Studenti e università: i rischi delle conseguenze del coronavirus sulle giovani generazioni

Restrizioni economiche, timori sanitari e incertezze sulle modalità di ripresa potrebbero portare a una flessione delle immatricolazioni universitarie per il biennio 2020-2021 pari ad almeno l'11%, con inevitabili perdite in termini di capitale umano e con il concreto rischio di un acuirsi delle divergenze territoriali tra Nord e Sud

Federica Roccisano

L’Osservatorio Talents Venture ha pubblicato uno studio relativo all’impatto di COVID-19 sulle immatricolazioni universitarie del prossimo anno. Quanto emerge è allarmante: “il numero di immatricolati nell’aa. 2020/21 potrebbe ridursi di circa 35.000 unità (-11% rispetto all’anno precedente)”, con evidenti ripercussioni sulle casse degli atenei italiani, che incasserebbero circa 46 milioni di euro in meno e, soprattutto, sulle prospettive future del nostro Paese, in relazione al rischio di perdita di capitale umano qualificato.

Al 31 dicembre 2019, l’Italia era il Paese europeo con la percentuale più alta (18,1%) di NEET, i giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano, e con un livello di disoccupazione, per la stessa fascia di età, pari al 29,2%, un dato più basso solo di Grecia e Spagna dove la percentuale di giovani disoccupati supera il 32%. Il quadro nazionale risulta ancora più preoccupante se si considerano le strutturali diseguaglianze territoriali tra Nord e Sud e, quindi, il diverso peso della contrazione economica sulle famiglie. Nei territori dove l’incidenza della povertà è maggiore, in ragione della grave crisi economica cui COVID-19 ha portato, sarà ancora più difficile per le famiglie sostenere il costo di un figlio iscritto all’università, ancor di più nel caso dei fuori sede che, in alcune aree, costituiscono una parte rilevante degli iscritti.

È il caso di Calabria, Sicilia e Puglia. In queste regioni, la percentuale di studenti che decidono di studiare in un ateneo che si trova in una regione diversa da quella di residenza è decisamente alta: segue questo percorso il 43,5% degli studenti che risiedono in Calabria, il 39,9% in Sicilia e il 37,8% in Puglia. La figura 1 mette in evidenza come nelle regioni dove il peso degli studenti fuori sede è maggiore, si registra la percentuale di popolazione laureata d'età compresa tra 30 e 34 anni più bassa della media nazionale (27,6%), con il dato minimo registrato in Calabria e Puglia (20%), seguite dalla Sicilia (20,3%). Una contrazione del numero di nuovi iscritti non farebbe che aggravare questo dato, aumentare il numero di giovani a rischio disoccupazione e, quindi, esclusione sociale.

Figura 1 –  Confronto studenti "fuori sede" e popolazione laureata (30-34 anni)

Anno 2019 – Valori percentuali per regione

Figura 1 – Confronto studenti

Fonte: elaborazioni dell'autore su Opendata MIUR e Istat

Al contrario, nelle regioni con un peso minore di studenti che scelgono di iscriversi e frequentare università localizzate in regioni diverse da quella di residenza (Lombardia, Veneto, Piemonte), la percentuale di popolazione laureata di età compresa dai 30 ai 34 anni è decisamente più alta: in Lombardia arriva al 33,3%, in Veneto al 29,3%, in Piemonte al 27,5%. Tuttavia, anche per gli atenei di queste regioni del Paese, esiste un rischio concreto, ovvero quello di subire una notevole riduzione delle entrate in ragione della contrazione del numero delle immatricolazioni degli studenti fuori sede delle altre regioni, sia a causa di costrizioni economiche sia anche di percezione del rischio, essendo queste, le aree in cui COVID-19 ha mietuto più vittime.

E se per le università tradizionali, soprattutto per quelle più popolose, permane l’incertezza sulla possibilità di riprendere la didattica in presenza o programmare la nuova offerta formativa in modalità on line, non si potrebbe dire la stessa cosa per le università telematiche, che negli ultimi 5 anni hanno registrato una crescita degli iscritti del 69% (fonte MIUR), e che potrebbero assorbire un gran numero di fuori sede.

Occorre, quindi, prepararsi a uno scenario nuovo rispetto agli anni precedenti. Pensare al ruolo dell’istruzione universitaria in termini di occupazione del settore e, soprattutto, di investimento e occupabilità degli studenti. Intervenire individuando strumenti mirati per agire in entrambi i fronti: Governo e Regioni dovrebbero incrementare la spesa per il diritto allo studio, aumentando così il numero di percettori di borse di studio e l’importo delle stesse, al fine di sostenere gli studenti, fuori sede e non, e le loro famiglie. Ancora, si potrebbero introdurre delle agevolazioni, attraverso la riduzione delle tasse, per attrarre gli studenti che intendono iscriversi in un ateneo localizzato nella medesima regione di residenza, in modo da coprire, da un latom la perdita economica del numero degli iscritti e, dall’altro, la perdita sociale della mancanza di opportunità per chi rischia di non poter realizzare il percorso formativo e poi lavorativo che desidera.

Federica Roccisano

11/6/2020

 
 
 

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