TFR pregresso al fondo pensione: dall'azienda sì, dall'INPS no

Con un recente messaggio, dopo un'attesa durata anni, l'INPS si è pronunciata sul tema del TFR pregresso confluito nel Fondo di Tesoreria, escludendo che possa essere versato alla previdenza complementare: una posizione che rischia di essere fortemente discriminatoria nei confronti dei lavoratori di aziende con più di 50 dipendenti 

Michaela Camilleri

Con il messaggio n. 413 del 4 febbraio 2020, l'INPS ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità di trasferire il TFR accantonato presso il Fondo di Tesoreria al fondo pensione scelto dal lavoratore. Dopo quattro anni, l’Istituto ha infatti risposto all’interrogativo formulato sia dalla COVIP sia dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, negando di fatto la possibilità di incrementare le posizioni dei lavoratori presso il fondo pensione destinandovi le quote di TFR pregresso accantonate dal 2007 presso il Fondo di Tesoreria

Secondo l’interpretazione data dall’INPS, considerato l’attuale quadro normativo in vigore, il Fondo di Tesoreria è configurabile come una gestione di natura previdenziale e, di conseguenza, le quote di TFR versate sono indisponibili da parte del lavoratore e del datore di lavoro. Tuttavia, come rilevato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell’approfondimento del 14 febbraiotale posizione rischia di creare una forte discriminazione tra i lavoratori di aziende con almeno 50 dipendenti (il cui TFR è gestito appunto dal Fondo d Tesoreria, salvo decisione del lavoratore di aderire a un fondo pensione) e quelli di aziende con meno di 50 addettii quali invece, d’intesa con il datore, posso destinare il TFR pregresso alla previdenza complementare. Proviamo di seguito a chiarire la questione.

 

La destinazione del TFR e il Fondo di Tesoreria

In merito alla destinazione del TFR (art. 8 D.Lgs. 252/2005), il lavoratore dipendente del settore privato entro sei mesi dalla data di assunzione può:

  • non esprimere alcuna volontà in maniera esplicita. In tal caso, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando al fondo pensione previsto dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo diversi accordi aziendali; in caso di presenza di più forme pensionistiche, il TFR maturando è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione con il maggior numero di lavoratori dell’azienda iscritti; in caso di mancato accordo e di assenza di un fondo pensione di riferimento, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS (il cosiddetto Fondinps);
     
  • far confluire il TFR maturando a un fondo pensione
     
  • mantenere il TFR presso il proprio datore di lavoro, sapendo che tale decisione potrà sempre essere successivamente revocata a favore del conferimento del maturando a un fondo pensione prescelto.
     

Su quest’ultimo caso è intervenuta la legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), istituendo il “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del Codice civile”. Si tratta, per l’appunto, del Fondo di Tesoreria gestito dall'INPS per conto dello Stato, secondo il sistema a ripartizione, su apposito conto corrente aperto presso la Tesoreria dello Stato. Al Fondo confluiscono le quote di TFR maturando dei dipendenti di aziende con almeno 50 addetti. Il TFR resta effettivamente presso il datore di lavoro solo se l’azienda impiega meno di 50 addetti. 

 

La possibilità di trasferire il TFR pregresso 

Finora abbiamo sempre parlato di destinazione del TFR maturando, cioè maturato a partire dal momento della scelta. Tuttavia, la legge n. 244 del 24 dicembre 2007, introducendo il comma 7-bis all’interno dell’art. 23 del D.Lgs. 252/2005, ha esplicitato la possibilità per i lavoratori di destinare alla previdenza complementare anche il TFR pregresso, prevendendo, al momento dell’erogazione delle prestazioni da parte dei fondi pensione, la tassazione secondo le modalità vigenti pro-rata temporis per le quote di TFR accantonate entro il 31 dicembre 2006. 

Richiamando la normativa citata, in risposta ai quesiti di maggio 2009 e maggio 2014, la COVIP ha chiarito che il versamento del TFR pregresso a forme pensionistiche complementari è possibile, anche con riferimento alla quota lasciata in azienda dopo l'1 gennaio 2007, a patto che il lavoratore e il datore di lavoro siano d'accordo. Nel caso in cui il TFR pregresso non sia effettivamente in azienda ma sia rimasto giacente presso il Fondo di Tesoreria dell’INPS, l’Autorità di vigilanza, pur ritenendo auspicabile la stessa possibilità, ha rimesso la decisione all’Istituto in virtù della “sua esclusiva competenza nelle modalità di smobilizzo del TFR”.

Ebbene, come anticipato, lo scorso 4 febbraio l'INPS si è pronunciata negativamente sulla possibilità di trasferire, d’intesa con il datore di lavoro, il TFR confluito nel Fondo di Tesoreria al fondo pensione. Secondo i chiarimenti forniti, infatti, il Fondo di Tesoreria è configurabile come una gestione previdenziale e pertanto le quote di TFR versate sono indisponibili da parte del lavoratore e del datore la lavoro. Tuttavia, tale lettura, in linea con le osservazioni sollevate nel richiamato approfondimento del Consulenti del Lavoro, omette l’esplicita previsione del c. 7-bis dell’art. 23 del D.lgs. 252 che, seppure finalizzata a un chiarimento di natura fiscale, ammette il conferimento del TFR pregresso alla previdenza complementare. Inoltre, ritenere - come fa l'INPS - la gestione del TFR una normale gestione previdenziale è nella sostanza errato poiché il TFR non è una contribuzione né obbligatoria né volontaria ma, per definizione, “retribuzione differita” e, come tale, rientra sempre nelle disponibilità del lavoratore.

In estrema sintesi, a oggi al fondo pensione viene versato solo il TFR maturato a partire dal momento dell’adesione. Tuttavia, d’intesa con il datore di lavoro, si può richiedere di versare anche il TFR precedentemente accantonato e lasciato in azienda, ma per le aziende con almeno 50 addetti, che quindi versano il TFR al Fondo Tesoreria, è possibile far confluire al fondo pensione solamente le quote accantonate prima del 2007.

La domanda che sorge spontanea è: perché, alla luce delle continue pressioni alle quali è sottoposto il nostro sistema pensionistico pubblico, non favorire la possibilità di incrementare le posizioni individuali dei lavoratori iscritti alla previdenza complementare? Le risorse in gioco, e forse la risposta sta tutta qui, non sono affatto irrilevanti: come risulta dall’ultima relazione COVIP, nel 2018 il flusso complessivo di TFR generato nel sistema produttivo può essere stimato in circa 26,4 miliardi di euro; di questi, 14,5 miliardi sono rimasti accantonati presso le aziende, 6 miliardi versati alle forme di previdenza complementare e 6 miliardi destinati al Fondo di Tesoreria. Dall’avvio della riforma, il TFR confluito alla previdenza complementare è risultato pari a 62,3 miliardi contro i 68,3 del Fondo di Tesoreria.

Limitando così la portabilità del TFR, non solo vengono meno i vantaggi fiscali legati all’adesione alla previdenza complementare, ma si mette oltretutto in discussione l’adeguatezza delle prestazioni, nonché la possibilità di reinvestire questi flussi nel sistema Paese. Sarebbe a questo punto interessante (oltre che auspicabile) leggere una risposta da parte del Ministero vigilante, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Fiduciosi, restiamo in attesa di un segnale di presenza.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

24/3/2020

 
 
 

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