IRPEF, un conto da 164 miliardi che grava sulle spalle di pochi

Mentre diminuiscono sia i versanti che i redditi dichiarati, cresce rispetto allo scorso anno l'ammontare dell'IRPEF versata, e in gran parte da un numero ristretto di italiani (il 12,28% dei dichiaranti corrisponde infatti il 57,88% di tutta l'IRPEF): dall'ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Itinerari Previdenziali, le contraddizioni di un Paese che fatica a trovare chiarezza ed equità in materia fiscale

Mara Guarino

Il gettito fiscale complessivo diminuisce, ma aumenta quello dell’IRPEF, che grava sempre di più su ben determinate categorie di contribuenti, minando in prospettiva anche la capacità di finanziamento del nostro sistema di welfare: questo quanto emerso dall’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA - Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità. Giunta alla sua sesta edizione, l’indagine realizza su base annuale un'analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF, di quelle aziendali relative all’IRAP e delle imposte dirette: l’obiettivo, oltre a fotografare lo stato della macchina fiscale, è quello di verificare la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema di protezione sociale italiano che, per pensioni, sanità e assistenza, è “costato” nel 2017 453.487 miliardi complessivi  assorbendo, oltre ai contributi sociali quando previsti, anche tutte le imposte dirette – prioritariamente IRPEF e IRAP - nonché un’ulteriore quota di imposte indirette. 

 

Le cifre

Mentre il totale dei redditi 2017 dichiarati tramite i modelli 770, Unico e 730è ammontato a 838,226 miliardi di euro, quasi 5 in meno rispetto agli 842,977 miliardi del 2016, con una riduzione dello 0,56%, il gettito IRPEF generato - al netto del bonus da 80 euro - è stato pari a 164,701 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 163,378 del 2016. Su 60,48 milioni di cittadini residenti in Italia a fine 2017 sono solo poco più di 30,67 milioni quelli hanno versato almeno un euro di IRPEF. Non solo, sempre con riferimento al 2017,è Il 12,28% a corrispondere il 57,88% di tutta l’IRPEF, con poco più di 5 milioni di soggetti che dichiarano redditi superiori ai 35.000 euro, contro il 2,62% versato dal 45,19%. In dettaglio, i contribuenti con redditi lordi sopra i 100mila euro (circa 52mila euro netti) sono l’1,13%, pari a 467.442 soggetti versanti, che tuttavia pagano il 19,35% di tutta l’IRPEF; tra 200mila e 300mila euro si trova lo 0,13% dei contribuenti, che versano il 2,99% di IRPEF e, infine, sopra i 300mila euro lo studio individua, sulla base dei dati MEF e Agenzia delle Entrate, lo 0,093% dei contribuenti versanti che pagano però il 5,93% dell’IRPEF. Sommando a anche i titolari di redditi lordi superiori a 55.000 euro, si ottiene dunque che il 4,39% paga il 37,02%.  

La prima osservazione da fare, si legge quindi nella pubblicazione, riguarda proprio il rapporto dichiaranti/abitanti (pari 1,468) che, in buona sostanza, suggerirebbe che il 49,29% degli italiani non ha reddito risultando quindi di fatto a carico nella media nazionale. La seconda sta invece nella constatazione che, mentre aumentano i contribuenti che presentano la dichiarazione, diminuiscono sia i versanti sia i redditi dichiarati: se si considera però che, nel frattempo, PIL e occupazione sono cresciuti, così come l’ammontare totale dell’IRPEF versata a quasi sostanziale parità di addizionali regionali e comunali, se ne può dedurre che quelli pagano sono sempre meno, ma di fatto pagano sempre di più, l’esatto contrario del (legittimamente) decantato principio “pagare tutti per pagare meno”. Perché se è vero, come evidenziato dal Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nel corso del convegno di presentazione del'Osservatorio,  che, tenuto conto del combinato di imposte dirette e indirette, l’imposizione fiscale in Italia possa ritenersi eccessiva, lo dovrebbe essere altrettanto che prima di formulare ipotesi e contromisure sarebbe particolarmente importante per politica e parti sociali guardare ai dati per una fotografia puntuale e proporre così soluzioni effettivamente calate sulla realtà del Paese, superando la fin troppo semplicistica dicotomia “ricchi” e “poveri” ancora cara a un certo tipo di narrazione

                                               Grafico 1 – Analisi dei redditi 2017 per tutte le persone fisiche

Fonte: “Dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF 2017 per importi, tipologie di contribuenti e territori e analisi delle imposte dirette”

 

Le diverse tipologie di contribuenti

Nel dettaglio, dalla pubblicazione emerge che l’imposta media pagata da ciascuna categoria è pari a 3.686,52 euro annui per i lavoratori dipendenti, 3.230,90 per i pensionati e 6.789,51 euro per autonomi, imprenditori e liberi professionisti. Scendendo più in profondità, esemplificativo il caso dei dipendenti: sul totale dei dichiaranti, sono in totale 20,93 milioni (il 50,8%) che versano 77,156 su 155,15 miliardi totali (pari al 49,7%). Con redditi da zero fino a 7.500 euro, la pubblicazione individua 4,12 milioni di dipendenti che, di fatto, hanno un’IRPEF negativa; seguono 4,15 milioni di lavoratori con redditi dichiarati tra i 7.500 e 15.000 euro e che, per via di deduzioni, detrazioni e del cosiddetto “bonus Renzi” hanno comunque un’imposta negativa e sono dunque a carico degli altri contribuenti. I dichiaranti tra 15mila e 20mila euro sono quasi 3 milioni e pagano un’IRPEF media di 1.237 euro.

Per dare un ordine di grandezza, questo significa che se il lavoratore avesse due persone a carico, per la sola sanità questa famiglia costerebbe allo Stato 5.634,48 euro (la media pro-capite è di 1.878,16 euro), non riuscendo di fatto a coprire da sola neppure i costi della sanità. Più numeroso il successivo scaglione di redditi (tra 20 e 35mila euro), con oltre 7,26 milioni che pagano un’IRPEF media di circa 4.000 euro, mentre quello da 35 a 55mila supera i 10.700 euro. Infine, i 770mila (il 3,73%), che dichiarano più di 55mila euro versano il 34,67% di tutta l’IRPEF. Un discorso certo ampio e complesso che, in un quadro ancora più esaustivo, andrebbero indubbiamente considerate imposte indirette, IVA e accise. Pur al netto di queste considerazioni, resta allora un importante punto da considerare e sollevato anche dalla stessa pubblicazione: sarebbe giusto ridurre allo stesso modo e a tutti questi lavoratori l’IRPEF? Sarebbe davvero una scelta equa e sostenibile? I numeri, stando alle proiezioni del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, suggerirebbero di no visto che, dati alla mano, i veri “tartassati" dal fisco sembrano essere innanzitutto i dichiaranti dai 35mila euro in su, che pagano I'IRPEF per un valore che va da 10mila a oltre 28mila euro. Al di sotto, c’è invece chi già beneficia della “solidarietà” delle altre fasce di contribuenti, che di fatto ne sostengono la spesa per protezione sociale. 

 

Le proposte 

È dunque tempo di trovare soluzioni pratiche, che sappiano migliorare il reddito netto dei lavoratori e delle famiglie senza penalizzare il welfare, come il “contrasto di interessi” tra chi compra la prestazione e chi la fornisce. Una delle principali criticità italiane è forse un sistema che, lungi dal far emergere i redditi, sembra piuttosto incentivare a dichiarare il meno possibile, così da poter  usufruire delle agevolazioni fiscali e dei benefici collegati al reddito, che Stato, Regioni ed Enti locali erogano sulla base di quanto si dichiara, spesso tramite un ISEE facilmente aggirabile, e oltretutto in assenza di una banca dati nazionale dell’assistenza; una seconda nota dolente sta invece nella somma di alte aliquote fiscali sui redditi con doppia progressività che, abbinate ad alte imposte indirette, in primis l’IVA, incentivano a pagare in modo irregolare. Ecco perché, come emerge dalle conclusioni dell'Osservatorio curato da Alberto Brambilla e Paolo Novati per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, una buona contromisura potrebbe essere un periodo di sperimentazione triennale nel corso del quale le famiglie possano portare in detrazione, entro un dato limite, il 50% delle piccole spese effettuate per la casa, per i figli o per la manutenzione di auto o moto, purché supportate da regolare fattura elettronica (incrocio codici fiscali prestatore-fruitore): con vantaggi ovvi per la famiglia stessa che, grazie alla detraibilità, ne trarrebbe un beneficio in termini di potere d’acquisto a prescindere dal proprio reddito di partenza, ma anche e soprattutto per lo Stato, che potrebbe rientrare, almeno in parte, di IVA e contributi sociali evasi, segnando un punto importante nel contrasto al lavoro nero e al sommerso.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

18/9/2019

 
 

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