Da rischio a opportunità, trend demografici e ruolo della Silver Economy

Se il trend (mondiale) di invecchiamento della popolazione non è invertibile, al nostro welfare non resta che cambiare approccio per volgere un possibile problema in un'opportunità: prospettive e ruolo della Silver Economy 

Alessandro Bugli

I numeri dimostrano che l’invecchiamento della popolazione, oltre a essere una realtà conclamata, può essere anche un'opportunità di crescita e miglioramento per l’economia, per il lavoro e l’intera società. 

Il perimetro della Silver Economy è per sua natura sterminato e non vi è concordia su dove porre i giusti confini (consumi, ristrutturazioni, cibo, sanità, viaggi …). In questo senso, ci limiteremo qui a porre attenzione a quello che più strettamente attiene alla materia del welfare (pensioni, sanità e assistenza).

 

Invecchiamento come rischio e invecchiamento come opportunità: la via di mezzo

Che un invecchiamento progressivo della popolazione – peraltro a livello globale – possa essere letto come un rischio è questione arcinota al lettore. Più costi per pensioni; più costi per assistenza sanitaria; più costi per assistenza; più… più … più. In realtà, buona parte di questi fenomeni sarebbero utilmente gestibili ove la massa dei lavoratori e dei contribuenti fosse ben più solida e (solo per i secondi) più “generosa” nel contribuire al sistema. Maggiori contributi previdenziali aiuterebbero sicuramente a rendere sostenibile l’impianto pensionistico e una tassazione meglio “spalmata” sulla massa dei potenziali paganti, e al contempo più efficace, potrebbe aiutare a reggere meglio il peso delle uscite per cure e assistenza.

Se il trend di invecchiamento della popolazione non è invertibile (o, almeno, non pare possibile farlo nel breve), quello che va rivisto e aggiornato è il modello di approccio.

Può quella che sembra essere la criticità prima di questo nuovo millennio “mutare pelle” e divenire un’opportunità? Forse non del tutto. Se tutto il mondo invecchia, prima o poi dovremo fare i conti con un ritorno al tempo dei patriarchi antidiluviani. Vero è anche che prima di giungere a questi scenari apocalittici, ci sono ancora ampiamente i tempi per i giusti correttivi e per il ripensamento di un modello di welfare più giusto per l’epoca del baby boom (e della grande natalità) che con quello degli “uno virgola qualcosa” in termini di natalità. Come giustamente rilevato in altri articoli di questo blog, esistono valide soluzioni per sostenere la natalità e aiutare le famiglie nell’impegno della genitorialità, così da riequilibrare in parte il dato demografico.

Senza però rifuggire dal compito di rispondere al quesito sull’invecchiamento come opportunità, proviamo prima di tutto a segnare i possibili punti di forza e debolezza dell’attuale modello, salvo poi evolvere nel ragionamento e tentare di offrire una risposta.

Cosa c’è, cosa manca ?

  1. A fronte di sempre maggiori esigenze di assistenza e cura, la “mano” pubblica non sa bene quanto offre e come lo offre. La risposta alle esigenze di cura dei “silver” (e non solo) è frammentata in tanti modelli, quante sono lo Regioni e a volte le province. Manca, quindi, una risposta veramente unitaria in termini di livelli essenziali di assistenza e, questo, spesso complica il ruolo integrativo del secondo pilastro e comporta duplicazioni di spesa, potenzialmente meglio razionalizzabile. Per quanto attiene all’assistenza, le cose non vanno meglio (anzi!). La “macchina” statale non conosce puntualmente cosa avvenga a livello locale (Regione, Province e Comuni) e spesso, anche qui, si rischia di sovrapporsi o (peggio) di lasciare vuoti spazi di tutela che sarebbero altrimenti presidiabili;
     
  2. Per quanto attiene all’assistenza, il fenomeno dei caregiver familiari e di quelli professionali sconta complessità varie. Le varie leggi non sono in condizioni (piene) di rispondere all’impatto sulle famiglie del fenomeno della non autosufficienza e, così, per assistere un proprio caro si rinuncia al lavoro o si impegna pesantemente il bilancio domestico. Il fenomeno del “badantaggio” sconta numeri di sommerso apparentemente preoccupanti e la scomparsa di modelli di collaborazione, tipo voucher (sostituiti da formule meno penetranti nella popolazione) sembra aggravare il fenomeno. Meno tutele per i prestatori di lavoro, meno contributi, meno imposte, meno tutela in termini di qualità dell’assistenza e cura per i nostri cari (molte delle attività svolte da collaboratori, non necessariamente preparati, sfociano nella vera e propria prestazione di cure, senza che sussistano i presidi minimi in termini di tutela e assicurazione ex legge 24/2017 “Gelli” che valgono per i professionisti della sanità; ad esempio, gli infermieri);
     
  3. La risposta alle necessità (sia pubblica che privata) continua a essere prevalentemente monetaria e non in forma specifica. Elemento che si incrocia con una scarsa educazione in materia finanziaria e difficoltà di pianificare correttamente le spese. Una maggiore leva verso prestazioni in forma specifica (e non di mero accompagno) potrebbe ridurre i costi e soprattutto consentire di dare lavoro “in chiaro” e verso veri professionisti del settore del caregiving;
     
  4. Le stesse forme di welfare integrativo scontano sovrapposizioni e vuoti. Dei 2 miliardi di uscite l’anno dei fondi pensione, una parte è destinata alle cure. Ben vengano, quindi, formule di collaborazione tra enti della previdenza e della sanità integrativa per evitare simili “emorragie” gestibili tramite una destinazione del proprio contributo previdenziale a un fondo sanitario o a una polizza. Lo stesso vale per il richiamo generalizzato alla LTC per fondi pensione e sanitari che, allo stato (pur alla luce degli importanti incentivi della Legge di Bilancio 2018), produce meno di 100 milioni di raccolta (almeno dal punto di vista assicurativo; si veda il dato ANIA 2018).

Questi momenti di attenzione ci portano a dire (facilmente) che una migliore razionalizzazione degli interventi e della spesa, potrebbe di per sé condurre a un’emersione di risorse per far fronte alle esigenze dette e tramutare il settore da “rischio” a “opportunità”. Come?

  1. Una migliore sana integrazione pubblico privato dovrebbe consentire di liberare risorse nel primo pilastro e utilizzare meglio quelle destinate al secondo (benefici fiscali compresi, con aiuto della “macchina” pubblica). Si badi, non si sta parlando di un ritorno a modelli squisitamente “integrativi” (più teorici che pratici, basti leggere la storia), ma di una franca ricognizione delle necessità e delle prestazioni esistenti; da tramutarsi da monetarie a “in forma specifica”. Il tutto così da contrastare fenomeni “opportunistici”, ma soprattutto per perseguire: un percorso di sana crescita occupazionale; di contenimento dei costi per le famiglie; di risposta al fenomeno del caregiving familiare necessitato (o, se non altro, per migliorarne la gestione); di miglioramento di qualità della cura e assistenza e, soprattutto, nella possibilità di non disgregare i nuclei familiari (divenendo così attrattivi anche per realtà familiari straniere, che potrebbero ritrovare nel Bel Paese non solo il Sole e la Cultura, ma anche un modello ideale in cui vivere con i propri “silver” e lavorare).
     
  2. I dati Itinerari Previdenziali dimostrano che, a fronte di 43 miliardi di valore attribuito al settore della Silver Economy, quasi un quarto sia "imputabile" al settore della cura e dell’assistenza. In questo senso, le prestazioni (quelle richieste e quelle che dovrebbero essere rese in forma specifica) sono agevolate e migliorate dalla tecnologia. Modelli di assistenza e monitoraggio fondati su tecnologia smart e domotica rivoluzioneranno il modo di vivere la terza età e la vita dei componenti della famiglia; tanto più se residenti a distanza. In questo senso si iniziano a registrare iniziative interessantissime nel settore dell’assistenza assicurativa, soprattutto nel settore del caregiving. Una diffusione e uno stimolo al rapporto tra tecnologia e assistenza/cura non può che condurre a una riduzione dei costi procapite per accedervi, al miglioramento dello stile di vita dei nostri “silver” e dare linfa al settore della tecnologia, dell’edilizia “evoluta”, e dello sviluppo che questo Paese chiede da sempre e che ancora attende.

In conclusione e per rispondere, al di là delle diverse sfaccettature della materia, si può dire che anche un profilo di criticità patologico (l’invecchiamento della popolazione) può essere l’occasione – volente o nolente – di ripensare e di rilanciare il nostro modello sociale e economico.

Alessandro Bugli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Studio Legale Taurini&Hazan

29/10/2019

 
 

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