Reddito Minimo di Inserimento, quali esiti e prospettive dopo la sperimentazione del 2000?

Uno sguardo al passato per analizzare le criticità degli strumenti per il contrasto alla povertà in Italia: il caso del Reddito Minimo di Inserimento e gli insegnamenti che se ne possono trarre per il Reddito di Cittadinanza 

Federica Roccisano

Il Reddito di Cittadinanza entrerà, probabilmente, in vigore dal primo trimestre del 2019. Prevede un finanziamento di 10 miliardi di euro e si pone l’obiettivo ambizioso di eliminare la povertà del Paese mediante l’erogazione di 780 euro (ipotesi massima) mensili per 36 mesi.

Per mantenere il diritto a percepire il reddito di cittadinanza per l’intero arco temporale dei 36 mesi, il beneficiario deve rispettare alcune condizioni:

  • iscriversi al Centro per l’Impiego e dimostrare di essere alla ricerca attiva (per almeno 2 ore al giorno) di lavoro;
  • svolgere le 8 ore settimanali di lavoro di pubblica utilità nell’ambito dei progetti comunali previsti;
  • frequentare percorsi di formazione e riqualificazione professionale;
  • accettare una delle prime tre richieste di lavoro proposte dal Centro per l’Impiego.

Analizzando le condizioni previste dallo strumento, è possibile intravedere similitudini con il primo strumento di lotta alla povertà introdotto in Italia nel 2000 con la sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento (d. lgs. 237/98, art. 1 - comma 1) che ha visto coinvolti 39 Comuni nel 1998 e 267 nel 2000. Anche in quel caso, infatti, la misura si proponeva l’obiettivo di contrastare la povertà attraverso un’erogazione in denaro pari alla differenza tra la soglia della povertà, pari a 500.000 lire al mese (258,3 euro), e il reddito mensile percepito. ll Reddito Minimo di Inserimento aveva una durata inziale di 24 mesi, ma in alcuni casi  si è arrivati a 36 mesi, sommando la prima e la seconda sperimentazione; nell’ambito del programma si prevedeva inoltre l’attivazione dei beneficiari attraverso interventi volti a perseguire l’integrazione sociale e l’autonomia economica, quali lavori di pubblica utilità, orientamento professionale, attività di cura e sostegno familiare.

La sperimentazione si è conclusa nel 2004. Come previsto dallo stesso decreto istitutivo, durante la fase sperimentale e a conclusione della stessa, ha subito un’attenta valutazione, presentata alle Camere nel 2007. Leggendo attentamente la relazione è possibile mettere in evidenza alcune criticità che potrebbero orientare il legislatore verso i potenziali rischi dell’applicazione del Reddito di Cittadinanza.

A tal proposito, si prendano in considerazione due tra i Comuni rientranti nella prima sperimentazione, Fabrica di Roma (VT) e Isola Capo Rizzuto (KR), i quali presentano una situazione iniziale similare in termini di indicatori socio-economici (Tabella 1), ma che hanno visto un’evoluzione diversificata in termini di efficacia del Reddito Minimo di Inserimento, dovuta, presumibilmente, alla debolezza strutturale dei servizi sul territorio. In particolare, ntrambi i Comuni presentano dati simili in termini di indice di dipendenza: osservando il peso della popolazione non in età di lavoro, tra i 14 e i 65 anni, sull’insieme delle persone in età di lavoro, non si riscontrano grandi differenze tra Isola Capo Rizzuto (46,6) e Fabrica di Roma (44,7). Relativamente all’indice di vecchiaia, tra i residenti di Isola di Capo Rizzuto, questo valore (9,6) è notevolmente più basso di quello dei residenti di Fabrica di Roma (15,6). Ma il dato maggiormente discriminante, e impattante ai fini della sperimentazione, è il tasso di disoccupazione che, in provincia di Crotone, risultava essere pari al 22,8, il doppio della provincia di Viterbo, pari a 10,1.

La disomogeneità del dato occupazionale è strettamente connessa al diverso contesto economico dell’intervento, anzi, ne riflette la debolezza strutturale, e ha necessariamente condizionato l’efficacia e il buon andamento della sperimentazione del reddito minimo di inserimento, determinando gravi distanze tra le opportunità di reinserimento delle aree economicamente più avanzate e quelle delle aree più marginali. La sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento a Isola Capo Rizzuto è infatti diventato da subito un case study, proprio perché di fronte all’eccezionale peso dei partecipanti alla misura (36,8% delle famiglie residenti), c’è stata una risposta del tutto insoddisfacente. Mentre nel Comune di Fabrica di Roma, un partecipante al programma su tre è riuscito ad essere reinserito nel mondo del lavoro, ad abbandonare la misura e ad uscire dalla condizione di povertà nella quale si trovava, ad Isola Capo Rizzuto, nei tre anni di sperimentazione (tra I e II fase), neanche un beneficiario ha lasciato il programma.

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Le ragioni di questo risultato sono imputabili a due fattori. Il primo riflette la classica condizione di “trappola della povertà”, ovvero di uno status in cui, in presenza di una forma di sussidio economico fisso, chi ne beneficia è disincentivato rispetto alla ricerca di una qualsiasi occupazione che potrebbe privarlo del sussidio stesso; una condizione che è uguale in ogni contesto, ma che pesa di più nei contesti deboli. Il secondo è, invece, strettamente legato alla debolezza del contesto economico di riferimento e alla scarsità di opportunità lavorative che hanno annullato l’impatto dei programmi di inserimento e di riqualificazione professionale seguiti dai parte dei beneficiari e che non si sono potuti tradurre in occupazione.

Infatti, se si mettono a confronto il tasso di disoccupazione con la percentuale di famiglie uscite dall’intervento, si noterà che la percentuale maggiore di famiglie uscite dal programma di reddito minimo di inserimento è stata al Nord (30,3%), dove è stato preso in carico solo lo 0,2% delle famiglie residenti e persiste un livello di disoccupazione pari al 4,3%, mentre al Centro ha abbandonato il programma di reddito minimo di inserimento il 30,2%, a fronte di una disoccupazione pari al 7,2%; al contrario al Sud, dove la disoccupazione è pari al 17,3%, la dimensione dei partecipanti è stata maggiore (3%), ma la percentuale di successo dell’intervento è stata decisamente più esigua, attestandosi ad un livello pari al 14,8%.

Ritornando al 2018 e al reddito di cittadinanza, diventa allora opportuno riflettere sugli investimenti strutturali finalizzati non solo al miglioramento dei servizi all’interno dei Centri per l’Impiego, ma alla creazione di opportunità occupazionali per evitare, soprattutto nelle aree in cui il tasso di disoccupazione è più elevato, il ripetersi di casi analoghi e che, quindi, il reditto di cittadinanza diventi un sussidio che non inserisce i beneficiari in nessun contesto lavorativo.

Federica Roccisano

24/10/2018

 
 

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