TFR: in azienda o al fondo pensione purché la scelta sia consapevole

Mantenere il proprio TFR in azienda o versarlo al fondo pensione? È una delle annose questioni che potrebbero non trovare mai una risposta univoca e valida per tutti: analizzare quindi a fondo entrambe le possibilità è l'unica via lungo cui compiere la scelta migliore per ogni lavoratore

Niccolò De Rossi

Lavoro, risparmio e consumi. Tre elementi indissolubilmente legati tra loro, poiché senza il primo non potrebbero esistere gli altri due. Il lavoratore pone tipicamente moltissima attenzione al “solo” reddito che annualmente percepisce - la base che genera le altre due variabili - dimenticando spesso un altro elemento che invece merita la stessa attenzione: il Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Ma che cos’è concretamente il TFR e perché dovrebbe interessare tanto il lavoratore (dipendente)?

Il TFR corrisponde alla prestazione economica che compete al lavoratore subordinato all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, per qualsiasi motivo (licenziamento, dimissioni, o raggiungimento dell’età della pensione): si tratta quindi di un compenso con corresponsione differita, una sorta di salario posticipato calcolato per quote annuali.

Perché è importante parlare di TFR? Il motivo è semplice e attiene al possibile impiego e modalità di utilizzo che lo stesso dipendente può farne già durante l’attività lavorativa, dunque prima che sia effettivamente liquidato. In particolare, il primo e fondamentale passo è decidere se mantenere il proprio TFR maturando presso l’azienda o se destinarlo invece alla previdenza complementare. Trovare una risposta valida per tutti non è compito facile. Analizzare allora le differenze tra le due soluzioni può aiutare nel compiere le proprie valutazioni ed effettuare così la scelta migliore.

 

Le possibili destinazioni del TFR

A partire dall’1 gennaio 2007, attraverso il Decreto Legislativo 252/2005, è stata introdotta la facoltà di scegliere, per tutti i lavoratori dipendenti, la destinazione del proprio TFR. Il lavoratore è infatti libero di: 1) destinare il proprio TFR maturando alla previdenza complementare con modalità esplicita e, versando anche la propria quota aggiuntiva di contribuzione, beneficerà anche di quella datoriale, che è stabilita a livello contrattuale e rappresenta in concreto un aumento della propria retribuzione. Ciò avviene però solo nel caso di adesione alla forma prevista dagli accordi collettivi; se si aderisce a un fondo diverso, il datore di lavoro deciderà se contribuire o meno per la sua quota (versando il solo TFR non si avrà invece diritto al versamento contributivo da parte del datore di lavoro); 2) versare le quote di TFR maturando alla previdenza complementare con modalità tacita, fattispecie che si concretizza decorsi sei mesi dalla data di assunzione e in assenza di scelta da parte del lavoratore, che vedrà lo stesso TFR versato alla forma previdenziale collettiva o, in assenza di questa, a quella scelta dal maggior numero di lavoratori dell’azienda o ancora, se non presente, confluirà a FONDINPS; 3) lasciare il Trattamento di Fine Rapporto presso l’azienda nel caso in cui quest’ultima impieghi meno di 50 dipendenti o, nel caso di 50 o più dipendenti, sarà versato al Fondo di Tesoreria.

Al fine di compiere la scelta più appropriata è bene ricordare che l’adesione alla previdenza complementare, sia che avvenga con modalità esplicita che tacita, dà diritto alla completa deducibilità dal proprio reddito dei versamenti effettuati fino alla soglia annua di 5.164,57 euro. Viste quindi le possibilità a disposizione in merito al proprio Trattamento di Fine Rapporto è utile passare in rassegna le differenze che derivano dalla scelta da compiere.

 

TFR in azienda vs TFR al fondo pensione: gli elementi da valutare

Senza tanti giri di parole, per il lavoratore la decisione dovrebbe essere effettuata a valle di un’analisi complessiva di vantaggi/svantaggi dal punto di vista fiscale, di redditività, di convenienza e facilità nell’utilizzo del TFR per determinati eventi (acquisto prima casa, spese sanitarie, etc.) nonché per costruirsi una pensione integrativa (nel caso venga versato al fondo pensione).

La pensione “integrativa” – Tanto i cambiamenti demografici e nel mondo del lavoro quanto la consistente volatilità in materia di pensione pubblica rendono l’adesione alla previdenza complementare sempre più necessaria soprattutto per i più giovani. A prescindere dallo strumento utilizzato (contrattuale, fondo aperto o PIP), sono principalmente due gli elementi che impatteranno sull’entità della prestazione che si riceverà al momento della maturazione dei requisiti pensionistici: il tempo (prima si comincia più tempo si avrà per accrescere il proprio montante contributivo) e il livello di contribuzione. Considerando questo secondo aspetto, tipicamente la parte più rilevante del versamento a un fondo pensione (e, quindi della prestazione finale) deriva proprio dalla quota del TFR. Viene da sé che destinare il TFR alla previdenza integrativa consentirà al pensionato di domani di disporre, almeno in parte e con buona probabilità, di un tasso di sostituzione (rapporto tra l’ultima retribuzione e la prima rata pensionistica) tale da mantenere quasi inalterato il suo tenore di vita, integrando la prestazione pensionistica pubblica.

La redditività – Un’importante differenza tra le due ipotesi in analisi risiede nel possibile rendimento finanziario conseguibile. Il TFR lasciato in azienda viene infatti rivalutato al tasso dell’1,5% + il 75% del tasso di inflazione al dicembre dell’anno precedente, dunque in maniera prestabilita. Versandolo invece alla forma pensionistica complementare scelta verrà investito nei mercati finanziari, potendo così beneficiare dei potenziali rialzi degli stessi. Il fondo pensione offre inoltre la possibilità di scegliere la linea di investimento che meglio riflette la personale propensione al rischio. A ogni modo, poiché l’inflazione non raggiunge valori elevati a meno di particolari crisi (che pur ci sono state nella storia, ma che non sono affatto auspicabili), soprattutto se si prende in esame un arco di tempo di lungo periodo (25-30 anni), ovvero quello su cui è bene valutare i ritorni della previdenza complementare, i rendimenti finanziari conseguiti da quest’ultima (e quindi del TFR lì destinato) sono ben al di sopra di quelli registrati dal TFR lasciato in azienda. In costanza di tali risultati, la prima scelta risulterebbe dunque svantaggiosa sotto il profilo del rendimento.

La fiscalità – Un’altra importante differenza, strettamente legata al punto precedente, riguarda la tassazione degli stessi rendimenti. Nel caso in cui il TFR venga lasciato presso l’azienda il suo rendimento sarà assoggettato a un’aliquota fissata al 17%; i fondi pensione invece beneficiano di un’imposta sostitutiva del 20% su interessi e plusvalenze realizzate anziché del 26% come gli altri strumenti finanziari. Da considerare inoltre che i titoli di Stato, nonché le obbligazioni dei titoli pubblici territoriali (come regioni, province e comuni) e i bond di Stato esteri e territoriali inseriti nella white list (che contiene gli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni) e quelli degli organismi internazionali, sono tassati al 12,5%. Un esempio può aiutare il confronto: prendendo il comparto bilanciato di un fondo pensione (70% obbligazionario e 30% azionario), rappresentativo del portafoglio medio di un fondo, applicando le due aliquote agevolate, si ricava un’imposizione media del 14,75%, cioè inferiore al 17% che sconterebbe il TFR lasciato in azienda. Dunque, da una parte maggiori rendimenti potenziali e, dall’altra, un’imposizione favorevole che sul lungo periodo può fare una bella differenza.

Sotto l’aspetto fiscale c’è inoltre da considerare la differenza di tassazione al momento dell’erogazione del TFR. Vediamo anche qui le peculiarità nei rispettivi casi: 1) se il TFR è stato lasciato in azienda, al momento della sua liquidazione, sarà soggetto a tassazione separata, ovvero la quota di TFR maturato verrà moltiplicato per dodici e diviso per gli anni di servizio (TFRx12/n° anni di servizio) su cui verrà applicata l’aliquota (IRPEF) media di tassazione dei cinque anni antecedenti la cessazione dell’attività lavorativa. La differenza tra il TFR lordo e la quota di IRPEF appena calcolata restituirà il TFR netto a disposizione del lavoratore (per le regole di tassazione del TFR si veda art. 17 del TUIR e art. 2120 Codice Civile); 2) nel caso di versamento al fondo pensione invece, la prestazione pensionistica che verrà erogata e che includerà ovviamente il TFR, sconterà una tassazione massima del 15%, che decresce dello 0,3% per ogni anno di iscrizione alla previdenza complementare successivo al quindicesimo fino a un minimo del 9%.

Considerando inoltre che, statisticamente, gli ultimi anni di carriera hanno in genere retribuzioni più elevate, la tassazione del TFR sarà più elevata se lasciato in azienda (tra il 23 e il 43%, gli scaglioni IRPEF). Discorso invece diametralmente opposto nel caso di destinazione del TFR al fondo pensione che,  come visto, applicherà un’aliquota tra il 15 e il 9%, una bella differenza.

Modalità di utilizzo – E se invece il lavoratore avesse bisogno di utilizzare il TFR in anticipo rispetto alla sua liquidazione ordinaria? Anche in questo caso vi sono alcune differenze che è bene valutare, in particolar modo con riferimento sia alle condizioni di accesso sia agli importi effettivamente utilizzabili,  riassunti nella tabella seguente.

Richiesta anticipazione TFR

Importante specificare che nel caso di TFR accantonato in azienda, l’anticipazione potrà essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro, a condizione che la richiesta non sia stata presentata da più del 10% degli aventi diritto e nel limite del 4% del totale dei dipendenti e verrà tassata come visto in precedenza. Al contrario, non c’è limite al numero di anticipazioni ottenibili dal fondo pensione che saranno invece assoggettate, nel caso di spese sanitarie, all’aliquota del 15% ridotta di 0,3 punti percentuali per ogni anno di adesione oltre il quindicesimo; in tutte le altre casistiche verrà applicata una ritenuta a titolo di imposta con aliquota fissata al 23%. Ulteriore aspetto da tenere in conto è che quanto richiesto come anticipazione al fondo pensione può essere reintegrato con uno o più versamenti che possono anche superare la soglia annuale di 5.164,57 euro e comunque in esenzione di imposta.

Riprendendo quindi quanto detto in apertura, alla luce delle numerose variabili e differenze evidenziate, il lavoratore ha davanti una scelta molto importante e altrettanto complessa, di cui è bene valutare ogni sfumatura per poter compiere una scelta consapevole che sarà, con ogni probabilità, la scelta migliore.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

20/11/2019

 
 

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