medio e nel lungo termine.

Ancora una volta, va però tracciato un quadro fortemente differenziato, in questo caso tra le diverse Casse: se, ad esempio, CNPADC (Dottori Commercialisti), ENPAV (Veterinari) e Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (Avvocati) presentano – sempre con riferimento al 2017 -  un rapporto entrate/uscite di tutto rispetto, con entrate contributive quasi o più che doppie rispetto alla prestazioni pensionistiche, nell’esame del rapporto tra entrate contributive e spesa per pensioni a spiccare è soprattutto il permanere delle difficoltà dell’INPGI (giornalisti) che, con un rapporto pari a 0,70, evidenzia un versamento di contributi non sufficienti a coprire le prestazioni. In attesa di conoscere i dettagli relativi al bilancio 2018, si può rilevare come il dato sia oltretutto peggiorato rispetto al 2016 (0,77): il disavanzo tra pensioni e contributi pari a 152,6 milioni di euro è  imputabile sia alla crescita della spesa per pensioni IVS (+25 milioni circa) sia alla riduzione dei contributi per IVS e riscatti/ricongiunzioni (-14 milioni circa). A questo proposito va comunque anche registrato che, proprio nel 2017, l’INPGI ha varato una radicale riforma – la quale prevede l’allineamento del requisito anagrafico a quello in vigore per i lavoratori dipendenti per le pensioni di vecchiaia e l’aumento progressivo del requisito contributivo indicizzato all’aspettativa di vita per quelle di anzianità - i cui  effetti, come normalmente accade in questi casi, non possono però che essere misurati gradualmente nel tempo.

 

E, nel frattempo, come evitare gli scenari peggiori? Il caso INPGI

Almeno per il momento, scongiurata l’ipotesi di un commissariamento: è stato infatti approvato proprio in questi giorni un emendamento al DL Crescita che conferma lo stop fino al 31 ottobre 2019 e fornisce quindi più tempo all'Istituto per riequilibrare la propria gestione finanziaria, agendo in particolare sul contenimento delle spese e, dunque, sulle entrate contributive. Malgrado non sia mancata da parte dell'INPGI stessa una forte presa di posizione sull'emendamento, inizialmente meno restrittivo rispetto a quello approvato, la strada è tracciata: all’Istituto l'onere di comunicare ai ministeri vigilanti un bilancio tecnico-attuariale che ne evidenzi la sostenibilità economico finanziaria di medio-lungo periodo, obiettivo che, da più voci, pare tuttavia a questo punto raggiungibile solo con  regolamenti che vadano ad ampliare la platea contributiva. Un tema, quest’ultimo, già ampiamente dibattuto negli ultimi mesi, quando si è appunto a più riprese valutata l’ipotesi di estendere l’obbligo di iscrizione alla Cassa a circa 20.000 “comunicatori” ora per lo più sotto l’egida INPS.

È del resto indubbio che l’attuale situazione INPGI sia sintomo di un problema ben più ampio e profondo, affondando le proprie radici anche nella crisi dell’editoria e negli enormi cambiamenti che stanno vivendo il mondo dell’informazione e tutte le professioni correlate, quella giornalistica in primis. Se è quindi vero, da un lato, che l’allargamento – pur certo non risolutivo dell’intera questione - andrebbe incontro proprio a queste profonde trasformazioni, lo è altrettanto che potrebbe rivelarsi poco rassicurante per i contribuenti coinvolti, nella maggior parte dei casi costretti a lasciare delle gestioni in attivo in favore di un ente che sta vivendo una situazione di forte difficoltà. Nel frattempo, la conversione in legge del Decreto Crescita si porta avanti anche su questo punto: introdotta proprio nelle ultime ore di discussione anche un’altra modifica, la previsione di un accantonamento finanziario a partire dal 2023 e fino al 2031, che agisca come clausola di garanzia sui conti dell’INPS nell'eventualità di una "migrazione" dei comunicatori o di altre categorie professionali. 

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

20/6/2019, aggiornato il 27/06/2019 

 
 

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