Il DIP, caratteristiche e funzione: regole per una corretta compilazione

Dalle regole e avvertenze per un'adeguata compilazione al delicato tema dei rinnovi taciti dei contratti stipulati prima dell'1 ottobre 2009: un'analisi di cosa attende imprese e utenti finali con l'avvento del DIP

Maurizio Hazan

Tra i principi basilari posti a presidio della nuova normativa in materia di distribuzione (una normativa a matrice dichiaratamente “consumercentrica”...) vi sono:

  1. la regola della semplificazione e chiarezza del linguaggio utilizzato nella stesura dei docunenti contrattuali; un linguaggio che deve sapere “parlare” a un’utenza non qualificata;
  2. l’esigenza di consentire alla clientela un acquisto consapevole e pienamente informato  di un prodotto “utile” e, quindi, effettivamente adeguato alle proprie esigenze di protezione da rischi di volta in volta individuati;
  3. la necessità di consentire una agevole comparazione tra le diverse soluzioni di prodotto omogenee offerte dai diversi players del mercato.

Tali principi, tra loro evidentemente interconnessi, vengono ossequiati, dalla IDD, attraverso un corposo set di norme volte a disciplinare tanto le modalità di creazione del prodotto (POG), quanto la stesura e la presentazione della documentazione precontrattuale e contrattuale, quanto, infine, la condotta dei distributori nella gestione della relazione con la clientela (prima, durante e dopo la conclusione del contratto). In questo contesto si cala, la predisposizione della documentazione precontrattuale, caratterizzata da un approccio assai vincolistico e fondato, anzitutto, sull’obbligatoria redazione di un documento informativo concepito (dal legislatore europeo – Reg. di esecuzione n. 1469/2017) in termini  il più possibile standardizzati e semplici, per consentire al cliente di comprendere – si direbbe quasi visualizzare – in modo immediato e facilmente confrontabile i contenuti delle proposte di copertura reperite sul mercato.

Il nostro legislatore nazionale ha peraltro esteso l’ambito di appplicazione originario della previsione, disponendo l’obbligo di compilazione del DIP anche per le polizze vita. La matrice, come detto strettamente vincolata, del DIP impone che lo stesso sia costruito rispettando la struttura assai semplificata e sintetica, la disposizione, la suddivisione in rubriche e la sequenza riportate nel formato standardizzato allegato al citato regolamento europeo n. 1469.

Ciò, evidentemente, fa sì  che il DIP, pur costituendo il primo elemento di orientamento del cliente all’acquisto consapevole,  non sia, nella maggior parte dei casi, un documento esaustivo: si tratta,  dunque, di una fotografia istantanea delle caratteristiche “principali” della copertura (o delle coperture, in caso di prodotto multirischio/multiramo) comprese nel prodotto proposto.

La profilazione di maggior dettaglio, utile a fornire una miglior specificazione dei punti salienti dell’articolazione di garanzia e del contratto (oltre che delle caratteristiche del distributore) trova spazio invece nel DIP aggiuntivo. Un documento assai più libero, quanto a modalità di compilazione, per l’impresa (si pensi solo al fatto che per il DIP aggiuntivo non sussistono quelle strette limitazioni imposte dal legislatore, per il DIP, circa il numero di pagine - 2 o massimo 3 - da utilizzare nella concreta stesura del modulo). Il set informativo, si completa, poi naturalmente, delle CGA, che contengono il definitivo, pieno e completo sviluppo di tutte le “regole del gioco”.

I tre documenti – da presentarsi in modo rigoroso e senza alcuna contaminazione di natura pubblicitaria – devono, ovviamente, risultare perfettamente coordinati e condividono una medesima regola di fondo (già citata) improntata a chiarezza, semplicità di linguaggio ed esaustività dell’informazione.

Tema, quest'ultimo, nient'affatto banale, atteso che, a parere di chi scrive, uno degli aspetti più criticabili del “vecchio modo” di fare assicurazione sta proprio nello scarso coordinamento (e talvolta nella contradditorietà) dei diversi campi delle condizioni contrattuali oltre che nella frequente cripticità e cattiva formulazione (financo lessicale) di alcune clausole.

La sfida della semplificazione e della chiarezza costituisce dunque il leit motiv dei prossimi anni: chi saprà presidiarla al meglio avrà senz’altro un punto di vantaggio concorrenziale e, comunque, avrà contribuito alla riuscita della non facile missione di stimolare nel pubblico una miglior conoscenza della funzione protettiva e solidale della assicurazione, nella moderna società del rischio. Ciò, oltre a consentire di superare i numerosi pregiudizi di fondo che animano “l’uomo della strada” (verso il mondo “forte” delle assicurazioni), ridurrà i rischi di un contenzioso che, altrimenti, potrebbe rivelarsi in pericolosa  espansione – proprio - sul piano delle responsabilità connesse alla violazione delle regole di correttezza e trasparenza nel collocamento dei prodotti assicurativi.

In questo senso, del resto, vanno lette le precise indicazioni fornite dall’IVASS nella propria lettera al mercato del 14 marzo 2018 in tema di semplificazione dei prodotti assicurativi: entro la fine del 2019 le imprese dovranno revisionare i loro prodotti (in commercio) e riscriverli in modo aderente alle regole di semplicità e chiarezza propugnate (in verità in termini piuttosto astratti) dall’Istituto (all’esito di un tavolo tecnico gestito con ANIA). Insomma, nel corso del 2019 le imprese avranno il dovere, e l’opportunità, di rifare il vestito ai propri prodotti, in modo se possibile personale e originale, ma coerente con tutte  le regole, tra loro perfettamente convergenti, previste dalla legislazione comunitaria e nazionale.

In linea di principio, il processo che dovrebbe esser seguito dalle imprese nella costruzione dei propri prodotti (almeno quelli di nuova commercializzazione) e della relativa documentazione pare essere il seguente:

  • realizzazione del primo concept di prodotto, e delle relative CGA, sulla base dell’idea di partenza che il distributore vuol perseguire lanciando sul mercato la propria proposta;
  • revisione/modifica/approvazione di tale soluzione di prodotto all’esito di un processo (il POG, nella sua fase genetica) che già individua, naturalmente, il cluster di clientela al quale la proposta è, in termini astratti e generali, destinata (processo che dunque considera tutte le principali esigenze di copertura dei rischio che quel cluster normalmente sopporta e che il prodotto vuol presidiare);
  • trasposizione, a questo punto quasi consequenziale, delle analisi poste a base del POG, nella compilazione del DIP (e quindi nell’individuazione delle caratteristiche salienti che identificano il prodotto rispetto alle principali esigenze dell’utenza a cui è destinato);
  • compilazione di un DIP aggiuntivo volto ad integrare, in modo comunque sintetico e coerente (e dunque non contraddittorio), le informazioni del DIP, in modo da fornire un quadro completo, sia pur non di estremo dettaglio,  delle soluzioni di garanzia e della loro operatività;
  • allestimento del set informativo, verificando la perfetta coerenza dei singoli moduli che lo compongono, ferme le esigenze di completezza e di dettaglio delle CGA, intese come condizioni che regolano nella sua interezza, ed in ogni aspetto, il rapporto tra le parti.

Il tutto, fondamentale continuare a ripeterlo, adottando un linguaggio il più possibile chiaro e semplice ed evitando il più possibile (anche per il DIP) l’uso di formule “gergali”, come espressamente specificato dal regolamento di esecuzione (in cui con “gergali”, a scanso di equivoco, ci si riferisce a tecnicismi giuridico/assicurativi non agevolmente comprensibili da un’utenza normalmente non dotata di competenze specifiche). In generale la disciplina di IDD assume, quale punto di partenza, una sorta di ontologica assimmetria informativa a sfavore del contraente, ribaltando in qualche modo la prospettiva posta a base del Codice civile, ad esempio negli artt. 1892 e ss.

Ciò detto in termini generali, si tratta di passare alle contingenze del momento; di un momento in cui la prima urgenza (perché come tale è percepita dal mercato) sta nella predisposizione dei DIP, da mettere a disposizione dell’utenza a partire dall'1 ottobre. 

L’imminenza del termine conduce le imprese a non poter rispettare la sopradescritta scansione logica e temporale ed a seguire un processo diverso, ricavando i contenuti del DIP dai contenuti degli attuali fascicoli informativi.  Il rischio è che si sia indotti a  correre e probabilmente a rilasciare documenti che non faranno altro che riportare acriticamente, nei campi di elezione, le parti ritenute salienti delle CGA e della nota informativa.

Non è questo, evidentemente, il metodo che dovrebbe esser seguito, dal momento che la riforma deve costituire, e costituirà, occasione per una feconda ed utile revisione dei prodotti nella direzione sollecitata dal legislatore.

Ma tant’è. L’urgenza probabilmente condurrà ad un esercizio non definitivo, e in qualche modo antieconomico, essendo ragionevole che al netto di questa prima infornata, la documentazione dovrà esser ripresa in mano in seguito. E ciò anche in vista del confezionamento del DIP aggiuntivo, e l’allestimento definitivo del set informativo, previsto per l'1 gennaio 2019

Medio tempore si registrerà una singolare incoerenza, dal momento che il DIP viaggerà in abbinamento al vecchio fasciolo informativo, a sua volta composto dalla nota informativa (che di per sé assolve, a sia pur con diverse modalità, le medesime funzioni del DIP)Ciò non significa, però, che l’attuale lavoro non possa e non debba essere utile. Né che lo stesso si risolva, sempre, e comunque, nella semplice compilazione di “campi” autoevidenti. Vediamo perché.


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La compilazione del DIP: regole e avvertenze, al di là delle strette contingenze temporali

Dovendo ossequiare, nel breve, lo sforzo di adeguamento sui prodotti destinati ad esser commercializzati dopo il primo ottobre le imprese sono dunque chiamate a:

  1. fare, se possibile, scelte redazionali in grado di fornire un certo imprinting al prodotto, sul piano della comunicazione e del linguaggio (ancora una volta, con l’occhio alla chiarezza ed alla capacità di comprensione da parte dei “consumatori” e comunque di un’utenza normalmente non qualificata);
  2. operare una selezione tra le opzioni previste dal legislatore nella compilazione dei campi: si pensi all’individuazione delle “principali” garanzie  che, nell’ambito dell’oggetto del contratto, connotano il profilo prevalente di rischio coperto dalla polizza (ammesso che quest’ultima ne contempli diversi);
  3. compiere un’operazione di semplificazione dei contenuti delle clausole che, oggi riportate nella nota informativa o nelle CGA, possono/devono esser indicate nel DIP: una riproposizione testuale rischia, in tutti i casi in cui le clausole risultino mal scritte o troppo tecniche, di inquinare la documentazione precontrattuale, oltre che non ossequiare i principi sanciti dalla Direttiva;
  4. auspicabilmente garantire un pieno coordinamento tra il DIP e il fascicolo informativo, cogliendo l’occasione per sanare eventuali incongruenze o criticità rimaste all’interno della documentazione precedentemente predisposta;
  5. prevedere sin d’ora, almeno in termini generali, quali profili di maggior dettaglio possano esser riservati alla fase di futura compilazione del DIP aggiuntivo;
  6. appuntare, pro futuro, gli eventuali aspetti di possibile ulteriore criticità che, in ottica di semplificazione e di POG, potrebbero incidere sul lavoro di semplificazione dei contratti (lavoro da completare, come sopra accennato) entro il 31 dicembre 2019.

Particolare attenzione, tra i vari campi da compilare (ex artt. 6 e 7 del regolamento di esecuzione), sembra dover esser accordata ai seguenti:

  1. le informazioni sul tipo di assicurazione, da inserirsi nella rubrica «Che tipo di assicurazione è?»; informazioni da rendere con cura qualora la copertura non rientri de plano nei paradigmi di un preciso tipo o ramo (come invece avviene, ad esempio, nei casi di rc auto, rc medica per colpa grave, rimborso spese mediche in caso di malattia…);
  2. le informazioni sui principali rischi assicurati, da inserirsi nella rubrica «Che cosa è assicurato?»  (preceduta da un segno di spunta di colore verde); qui il problema si pone quando un prodotto unitario si componga di più garanzie preassemblate, ciascuna corrispondente ad un rischio diverso: qualora il limite di spazio (3 pagine al massimo) non consenta di indicarle tutte, l’impresa dovrà operare una selezione e limitarsi ad indicare i soli rischi che maggiormente caratterizzano la soluzione di protezione di volta in volta ideata. Oggetto di particolare attenzione dovrebbero essere, poi, tutte quelle situazioni in cui il “prodotto” non sia altro, in realtà, che un agglomerato di prodotti distinti (sovente tutti opzionali) assemblati da un medesimo strumento di collocamento: a nostro parere, in questi casi, dovrebbero essere predisposti specifici DIP corrispondenti a ciascun “sotto-prodotto”, da consegnare in base alle soluzioni effettivamente selezionate in sede precontrattuale (il POG e il DIP aggiuntivo avrebbero invece la funzione di tener conto e di rappresentare il senso e la funzione degli eventuali abbinamenti);
  3. le informazioni sulla somma assicurata o sui massimali  - da inserirsi, nella sezione «Che cosa è assicurato?» - non potranno essere personalizzate, salvo si tratti di prodotti confezionati per soglie standard di valore; basterà dunque il richiamo a quanto indicato in polizza. Eventuali minimi di legge dovranno esser comunque specificati;
  4. le informazioni sulla sintesi dei rischi esclusi,  da inserirsi nella rubrica «Che cosa non è assicurato?», vanno calibrate con una certa attenzione, avendo cura di individuare – se vi sono – i rischi  che, per prassi o per inferenza, sembrano normalmente ricollegati all’oggetto principale della garanzia e che, ciò non dimeno, la polizza non prende in considerazione;  tema, quest’ultimo, che presenta una sottile differenza rispetto a quello afferente alle ...
  5. ...informazioni sulle principali esclusioni,  da collocarsi all’interno della diversa rubrica «Ci sono limiti di copertura?». Qui occorre saper elaborare la distinzione tra un rischio escluso (i.e: la copertura delle spese mediche in caso di infortunio) l’esclusione di un rischio – invece – compreso in polizza (i.e. gli infortuni occorsi in occasione di gare o competizioni sportive).

Non si tratta, insomma, neppure in questa fase urgente e transitoria, di un lavoro di semplice “copia incolla” di clausole da esportare dalla nota o dal fascicolo informativo.

Certo, data la strettezza dei tempi, molte imprese sceglieranno di passare là dove l’acqua è bassa: ma non è da trascurare l’occasione di portarsi più avanti, nell’ambito di un lavoro di ripulitura e razionalizzazione (e di miglior personalizzazione stilistica) che risulterà, domani, comunque opportuno, quando non necessario.

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Il delicato tema dei rinnovi di contratti stipulati prima del 1 ottobre 2019

Rimane da risolvere un tema delicato. L’applicazione della disciplina in materia di DIP (e precontrattuale in genere) ai rinnovi taciti di contratti già stipulati (magari anteriormente all'1 ottobre e anche in relazione a prodotti ormai fuori catalogo). Ivass pare, al riguardo, propugnare una tesi incomprensibilmente rigorosa, esposta nell’ambito della pubblica consultazione del regolamento 41 e tale da obbligare le imprese a produrre e consegnare il set informativo anche in occasione dei rinnovi di polizze precedenti. 

Quando l’art. 56 del regolamento 41 parla di rinnovo, assimilandolo alla stipula di nuovi contratti, sembra presupporre che le parti, in un modo o nell’altro, abbiano dato vita ad una nuovo (e diverso) assetto dei propri rapporti negoziali. Abbiano dunque espresso una vera e propria nuova ed esplicita dichiarazione di volontà, tesa a cambiare le regole del gioco, a crearne di nuove o (almeno) ad estendere l’efficacia temporale di un rapporto che, in assenza di una condotta positiva, sarebbe scaduto. Insomma, una tal disciplina non dovrebbe trovar spazio nelle ben diverse ipotesi di rinnovo tacito,  in cui la prosecuzione del rapporto costituisce nient’altro che attuazione, nel silenzio delle parti, dell’impegno originariamente concordato di proroga il contratto in assenza di disdetta.

Per dirla in altri termini, il rinnovo tacito non è una nuova manifestazione di volontà ma la messa in atto di quella precedente, in assenza di manifestazione esplicite di volontà abdicative. Qui sta il vero nodo della questione. E anche nella diversità evidente tra rinnovo e rinnovo tacito, potendosi intendere quest’ultimo come una vera e propria proroga, concordata ab origine, di un medesimo rapporto negoziale (che continua, senza mutare).

Di tacita proroga, e non di rinnovo, parla del resto in termini chiari l’art. 1899 c.c. Ed invero i due istituti, sovente accomunati in modo improprio (anche se spesso diretti a produrre effetti sostanzialmente sovrapponibili), divergono in modo chiaro, tanto più nell’ambito dell’operazione in oggetto.

La proroga, postula che il contratto prosegua – per un determinato periodo od a tempo indeterminato - con progressione naturale e senza soluzione di continuità. 

Il rinnovo espresso,  postulando invece una sorta di “ripartenza” ex novo della polizza alle medesime condizioni inizialmente stabilite, implica un nuovo decorso ed una riproposizione identica delle stesse dinamiche precontrattuali originarie. Il che potrebbe, tra l’altro e ad esempio, riportare a nuovo patti negoziali che, validi per il solo primo anno di rapporto, non sarebbero altrimenti efficaci in caso di proroga (si pensi al divieto di riscatto/recesso nel primo anno di durata del contratto, sia essa genetica o  “rinnovata”).

Il rinnovo tacito, in realtà, non è null’altro che una semplice proroga: il contratto rimane lo stesso e si allunga, per un tempo che le parti hanno già stabilito all’atto della stipula (per il caso di mancata disdetta).

Le regole del gioco rimangono quelle iniziali, e la prosecuzione del rapporto non dipende da una nuova espressa volontà negoziale ma dal silenzio delle parti, da intendersi quale volontà di dar attuazione al meccanismo di continuazione che avevano concordemente voluto al momento della sottoscrizione iniziale della polizza.

Tale essendo la (ragionevole) ricostruzione civilistica della vicenda, non pare davvero sostenibile la tesi che vorrebbe estendere le regole di consegna documentale precontrattuale ad un contesto, quello della prosecuzione  di un contratto in essere, che di precontrattuale non ha nulla: né il nome né la sostanza.

Ciò non significa che le imprese (e distributori, in genere, specie quelli che offrono consulenza) possano, soprattutto nei nuovi scenari di protezione imposti dalla legislazione consumercentrica del terzo millennio, rimanere del tutto passivi ed inerti innanzi alla reiterazione ripetuta di contratti obsoleti.

Le regole di buona fede, correttezza, trasparenza ed adeguatezza che connotano la moderna distribuzione dovranno muovere, anche in questo casi, l’azione dell’operatore diligente: non imponendogli, a nostro parere, inutili ed antieconomici obblighi di sovrabbondante produzione documentale, ma inducendolo ad alcune verifiche, non sistematiche ma caso per caso, della “tenuta” dei propri prodotti più risalenti, onde evitare che il cliente si trovi ad reiterare, per effetto del proprio silenzio, coperture non più utili nè conformi al mutato scenario normativo o di rischio.

Maurizio Hazan, Socio Studio Legale Taurini & Hazan e Componente Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

20/9/2018

 
 
 

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