Gli effetti di COVID-19 sulle università

Immatricolazioni, mobilità e studio all'estero: che università troveremo alla ripresa dell’anno accademico? Con i dati del Rapporto 2020, AlmaLaurea aiuta a tracciare il quadro su cui ipotizzare i futuri scenari post COVID-19

Giovanni Gazzoli

Il Rapporto 2020 sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati presentato lo scorso giugno da AlmaLaurea offre una base di dati su cui riflettere in vista della ripartenza dell’anno accademico, a maggior ragione data la pandemia di COVID-19, che costringerà le università a ripensare spazi e modalità didattiche. Questo infatti potrebbe avere un impatto sulle immatricolazioni che, dal 2014, sono in crescita: nel 2019 hanno toccato il +11,2% rispetto a cinque anni prima; eppure, il confronto rispetto al 2003 segna una perdita di 37mila matricole, in particolare nelle aree del Sud Italia. Un calo che investe tutte le aree disciplinari eccetto quella scientifica, che ha visto un aumento del 15,4%.

Considerando la possibilità di un ritorno dei contagi nella stagione autunnale, proprio l’evoluzione della crisi sanitaria potrà impattare il numero delle immatricolazioni: un eventuale lockdown o una limitata possibilità di spostarsi fra le regioni avrebbe conseguenze sulla scelta di iscriversi o meno in atenei lontani dalla propria residenza. Un tema non indifferente, considerati i numeri di AlmaLaurea, che rileva un forte spostamento migratorio specialmente dalle regioni del Sud verso quelle del Nord. Se infatti il 97% dei laureati residenti al Nord ha conseguito il titolo di studio nella propria regione, mentre quelli del Centro sono rimasti nelle proprie zone nell’87,4% dei casi, per gli studenti del Sud e delle Isole la situazione è ben diversa, visto che il 26,5% di loro consegue la laurea in atenei del Centro e del Nord: ne deriva un saldo migratorio di +21,9% al Nord, a +19,8% al Centro e a -24,3% al Sud.

Tabella 1 - Laureati 2019: ripartizione geografica dell’ateneo per ripartizione geografica di conseguimento del diploma

                              Laureati 2019: ripartizione geografica dell'ateneo per ripartizione geografica di conseguimento del diploma

Fonte: AlmaLaurea

Ovviamente, rischiano riduzioni ancor più significative i numeri degli studenti di cittadinanza estera. Nel 2019 i laureati di cittadinanza straniera sono stati 10.743 (negli atenei AlmaLaurea), pari al 3,7%, in crescita rispetto al 2,9% del 2009. Tuttavia c’è da dire che molti di questi giovani provengono da famiglie immigrate e residenti in Italia: infatti, ben il 42% dei laureati di cittadinanza non italiana ha conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado nel nostro Paese, a fronte del 28,2% nel 2011. In merito alla loro provenienza, il 36,6% la metà è europeo, mentre lo Stato più rappresentato è la Cina, con il 13%.

Anche gli effetti economici della pandemia influenzeranno le immatricolazioni: del resto, la disponibilità delle famiglie ha un forte impatto sulle opportunità di istruzione universitaria dei figli. Infatti, rileva AlmaLaurea, “fra i laureati si rileva una sovra-rappresentazione dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti dal punto di vista socio-culturale: essi provengono per il 31,8% e il 22,5% da famiglie della classe media, rispettivamente impiegatizia e autonoma, per il 22,4% da famiglie di più elevata estrazione sociale e per il 21,8% da famiglie in cui i genitori svolgono professioni esecutive”. 

Un altro ambito che sarà fortemente influenzato dall’evoluzione della pandemia a livello internazionale è quello degli studenti che svolgono periodi di formazione all’estero. Nel 2019 più di un laureato su dieci (precisamente l’11,2%) ha svolto esperienze di studio all’estero riconosciute dal corso di studi (era l’8,5% nel 2009): nello specifico, l’8,9% ha fatto ricorso a programmi dell’Unione Europea (soprattutto Erasmus), mentre il 2,3% ha svolto esperienze oltreoceano o comunque extra continentali (Overseas, ecc.). Periodi di studio particolarmente significativi soprattutto per gli studenti delle magistrali, considerando che il 45,5% di loro ha preparato fuori dai confini nazionali una parte rilevante della tesi.

Quest’ultima è una riflessione che influenza peraltro anche il mondo del lavoro, considerata la positiva influenza che un’esperienza all’estero negli anni universitari ha sulla ricerca di un’occupazione. Infatti, “a parità di condizioni, il tirocinio si associa a una probabilità maggiore del 9,5% di trovare un’occupazione a un anno dalla conclusione del corso di studio, mentre le esperienze di studio all’estero riconosciute dal proprio corso di studio aumentano le chance occupazionali del 12,9%”. Ciò ci introduce al tema della mobilità per il lavoro dei laureati italiani. Una mobilità che storicamente si muoveva sull’asse Sud-Nord, mentre negli ultimi anni ha sempre più riguardato l’attraversamento dei confini nazionali: il 47,3% dei laureati infatti si dichiara disponibile a lavorare all’estero, contro il 41,5% del 2009. Inoltre, il 31,8% si sposterebbe addirittura in un altro continente. Il 28,1% si limita alla disponibilità ad effettuare trasferte, anche frequenti, mentre solo il 3,1% non è disponibile a trasferte.

Il Rapporto 2020, infine, si rivela utile ai fini della presente riflessione anche per un affondo sulla diffusione dello smart working e del telelavoro, che nel 2019 erano poco praticati tra i (neo)laureati: solo il 4,6% dei laureati di primo livello e il 5,2% di quelli di secondo livello occupati a cinque anni dal titolo erano coinvolti da questa modalità lavorativa. Gli sviluppi degli ultimi mesi faranno crescere queste percentuali, sia nel mondo del lavoro sia direttamente all'interno del percorso universitario che certamente ricorrerà sempre più alla modalità della didattica da remoto.

In sostanza, l'auspicio è che gli effetti della pandemia non colpiscano eccessivamente la scelta dei giovani italiani di iscriversi all’università. Del resto, conclude il Rapporto, “all’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare intrappolati nell’area della disoccupazione. Generalmente i laureati sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, disponendo di strumenti culturali e professionali più adeguati”.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

13/8/2020

 
 

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