La povertà educativa, prima causa dell'esclusione sociale

“La povertà economica è spesso causata dalla povertà educativa: le due si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione”: ecco perché, come affermano le Fondazioni di Origine Bancaria, quella culturale è la prima sfida da affrontare

Alberto Brambilla

Ci sono molte sfide nella nostra società in continuo cambiamento: la povertà educativa, tema prospettato e lanciato con vigore e lungimiranza dalle Fondazioni di Origine Bancaria, è forse la sfida più importante per i prossimi anni; la “povertà educativa”, aggiungeremmo anche “sociale”, perché è spesso nella carenza o incapacità di interrelazioni individuali e sociali, nella non conoscenza del bene comune e nel non rispetto dei diritti civici e degli altri che si cade nella povertà.

Con “povertà educativa e sociale” intendiamo la mancanza di educazione civica, istruzione, conoscenze e competenze che aumenta le disuguaglianze economiche e non permette la piena realizzazione personale e inclusione sociale e che crea problemi di integrazione e alti costi economici per la collettività; un concetto quindi strettamente legato al livello culturale e di conoscenze, che richiede, da parte dello Stato, un grande sforzo progettuale  per aiutare i cittadini sin dalle scuole primarie ma anche le persone in età mature, a realizzarsi. La povertà educativa dipende dai livelli di scolarizzazione, dal tessuto sociale in cui si vive, dai livelli di competenza linguistica, matematica, scientifica o economico-finanziaria, dalle qualifiche formative e dalle conoscenze civiche, dall’alto livello di abbandono scolastico, (nell’ultima rilevazione europea il tasso di abbandoni è sceso sotto il 14% ma l’Italia resta comunque quintultima in Europa: peggio di noi solo Portogallo, Romania, Spagna e Malta). Infine, l’elevato assistenzialismo e il disinteresse dei cittadini e della politica producono scarso senso di responsabilità che si autoalimenta.

Si parla di povertà di alcune parti della popolazione, d’impoverimento della classe media ma quello che spesso si riscontra è che buona parte di questa “povertà”, di questa perdita di status dipende spesso dalla “povertà educativa e sociale”. In un tempo, si badi bene, in cui le “disuguaglianze” sociali, di cui talvolta si straparla, non sono mai state così ridotte, come ben evidenziato in uno degli ultimi discorsi di Barack Obama. Ad esempio, la scarsa educazione alimentare, l’uso di tabacco, l’eccessiva sedentarietà e l’abuso di alcol sono, secondo l’OMS, tra i principali fattori di rischio delle malattie croniche che, in Europa, provocano l’86% dei decessi e il 77% della perdita di anni di vita in buona salute e costano alla collettività (quindi a tutti noi) circa il 70% delle risorse per l'assistenza sanitaria.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica la “salute mentale” come la principale causa di povertà anche negli stessi Paesi più sviluppati: la depressione, in particolare, è per il 50% più debilitante della maggior parte delle malattie fisiche croniche e le sindromi d’ansia e depressione sono alla base del 40% delle invalidità. Queste patologie sono largamente prevenibili e risolvibili attraverso la modifica dei comportamenti non salutari (maggiore educazione) con enormi vantaggi per i cittadini e anche per le finanze pubbliche.  Spesso, una buona educazione alimentare risolve molti problemi di povertà con uso di cibi salutari e di basso costo come riso, proteine vegetali, legumi e così via, che riducono anche i rischi di obesità e malattie croniche ormai molto diffuse anche in Italia.

Ma questa “povertà educativa e sociale” - che si può anche tradurre in mancanza di “assunzione di responsabilità”, figlia della teoria dei “diritti che ignora i doveri” - è spesso alla base, e molte volte causa, della troppo frequente dissoluzione delle famiglie, con i gravi problemi per i figli e il loro percorso educativo e anche per i separati, “i nuovi poveri”, che restano senza casa e con scarse disponibilità economiche. Istat indica che nel 2015 i matrimoni sono stati 194.377, ma tra divorzi (82.469), e separazioni (91.706) la differenza positiva che, nel 2005, era superiore a 117.000, nel 2015 si riduce a sole 20.000 unità. Per non parlare dei danni provocati dai vandali che distruggono cassonetti, beni pubblici, imbrattano muri e treni e così via, e che costano alla collettività, oltre a provocare danni al decoro urbano. E che dire ancora dei NEET, cioè coloro che non studiano e non lavorano? Il nostro Paese vanta uno dei tassi più alti d'Europa: 19,9% contro una media nel Continente dell'11,5%.

Questi sono solo esempi dei problemi che la povertà educativa e sociale comporta. E, a fronte di questo grave problema, cosa ha fatto finora lo Stato? Intanto, ha eliminato nelle scuole “l’educazione civica”, che dovrebbe venire molto prima della matematica e delle lettere ed è la pietra angolare della coesione sociale e del vivere civile. Anziché instillare già nei bimbi (il futuro della società) questo senso civico, di comprensione e di bene per il nostro prossimo, è diventato tollerante e “molle” con vandali, ladri e bulli, esasperando così il clima sociale. Infine, anziché combattere la povertà educativa e sociale con centri di ascolto, cultura, educazione e severità, si è concentrato solo su forme di sostegno economico e finanziario senza nella maggior parte dei casi, pretendere nulla in cambio.

Se contabilizziamo quanto costa la povertà educativa e sociale, le cifre sono enormi: tra sanità, assistenza e riparazione dei danni vandalici si possono ipotizzare alcune decine di miliardi; per esempio, una riduzione delle cronicità potrebbe diminuire la spesa sanitaria di oltre 10 miliardi e lo stesso si otterrebbe con una buona educazione e un collegamento tra studio e lavoro. Si deve quindi puntare sui “bambini”, i cittadini di domani, lottando contro la dispersione scolastica e garantendo a tutti una cultura di base, sottraendo i minori a situazioni pericolose per la loro crescita sociale. Ma si deve anche pensare a una società che invecchia e a tutto ciò che ruota attorno alla solitudine e alla perdita di capacità di “partecipazione alla vita sociale”. Quella culturale è la prima sfida che si deve affrontare, perché come affermano le Fondazioni Bancarie: “La povertà economica è spesso causata dalla povertà educativa: le due si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione”.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

7/2/2018

 
 

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