Il quadro geopolitico: quali riflessi su economia e mercati?

I trend di lungo periodo e le crescenti sfide per il breve periodo: come i recenti avvenimenti internazionali stanno ridefinendo i rapporti di potere economico e politico a livello mondiale

Antonio Villafranca

Per comprendere al meglio gli avvenimenti internazionali degli ultimi tempi è opportuno inserirli nell’ambito dei trend di medio-lungo periodo. Trend che stanno ridefinendo i rapporti di potere economico e politico a livello mondiale.

I trend di lungo periodo…

Tra i più significativi trend mondiali di medio-lungo termine rientra certamente quello della crescita demografica. Secondo le stime delle Nazioni Unite la popolazione mondiale aumenterà del 30% entro il 2050, passando da 7,6 a 9,8 miliardi di abitanti. Questa crescita riguarderà tutte le grandi aree del mondo, dall’Asia agli Usa, ma risulterà particolarmente rilevante per l’Africa subsahariana, in cui la popolazione crescerà più del doppio, passando dal miliardo di oggi a 2,2 miliardi nel 2050. A fare eccezione sarà soltanto l’Unione europea, per la quale al 2050 è previsto un calo dello 0,9% (da 508 a 503 milioni), che si allarga fino al 3,3% (da 442 a 427 milioni) escludendo il Regno Unito del dopo-Brexit. Le differenze tra questi tassi di crescita avranno notevoli conseguenze sul piano politico ed economico-sociale. In particolare, l’esponenziale crescita demografica africana pone delle sfide legate alla necessità di un adeguato sviluppo economico e alla stabilità politica dei fragili governi del continente. Sfide che vengono ulteriormente complicate dagli effetti dei cambiamenti climatici che spingono a migrazioni principalmente intra-africane, ma che si sommeranno sempre più ai fattori che alimentano le migrazioni verso l’Europa, primo fra tutti le differenze di reddito.

Un altro trend di medio-lungo termine che sta ridisegnando la mappa geo-economica mondiale riguarda i diversi potenziali di crescita economica delle varie arie del mondo nell’era della globalizzazione e della ‘digital economy’. È già in atto da anni uno spostamento del baricentro economico mondiale verso l’Asia e la regione indo-pacifica. Una prima conseguenza di questa tendenza è la crisi della governance mondiale nata a partire dal secondo dopoguerra. Le Istituzioni di Bretton Woods appaiono sempre più deboli, bloccate o minacciate da nuovi attori e Istituzioni. È questo il caso del Fondo Monetario Internazionale (FMI) la cui rappresentatività e capacità decisionale vengono messe sempre più in discussione dai Paesi emergenti, Cina in primis. Si tratta d’altra parte di Paesi che sono obiettivamente sotto-rappresentati nel Consiglio dei governatori del FMI, dove gli Usa mantengono il diritto di veto sulle decisioni più importanti con il 16,5% dei voti (ne basterebbero il 15%), l’Ue a 28 ne detiene il 30%, pur rappresentando il 22% del Pil mondiale, mentre la Cina può contare solo sul 6,1%, anche se la sua economia pesa per il 15% in quella mondiale. Non sorprende quindi l’attivismo cinese che ha creato, insieme agli altri Paesi BRICS, il Contingent Reserve Arrangement (potenzialmente in competizione con il FMI), e l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) che mette in dubbio il campo d’azione della Banca Mondiale e della Banca asiatica di sviluppo (ADB) e ha già registrato un grande successo in termini di Paesi membri: 84 in meno di tre anni, tra cui buona parte dei Paesi Ue. Anche l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) è profondamente colpita dal riequilibrio del potere economico mondiale e risulta praticamente bloccata. Un risultato legato anche alla crescente opposizione al libero scambio che si rileva in molte economie mature, in Europa e soprattutto nell’America di Trump. Un risultato a cui contribuiscono altre dinamiche di trend che si stanno affermando a livello globale come gli effetti della globalizzazione in termini di disuguaglianze di reddito e di disparità regionali.


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…e le crescenti sfide per il breve periodo

I trend di lungo-periodo contribuiscono a esacerbare gli eventi internazionali dei nostri giorni. Le crescenti disuguaglianze di reddito e la crisi del ceto medio sono tra i fattori che hanno contribuito alla vittoria di Trump e che sono alla base della sua recente decisione di aumentare i dazi su alluminio e acciaio. Una decisione che, al momento, non riguarda l’Europa, ma è rivolta principalmente verso la Cina, con cui gli Usa hanno un deficit commerciale pari a 337 miliardi di dollari. La stessa Cina, oltre a prevedere ritorsioni verso gli Usa, prosegue nel percorso di accentramento dei poteri attraverso una riforma costituzionale che elimina il limite dei due mandati per il Presidente Xi Jinping. Un'iniziativa che i cinesi reputano importante anche per confermare le loro aspirazioni di leadership mondiale e per il perseguimento di progetti funzionali a tale leadership come ‘New Normal’ e ‘Belt&Road’. In questo contesto, si inserisce anche la Russia del ri-eletto Presidente Putin, che aspira a tornare tra i leader mondiali accrescendo la sua assertività in politica estera, attraverso interventi non solo in quella che è ritenuta la sua tradizionale zona di influenza (come nel caso dell’Ucraina) ma anche in scenari più lontani (come nel caso della Siria). La politica estera viene utilizzata da Putin come uno strumento per creare coesione all’interno di un paese che presenta molte debolezze sul piano economico (dalla mancata diversificazione della sua economia alla corruzione).

Di fronte a queste mutazioni degli attori e del loro potere a livello internazionale, l’Unione europea si presenta con divisioni e debolezze visibili tanto sul piano internazionale quanto su quello interno. Riguardo alla politica estera, l’Ue non riesce a svolgere un ruolo di primo piano nell’arco di instabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente: dalla perdurante crisi siriana al graduale spostamento a Est della Turchia di Erdogan, fino alle crescenti tensioni tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Verso i suoi confini orientali rimane alta la tensione con Putin sull’Ucraina e più recentemente dopo il caso Skripal, anche se in questo caso l’Ue ha dato finora prova di una certa unità di intenti e di un cauto riavvicinamento agli Usa.

Ma è probabilmente sul piano interno che le debolezze europee emergono con maggior chiarezza. La crisi dei partiti tradizionali e l’ascesa di movimenti populisti ed euroscettici sono anche frutto delle dinamiche di medio-lungo periodo sopra tracciate e mettono fortemente in discussione il progetto comunitario dal suo interno. Motivo in più per guardare con attenzione alla Road Map per il rafforzamento dell’Ue che Merkel e Macron hanno promesso per il prossimo giugno. Un rilancio necessario che non può pero limitarsi a modifiche al margine. Per quanto riguarda in particolare l’Italia, alcune proposte di riforma Ue emerse negli ultimi mesi potrebbero risultare benefiche: completamento dell’unione bancaria, creazione di una linea di bilancio (anche con finalità redistributive) per l’Eurozona, trasformazione dell’ESM in un Fondo Monetario Europeo. Altre invece rischiano di essere destabilizzanti: limiti ai titoli di stato posseduti dalle banche, maggiore disciplina dei mercati, ristrutturazione ‘automatica’ del debito pubblico in caso di crisi. Rispetto a questo processo di riforma dell’Ue, l’Italia non può fare l’errore di puntare solo sulle proposte a noi più favorevoli, ma dovrebbe anche essere un attore credibile che avanza proposte che riducano gli effetti più destabilizzanti delle proposte meno favorevoli.   

Antonio Villafranca, Coordinatore della ricerca e Co-head dell’Osservatorio Europa e governance mondiale, ISPI

23/4/2018

 

 
 

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