Long Term Care e Assicurazione: vuoti normativi e potenziali sinergie con contrattazione collettiva e RCA

Nonostante l'impatto, anche economico, che la non autosufficienza rischia di avere sui singoli nuclei familiari, le polizze LTC risultano ancora scarsamente diffuse in Italia: quali i possibili stimoli in arrivo dal legislatore e il ruolo delle organizzazioni sindacali?

Alessandro Bugli

Il rapporto tra strumento assicurativo e fenomeni legati alla non autosufficienza è stato indagato da diversi interpreti del diritto e da numerosi operatori del settore. Sulla scorta dell’esperienza anglosassone, anche l’assicurazione privata si è posta l’ambizioso obiettivo di rispondere alla necessità di coloro che non siano più in condizioni di attendere alle attività del vivere quotidiano. Le soluzioni, sia vita che danni, scontano però un ridotto successo nella platea dei potenziali interessati, pur nella volontà del legislatore di agevolarne la diffusione.
 
Nel merito e per cominciare, si evidenzia la (ancora) scarsa diffusione del fenomeno. Eppur si muove! Rientrando nel novero delle cosiddette polizze della persona, la polizza LTC è molto meno conosciuta della copertura per infortuni e malattia (le quali altrettanto restano poco diffuse sul mercato italiano se non per l’essere distribuite dai canali bancari in abbinamento a mutui e finanziamenti con effetti di credit protection e per essere utilizzate in forma collettiva per impropriamente “ri-assicurare” i rischi dei fondi sanitari integrativi).
 
Attenzione, le coperture assicurative per la non autosufficienza si distinguono da quelle per infortuni e malattia in ragione del rischio coperto. Semplificando, le garanzie infortuni consentono all’assicurato di ottenere un indennizzo o un capitale o una rendita in ragione del pregiudizio patito in occasione di un evento violento, accidentale e esterno, mentre quelle malattia garantiscono il singolo per quelle patologie della salute che non siano considerabili infortuni. La polizza LTC si distingue dalle garanzie infortuni o malattia per il fatto di garantire un indennizzo, un capitale o una rendita, nel caso in cui l’assicurato non sia più in grado di attendere a una o più delle attività del vivere quotidiano (alzarsi, cucinare/mangiare, vestirsi, uscire di casa, fare spesa, autonomamente). Il tutto indipendentemente dal fatto che l’incapacità di svolgere in autonomia tali attività consegua a un evento infortunante o a una malattia o, semplicemente, all’anzianità del singolo (salvo considerare la vecchiaia, essa stessa, una malattia, secondo la nota sentenza senectus ipsa est morbus).
 
A fronte dell’esigenza di tutti noi di dare risposta alle esigenze nostre e dei nostri cari, se si guarda alla raccolta complessiva del Ramo IV vita, di cui le polizze LTC sono una componente di rilievo, si scopre che il volume d’affari relativo a garanzie di questo tipo ammonta a 79 milioni di eur (dato ANIA per il 2016) su 102 miliardi di premi contabilizzati nel 2016 dal ramo vita. Pur a fronte di una quasi inesistente percentuale di rilevanza in termini di raccolta, il dato è in crescita rispetto agli anni precedenti.
 
I dati poc’anzi esposti non possono che lasciare deporre per un’evoluzione del fenomeno e un ruolo primario delle compagnie di assicurazione nel settore che ci occupa. Se l’esigenza è già attuale, la questione è – prima di tutto (salva la difficoltà di assicurare rischi retail, per quel che si dirà) – di carattere culturale. Le famiglie spendono più di 10 miliardi di euro per esigenze correlate alla non autosufficienza, ma ancora non paiono coscienti dell’opportunità di corrispondere un contributo periodico e fisso per garantirsi dalle conseguenze futuro di un evento di tal fatta.
L’obbligo di una copertura a vita intera e l’assenza parziale di una definizione di polizza LTC - Un primo riferimento da cui potrebbe ricavarsi la definizione di assicurazione per la non autosufficienza, pur se ai soli fini fiscali, è ricavabile dal DM MEF 22 dicembre 2000 per cui è non autosufficiente colui che non è in grado di provvedere da solo a: «l'assunzione degli alimenti, l'espletamento delle funzioni fisiologiche e dell'igiene personale, la deambulazione, l'indossare gli indumenti». E «[s]i considera non autosufficiente anche il soggetto che necessita di sorveglianza continuativa».
 
L’assicurazione per la non autosufficienza è, poi, parzialmente tipizzata dal Codice delle Assicurazioni – ai soli fini amministrativi –  al suo art. 2, per cui è contemplata nel ramo IV vita: «l'assicurazione malattia e l'assicurazione contro il rischio di non autosufficienza che siano garantite mediante contratti di lunga durata, non rescindibili, per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia o a infortunio o a longevità». Stante il rimando primario del Codice delle Assicurazioni, l’assicurazione per la non autosufficienza (sempre ai fini amministrativi) è ulteriormente definita dal regolamento n. 29 ISVAP: «1. È classificata nel ramo vita IV l’assicurazione, non rescindibile da parte dell’impresa, che copre il rischio di non autosufficienza per invalidità grave dovuta a malattia, infortunio o longevità, quando la prestazione consiste nell’erogazione di una rendita. 2. L’assicurazione contro il rischio di non autosufficienza di cui al comma 1 è classificata nel ramo danni II: Malattia quando la prestazione consiste nel risarcimento, totale o parziale, del costo per l’assistenza ovvero in una prestazione in natura, nei limiti del massimale assicurato».
 
Caratteristica fondamentale delle assicurazioni vita per la LTC è l’assenza per l’impresa della possibilità di recedere dal contratto per aggravamento del rischio. La stessa regola, almeno a fini fiscali, sembra dover valere nel ramo danni. Si legge, infatti, nel richiamato DM 22 dicembre 2000: «I contratti di assicurazione […] devono prevedere la copertura del rischio per l'intera vita dell'assicurato. Se stipulati nell'ambito delle assicurazioni sulla malattia tale condizione si realizza con contratti che prevedano una durata di dieci anni e il rinnovo, obbligatorio per l'impresa assicuratrice, al termine di ogni dieci anni. In caso di polizze collettive stipulate dal datore di lavoro la copertura del rischio deve riguardare almeno tutta la durata del rapporto di lavoro dell'assicurato. In nessun caso è ammessa la facoltà di recesso da parte dell'impresa di assicurazione». 
 

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Questa regola è spesso elusa attraverso formule contrattuali che, in fatto, consentono all’impresa di non rinnovare la copertura su base annuale o, comunque, alla scadenza. Tanto premesso sulla durata della copertura, in termini generali, l’assenza (parziale) di una definizione di “non autosufficienza” certa, oggettiva e condivisa in ambito assicurativo comporta la necessità di leggere attentamente la polizza per comprendere quando possa dirsi che il soggetto del cui rischio si discute possa dirsi o meno non autosufficiente. In assenza di una definizione di legge, si tratta di analizzare attentamente la proposizione assicurativa per comprendere quando si abbia diritto alla liquidazione, con conseguente difficoltà di comparare le diverse proposizioni di garanzia in termini di servizi e premio.
 
Stimoli del legislatore -  Cosciente, anche per quel che si dirà nel seguito, che sia necessario stimolare e creare un contatto solo apparentemente “improprio” tra fenomeni di natura diversa, il legislatore ha investito il contratto di lavoro di opportunità non trascurabili dal punto di vista fiscale per assicurare il bisogno sempre più pressante dell’assicurazione della non autosufficienza. Il tutto al fine (sperato) di creare un fenomeno inerziale (in logica Bismarckiana) per il quale chiunque attenda a un’attività lavorativa sia ragionevolmente coperto per il suo futuro rischio di non autosufficienza. Il ragionamento sarebbe ancor più interessante ove la copertura dovesse operare anche per i familiari del lavoratore, con incremento della capillarizzazione della garanzia su tutto il territorio italiano. Più complesso comprendere, pur non essendo questa la sede per approfondire il tema, come queste garanzie operino in caso di pensionamento del lavoratore, volendosi immaginare che nel momento del “massimo” bisogno in termini percentuali (la senescenza) lo stesso “ex” lavoratore non sia lasciato a sé stesso. Il collocamento della previsione nell’art. 51 del TUIR dedicato al reddito da lavoro dipendente, lascerebbe deporre in senso contrario (se non altro, in termini di benefici fiscali), parificando la LTC a un benefit contrattuale detassato, con cessazione di tali effetti al tempo della risoluzione del rapporto di lavoro.
 
La logica è semplice: per ridurre l’impatto in termini di costo delle coperture assicurative LTC, si cerca di rivolgere l’offerta a una collettività composta da portatori diversi del medesimo rischio. Una collettività di lavoratori si compone di profili diversi in cui coloro che siano portatori di rischi probabili in termini di verificazione sono compensati da altri meno soggetti alla verificazione di simili eventi. Da qui, un passaggio dalla logica di penetrazione del mercato attraverso campagne di offerta retail (dove solo i portatori sensibili del rischio, secondo l’insegnamento di Akerloff, sono portati ad assicurarsi) all’assicurazione di coorti disomogenee di rischio per contenere l’impatto in termini di sostenibilità per l’impresa e premio dovuto dai singoli datori o assicurati interessati. Di seguito, la disposizione in commento.
 
La l. 232/2017 (integrativa dell’art. 51 TUIR) ha previsto che: «Non concorrono a formare il reddito [n.d.r. da lavoro dipendente]: […] i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, le cui caratteristiche sono definite dall’articolo 2, comma 2, lettera d), numeri 1) e 2), del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 27 ottobre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie». Non costituisce, quindi, reddito da lavoro dipendente il versamento di premi assicurativi da parte del datore di lavoro a favore della generalità dei propri dipendenti o categorie degli stessi. 
 
Scarsa cultura e ruolo delle organizzazioni sindacali - L’incentivo fiscale del legislatore verso l’utilizzo dello strumento assicurativo (e non) nella contrattazione collettiva per assolvere queste nobili finalità necessita però – contestualmente – di una maggiore cultura dei destinatari di queste garanzie. Il Paese sembra lontano dal prendere coscienza dell’opportunità di rivolgersi a intermediari di spesa, in luogo di farsi travolgere dalle conseguenze economiche di eventi di tale portata, la cui verificazione è talmente diffusa da lasciare immaginare che ogni famiglia ne patisca le conseguenze. 
 
La sensibilità delle parti sociali, rispetto alla propria base, aiuterà in questo senso. La partita, già ben interpretata dalle stesse, è quella di ampliare le tutele del contratto di lavoro per consentire una “copertura” a 360 gradi delle esigenze del lavoratore e dei suoi cari. Detto questo, anche in logica di attuazione della direttiva europea sulla distribuzione IDD (2016/97/UE), il lavoro delle sigle coinvolte andrà integrato con la consulenza di intermediari assicurativi capaci di coniugare esigenze di contenimento dei costi con le necessità (in termini di adeguatezza) dei singoli destinatari delle prestazioni.
 
Il rapporto tra le assicurazioni LTC e l’assicurazione di responsabilità civile - L’aspetto in oggetto appare essere di dettaglio e, come tale, è stato trascurato dagli interpreti della materia del welfare. Tuttavia, potrebbe avere impatti notevoli sulla materia. Infatti, pur nell’assenza di precedenti noti, il tema dell’assicurazione per la non autosufficienza rischia di incrociarsi con il nuovo orientamento della Corte di Cassazione per cui, nel caso in cui l’effetto sia riferibile a una condotta altrui (ad esempio, un sinistro stradale), ogni prestazione resa – in questo caso, l’indennizzo di polizza – deve essere conteggiato ai fini del risarcimento dovuto (dovendosi ridurre l’ammontare dello stesso in ragione dell’indennizzo riconosciuto ai sensi di polizza). Se, quindi, la non autosufficienza fosse conseguenza naturale della longevità o della malattia, il diritto all’indennizzo sarebbe pieno. Ove la stessa sia conseguenza di un infortunio per fatto di terzi, la regola cambierebbe nei termini detti e, quindi, l’indennizzo non sarebbe cumulabile con il risarcimento dovuto dal danneggiante.
 
Allo stato attuale siamo ancora in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di Cassazione sull’applicabilità al fenomeno che ci occupa del principio della compensatio lucri cum damno. Secondo alcuni interpreti della materia, infatti, il principio della compensazione tra effetti “positivi” e “negativi” conseguenti a un medesimo evento imporrebbe di tenere conto nel risarcimento di tutte le prestazioni derivanti dall’intervento di assicurazioni sociali (INPS, INAIL, …) e assicurazioni private (quali quelle per la LTC). Di recente, il Consiglio di Stato si è già espresso in termini affermativi (v. AD. PLEN. 1/2018), in materia analoga, sostenendo l’impossibilità di cumulare ai fini del risarcimento prestazioni “previdenziali” e “indennitarie”. Detto questo, i dubbi in merito all’applicabilità del principio detto alla materia che ci occupa sono tanti. Data la delicatezza del tema, sarebbe più che mai opportuno un intervento legislativo volto a dare risposta al tema, tanto più considerata la sua attualità e gli impatti prospettici in termini sociali e economici che il fenomeno della non autosufficienza potrebbe recare con sé.
 
Sebbene non si tratti di materia LTC, ma di infortuni, si ricorda come – ad esempio – Cassa Forense si sia già trovata a dover prendere posizione al riguardo. Si ricorda l’art. 11 del regolamento prestazioni previdenziali per cui: «[i]n caso di infortunio, le pensioni di inabilità ed invalidità non sono concesse e, se concesse, sono revocate, qualora il danno sia stato risarcito ed il risarcimento ecceda la somma corrispondente alla capitalizzazione della pensione annua dovuta […] A tali effetti non si tiene conto del risarcimento derivante da assicurazione per infortuni stipulata dall’Iscritto». Interessante comprendere se l’esenzione possa intendersi estesa anche a garanzie LTC e, prima ancora, se la regola dettata potrà dirsi ancora valida a seguito della prossima pronuncia delle Sezioni Unite di Cassazione.
 
L’assicurazione RCA e l’opportunità di prevedere un contributo per LTC obbligatorio -  La necessità è evidente: correlare fenomeni diversi, in una logica di sistema. Prendendo due materie apparentemente lontane tra loro , partendo da un obbligo assicurativo già esistente dal 1969, si potrebbe integrare lo stesso con un bundle relativo alla garanzia LTC per eventi conseguenti a sinistri della strada. Nessuno può dubitare infatti che i sinistri della circolazione stradale contribuiscano in termini non trascurabili a incrementare i casi di non autosufficienza. A oggi è già previsto un contributo al SSN per escludere il diritto delle Regioni di rivalersi sul danneggiante per i costi sostenuti dallo Stato per offrire cure al danneggiato in ragione di un incidente della strada. Perché non ragionare, pur in una politica tesa all’abbassamento dei premi per assicurarsi, all’opportunità di prevedere un contributo LTC sul premio per l’assicurazione RCA? 
 
Vero è che l’effetto sarebbe quello di incrementare le tariffe auto, ma – in logica prospettica – una diffusione capillare della garanzia LTC nelle famiglie italiane (in parallelo con quanto avviene in materia di contrattazione collettiva, sede naturale – assieme alla RCA – per diffondere il ricorso a garanzia per la più ampia copertura dei propri rischi e bisogni) potrebbe rivelarsi una, seppur parziale, valida risposta al fenomeno.
 
L’idea di fondo, lo si ripete, potrebbe essere quella di sfruttare il momento di contatto necessario con il mondo delle assicurazioni (l’obbligo di assicurazione della RCA) per ampliare lo spettro di garanzia degli interessati (se non altro, il proprietario dei veicolo) per garantirlo da eventi invalidanti della strada da cui possa dipendere una sua futura parziale o totale non autosufficienza. Ciò detto, va da sé che l’intervento normativo in tal senso dovrebbe coordinare e integrare le regole valide per il ramo danni per consentire e agevolare una prestazione indennitaria di lungo corso (in forma di rendita o in forma specifica) da parte delle imprese di assicurazione.
 

[1] A seguito della pubblicazione di questo contributo all'interno del Quaderno di Approfondimento sono state emanate le sentenze delle Sezioni Unite di Cassazione (n. 15534/2018 e successive) che ci porterebbero a deporre, pur non prendendo posizione a riguardo, per l'indifferenza delle poste LTC vita rispetto al risarcimento del danno. Discorso diverso deve farsi per i rimborsi legati all'assistenza danni che, come si ventilava al tempo della pubblicazione, sembrano dover essere portati a diffalco della posta risarcitoria. Si rinnova quindi l'invito a un intervento legislativo su queste tematiche per evitare di verberare il fine previdenziale di queste soluzioni. 

Alessandro Bugli, Area Assicurativa e Welfare Studio Legale Taurini&Hazan e Componente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

11/7/2018

 
 

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