Gli strumenti a sostegno della genitorialità

A fronte del costante calo delle nascite emerge sempre più chiara la necessità di riflettere sugli attuali strumenti a sostegno della genitorialità: quali misure attualmente previste nel nostro ordinamento e quali spazi per un eventuale riordino

Michaela Camilleri

Le ultime stime Istat confermano un trend demografico ormai largamente riconosciuto: facciamo sempre meno figli e in età sempre più avanzata. Nel 2018 è stato raggiunto un nuovo record negativo per numero di nascite: 449mila, 9mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017 (128mila nati in meno rispetto a dieci anni fa). Dall’altra parte il calendario della maternità risulta sempre più spostato in avanti: l’età media al parto continua a crescere, toccando per la prima volta la soglia dei 32 anni. In generale, a parità di fecondità totale espressa, tra il 2017 e il 2018 cresce la fecondità nelle età superiori ai 30 anni e diminuisce in quelle inferiori.

Al calo delle nascite si accompagna una fecondità rimasta stabile rispetto allo scorso anno, pari a 1,32 figli per donna, ma in continuo calo sul più lungo periodo: si tenga conto che in Italia il numero medio di figli per donna nel 1960 era 2,4, un valore addirittura superiore a quello necessario per garantire un adeguato ricambio generazionale, ovvero 2,1 figli per donna.

La fecondità presenta tuttavia un profilo diverso tra le regioni. Al Nord si osservano tassi di fertilità maggiori (in media 1,37 figli per donna): la Provincia autonoma di Bolzano si conferma l’area più prolifica del Paese con 1,76 figli per donna, nonché l’unica che rispetto al 2010, anno in cui la fecondità nazionale registrava un massimo relativo di 1,46, ha ulteriormente migliorato il rapporto; seguono la Provincia di Trento (1,50), la Lombardia (1,38) e l’Emilia-Romagna (1,37). Al contrario, le aree del Paese dove la fecondità è più contenuta sono quelle del Mezzogiorno (1,29), in particolare in Basilicata (1,16), Molise (1,13) e Sardegna (1,06). Il Centro, con in media 1,25 figli per donna, occupa l’ultimo posto tra le ripartizioni geografiche (con un rapporto particolarmente negativo per il Lazio, 1,23).

Al confronto con gli altri Paesi europei, l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, seguita solo da Cipro, Spagna e Malta, con 1,32 figli per donna contro una media dei 28 Paesi EU di 1,59.

Fig. 1 – Tasso di fertilità nei Paesi europei, anno 2017

Fig. 1 – Tasso di fertilità nei Paesi europei, anno 2017

Fonte: Eurostat

Ed effettivamente in termini di spesa per la famiglia e per maternità, l’Italia pur guadagnando posizioni, si mantiene al di sotto della media europea (1,8% del PIL rispetto al 2,4%).

Fig. 2 – Spesa per la famiglia e la maternità in % del PIL nei Paesi europei, anno 2016

Fig. 2 –Spesa per la famiglia e la maternità in % del PIL nei Paesi europei, anno 2016

Fonte: Eurostat

Tuttavia, le ragioni di un così basso tasso di fertilità nel nostro Paese non possono essere ricondotte alla sola sfera economica. Emblematico il caso dell’Irlanda, al terzo posto della classifica europea con 1,77 figli per donna, ma tra gli ultimi Paesi per spesa destinata alla famiglia e alla maternità. Forse allora è bene mettere in luce anche altre possibili motivazioni alla base della scelta di non fare figli che possono in parte spiegare una così bassa natalità: dal basso grado di sviluppo del Paese, all’età di ingresso nel mondo del lavoro e, di conseguenza, al momento in cui si raggiunge l’indipendenza uscendo dalla famiglia di origine, entrambi - questi ultimi - fattori che si sono spostati sempre più avanti nel tempo. O forse, in maniera più provocatoria, si potrebbe dire che si è anche sempre meno propensi a impegnarsi e ad accettare i sacrifici che la scelta di dedicarsi ai figli comporta.

Eppure qualche segnale positivo permane: nonostante l’Istat nel suo ultimo Rapporto rilevi come il 45% delle donne tra i 18 e 49 anni non abbia ancora avuto figli, coloro che dichiarano che l’avere figli non rientra nel proprio progetto di vita sono meno del 5%.

Quali sono allora gli strumenti attualmente previsti nel nostro ordinamento per favorire la natalità e sostenere la genitorialità?

Negli ultimi anni una serie di misure specifiche si sono aggiunte al “Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità e della paternità” (d.lgs. n.151/2001) e al D. Lgs. 80/2015, attuativo del Jobs Act, che rappresentano i principali riferimenti normativi in materia di tutela della genitorialità. Accanto agli storici assegni per il nucleo familiare (ANF), che insieme alle detrazioni fiscali per familiari a carico assorbono buona parte della spesa per la famiglia, e alle diverse tipologie di congedi (maternità/paternità, congedi parentali, riposi giornalieri), sono state recentemente introdotte due tipologie di strumenti: gli assegni, il cui importo dipende dal valore dell’ISEE, e bonus e contributi indipendenti dalla disponibilità economico-patrimoniale del nucleo familiare richiedente. Nello specifico:

  • Assegno di natalità (o bonus bebè): si tratta di una prestazione di natura economica erogata dall’INPS a condizione che il nucleo familiare sia in possesso di un ISEE non superiore a 25.000 euro. Il beneficio, inizialmente assegnato per un periodo di tre anni a favore dei nati o dei minori adottati nel triennio 2015-2017, è stato in seguito riconosciuto anche per i nati o adottati nel 2018 per la durata di un anno successivamente esteso ai nati o adottati dall'1 gennaio al 31 dicembre 2019 fino al compimento del primo anno di età (primo anno di ingresso nel nucleo familiare nel caso di adozione). Per la sua applicazione è stato previsto anche un aumento dell’importo del 20% in caso di figlio nato o adottato nel 2019 successivo al primo e sono stati fissati i limiti di spesa, a 204 milioni di euro per il 2019 e a 240 milioni per il 2020. L’importo del bonus bebè dipende dal valore dell’ISEE: nel caso in cui non sia superiore a 25.000 euro annui, ammonta a 80 euro al mese per un massimo di 12 mesi (960 euro annui, 1.152 euro annui con la maggiorazione); nel caso in cui, invece, il valore non sia superiore a 7.000 euro annui, ammonta a 160 euro al mese per un massimo di 12 mesi (1.920 euro annui, 192 euro al mese con la maggiorazione);

 

  • Assegni di maternità: vengono corrisposte dall’INPS altre prestazioni come l’assegno di maternità di base concesso dai Comuni, che spetta ai genitori privi di tutela previdenziale obbligatoria solo entro determinate fasce di reddito, e l’assegno di maternità dello Stato concesso dall’INPS, che spetta invece per lavori atipici e discontinui;

 

  • Bonus asilo nido: spetta ai figli nati dal 1° gennaio 2016 per un importo massimo di 1.000 euro (elevato a 1.500 euro dall’ultima Legge di Bilancio per il triennio 2019 – 2021), per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati e di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche; il bonus viene erogato mensilmente, parametrando l’importo massimo su 11 mensilità, e solo nel limite di spesa indicato (per il 2019 pari a 300 milioni di euro), secondo l’ordine di presentazione delle domande;

 

  • Premio alla nascita (o bonus mamma domani): si tratta di un contributo una tantum di 800 euro erogato dall’INPS a partire dall'1 gennaio 2017 alla futura madre al compimento del settimo mese di gravidanza (inizio dell’ottavo mese di gravidanza) o alla nascita, adozione o affido;

 

  • Voucher baby sitting: fino al 31 dicembre 2018, in alternativa al congedo parentale, era possibile richiedere voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting o un contributo per il pagamento degli asilo nido pubblici o privati accreditati per un periodo massimo di sei mesi e per un importo massimo pari a 600 euro mensili. Tale contributo non è stato prorogato per il 2019: in buona sostanza la lavoratrice che sceglie di rientrare al lavoro al termine del congedo obbligatorio e non usufruire del periodo di astensione facoltativo non potrà più beneficiare di questo supporto economico (ben più ampio dei 136,37 euro mensili attualmente previsti dal bonus asilo nido).

 

Si è recentemente parlato della possibilità di un riordino di queste misure che potrebbe portare all’erogazione di un assegno unico da destinare ai nuclei familiari con bambini e con Isee inferiore a 50 mila euro. Indubbiamente sono tanti e frammentati gli interventi che si sono stratificati nel tempo nel nostro ordinamento, dunque è assolutamente comprensibile la volontà di riorganizzare l’insieme di queste politiche, anche in un’ottica di semplificazione. Tuttavia, senza la pretesa di entrare nel merito e di giudicare le diverse proposte politiche avanzate, quello che risulta evidente è la necessità di riflettere sul tema della natalità, e più in generale della famiglia, non solo sul piano ideologico (come è indubbiamente giusto) ma anche sui risvolti concreti che gli strumenti pensati a sostegno della genitorialità posso avere. Forse il riferimento all’Isee con tutti i limiti che l’indicatore sta dimostrando, uno su tutti la facilità di falsificare le dichiarazioni dimostrata dall’ultima indagine della Guardia di Finanza (6 su 10 DSU false), dovrebbe quantomeno approfondire la questione dei parametri e dei requisiti necessari per accedere a queste prestazioni per evitare il “solito” rischio di concedere prestazioni assistenziali o di sostegno al reddito a chi in realtà non ne ha bisogno, mentre chi si posiziona poco sopra la soglia definita ne rimane completamente escluso.

Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

27/6/2019 

 
 
 

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