Pensioni e gestioni, come sta la previdenza obbligatoria italiana?

La spesa previdenziale italiana è complessivamente sotto controllo ma le gestioni di alcune categorie di assicurati palesano evidenti e persistenti segnali di fatica: bene dipendenti del settore privato, liberi professionisti e parasubordinati, in difficoltà artigiani e dipendenti pubblici. In attesa di valutare gli scenari post COVID-19, alcune riflessioni a partire dai dati del Settimo Rapporto Itinerari Previdenziali

Mara Guarino

Nel 2018, la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni previdenziali è ammontata - al netto della quota GIAS, la Gestione per gli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali - a 225.593 milioni di euro, facendo segnare rispetto al 2017 del 2,15%. Un incremento imputabile, secondo il Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in parte alla rivalutazione all’1,1% delle rendite all’inflazione e per il resto all’effetto rinnovo innescato dalla sostituzione delle pensioni cessate con quelle di nuove liquidazione, di importi mediamente più elevati perché erogate a fronte di un’età pensionabile maggiore, cui tendono spesso a corrispondere carriere più lunghe e buone posizioni contributive  E che, soprattutto, non sposta il giudizio nel complesso positivo sulla tenuta del sistema previdenziale italiano che, a differenza di un’assistenza sempre più fuori controllo, sembra aver avvicinato quella condizione di stabilità che le ultime, discusse e discutibili, riforme in materia si proponevano.

All’interno di questo quadro incoraggiante, almeno per quanto riguarda la previdenza in senso stretto, e in attesa di quantificare gli impatti sul welfare italiano della crisi economica provocata dal nuovo coronavirus, vanno tuttavia già rilevate importanti differenze tra le diverse gestioni, alcune delle quali vessano infatti in condizioni di pesante squilibrio. Nel dettaglio, sono solo 4 le categorie che hanno avuto entrate superiori alle uscite totali, realizzando saldi positivi: lavoratori dipendenti, commercianti, liberi professionisti e parasubordinati.  Anche in questo caso però, con alcuni importanti distinguo che, alla luce dei recenti avvenimenti, potrebbero pesare ancora di più in futuro.

Tabella 1 - Fonti di finanziamento della spesa per pensioni: principali categorie (2018) 

Tabella 1 - Fonti di finanziamento della spesa per pensioni: principali categorie (2018)

Fonte: Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano Itinerari Previdenziali

Per i lavoratori dipendenti e i commercianti le entrate contributive sono state inferiori alle uscite totali rispettivamente del 15,3% e del 7,4%, tanto che l’avanzo positivo è stato ottenuto concretamente in forza della gestione assistenziale, da cui sono arrivati trasferimenti pari al 18,3% e al 13,1% delle spese totali. Alla base dei trasferimenti vanno tuttavia evidenziate solide motivazioni: sul conto del FPLD gravano infatti voci che sarebbe stato sin dal principio più logico attribuire alla funzione di “sostegno al reddito”, come la quattordicesima mensilità e oltre 600mila prepensionamenti.

Più nitido invece il risultato delle Casse dei liberi professionisti che hanno finanziato con i contributi degli iscritti il totale delle prestazioni previdenziali senza trasferimenti di natura assistenziale, registrando un consistente saldo attivo pari all’81% delle prestazioni erogate. Risultato che, al netto delle inevitabili e significative differenze interne, deriva da un rapporto elevato tra numero di contribuenti attivi e numero di pensioni erogate, tipico dei fondi professionali relativamente “giovani” e comprendenti categorie che sono ancora in una fase di espansione numerica. Peculiarità, non a caso, ancora più evidente per il fondo dei lavoratori parasubordinati, dove nel 2018 le entrate contributive hanno “doppiato” di più di 7 volte le prestazioni in pagamento, senza tenere peraltro contro dei trasferimenti dalla GIAS per un valore pari al 12,6% delle pensioni erogate. Il risultato è in ogni caso un significativo attivo di 7.087 milioni.

Tutte le altre categorie di assicurati (dipendenti pubblici, artigiani, agricoli, clero e integrativi) hanno invece registrato entrate inferiori alle uscite totali, con saldi di gestione negativi: se in termini relativi, gli squilibri più marcati sono quelli di agricoli (CDCM), che versano al fondo contributi pari al 15,8% delle prestazioni ricevute, e Fondo Clero, dove le entrate contributive sono meno del 29% delle uscite totali e il saldo negativo tocca il 61,7% delle stesse uscite, in valore assoluto i disavanzi che pesano maggiormente sui risultati dell’intero sistema pensionistico italiano sono quelli di dipendenti pubblici e artigiani. Mentre nel primo caso, le entrate contributive raggiungono solo il 56,7% della spesa totale per pensioni, nel caso del Fondo Artigiani si fermano al 56,1%: valori che li collocano ben distanti dall’obiettivo dell’autofinanziamento.

Per cercare di capire le eventuali ragioni che si celano dietro questi numeri diventa utile estendere lo sguardo all’indietro e tracciare i trend degli ultimi 10 anni (2008 – 2018): tenendo sempre conto della percentuale della spesa al netto della GIAS, si può notare come la maggior parte dei fondi abbia mantenuto un andamento stabile nel tempo. In particolare, dipendenti privati, commercianti, liberi professionisti e fondi integrativi raggiungono quote pari o superiori al 100% della spesa, con tendenze all’aumento per i fondi integrativi e a alla riduzione per commercianti e professionisti: a ogni modo, nel complesso, questo aggregato di fondi si difende molto bene e ottiene entrate contributive pari a circa 1,8 volte le uscite per prestazioni.

Figura 1 - Percentuale di finanziamento con contribuzione della spesa previdenziale totale 

Figura 1 - Percentuale di finanziamento con contribuzione della spesa previdenziale totale

Fonte: Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano Itinerari Previdenziali

Guardando invece ai fondi “in negativo”, malgrado le basse quote di copertura di Fondo clero e Fondo CDCM (quest’ultimo comunque in miglioramento in virtù della progressiva riduzione del numero di prestazioni erogate), particolarmente critica si conferma la situazione di dipendenti pubblici e artigiani che, nel decennio 2008-2018, hanno registrato diminuzioni sensibili: mentre i primi hanno vissuto un calo delle quote di contribuzione sulla spesa di quasi 22 punti percentuali (da 78,6% a 56,7%), i secondi sono calati del 13,6% (da 82,6% a 69%). Entrambe le categorie hanno in effetti registrato, nell’ultimo decennio, un tendenziale peggioramento del rapporto tra numero di contribuenti attivi e numero di pensioni erogate, che può a buon conto essere considerato la principale ragione dello squilibrio crescente.

Anche in questo caso alcune precisazioni sono però doverose. Come ben evidenziato dal Settimo Rapporto Itinerari Previdenziali, la gestione assicurativa degli artigiani ha patito in particolar modo gli effetti della crisi generale avviatasi proprio nel 2008, perdendo ben 312mila contribuenti attivi (il 16,4%), a fronte di un aumento del 10,8% delle prestazioni erogate: di qui, oltretutto, la scelta di innalzarne gradatamente l’aliquota contributiva, con esiti che – allo stato attuale – non paiono tuttavia sufficienti a compensare il disavanzo. Nel caso dei dipendenti pubblici, alla base dell’attuale situazione di difficoltà va invece senza dubbio ravvisato il rallentamento del turn over conseguente al blocco delle assunzioni iniziato già negli anni precedenti la crisi, con inevitabile e conseguente frenata anche della dinamica delle entrate contributive (dal 2008 al 2018 l’ammontare delle contribuzioni è diminuito di 1,6 miliardi di euro).  A conti fatti, il risultato è comunque uno squilibrio di 30.578 milioni che - sebbene influenzato dalla norma che ha negli ultimi anni qualificato come spesa assistenziale finanziata dalla GIAS una parte della spesa che, in precedenza, ricadeva nell’ordinaria gestione alleggerendo i saldi di circa il 30% - vale da solo circa 2,2 volte il saldo positivo di tutti gli altri fondi di previdenza obbligatoria: la categoria dei dipendenti pubblici è quindi, numeri alla mano, la fonte principale degli squilibri dell’intero sistema previdenziale.

Da valutare allora con particolare interesse i dati riferiti al 2019, anno per il quale sarà verosimile aspettarsi un piccolo scossone, dovuto sia al programmato sblocco del turn over sia all’impatto di Quota 100 che, dato il prevedibile ed elevato numero di richieste, avrebbe forse meritato - come dimostrato peraltro anche dal “caso sanità” scoppiato nel pieno dell’emergenza COVID-19 - maggiore attenzione preventiva in termini di gestione di tempistiche, avvicendamenti e concorsi. E, inevitabilmente, con ancora maggiore attenzione maggiore occorrerà poi guardare ai dati 2020, su cui al momento pendono previsioni piuttosto funeste: se la crisi 2008 portò a una perdita di circa 378.000 occupati, la perdita di PIL ancora superiore indotta dal coronavirus, da una parte, e le filiere maggiormente colpite dalla pandemia, dall’altra, lasciano presagire una perdita di almeno 600mila posti di lavoro; almeno 1 milioni i disoccupati in più tenendo conto di liberi professionisti e autonomi. Numeri che difficilmente non scuoteranno il sistema di welfare considerato sia il maggior numero di prestazioni assistenziali erogate sia l’inevitabile maggiore propensione al pensionamento da parte dei lavoratori più “a rischio” che potrebbero preferire anticipare la pensione, anche a fronte di una rendita più bassa (ma certa e duratura nel tempo), all’incognita di restare senza occupazione o ammortizzatore sociali.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

20/5/2020

 
 

Ti potrebbe interessare anche