L'educazione finanziaria che serve al Paese

La limitata conoscenza finanziaria di base che caratterizza gli italiani è uno dei principali aspetti che influenza negativamente le scelte di allocazione e investimento dei risparmi delle famiglie 

Niccolò De Rossi

Il linguaggio della finanza e dell’economia in generale molto spesso non risulta di semplice comprensione e facilmente fruibile soprattutto per i non addetti ai lavori, questo è certo. Spread, rialzo dei tassi di interesse, volatilità sui mercati azionari, fondi comuni di investimento, relazione tra rischio e rendimento e chi più ne ha più ne metta. Al risparmiatore medio certamente non servirà conoscere le intricate dinamiche che stanno dietro agli attacchi speculativi al nostro Paese causa debito pubblico troppo elevato, ma il saper distinguere un'obbligazione da un’azione, sapere cos’è l’inflazione, capire cosa succederà alla rata del proprio mutuo se vi sarà un rialzo dei tassi di interesse, comprendere i benefici della diversificazione del rischio di portafoglio, rientrano invece tra le nozioni di base che una larga parte della popolazione dovrebbe possedere.

A smentire questo “augurio”, da più di qualche anno, ci pensano le numerose indagini condotte a livello europeo e non sul livello di educazione finanziaria delle varie nazioni, collocandoci all’ultimo posto tra i Paesi del G7. Se da un lato, anche per il 2016, è proseguita la crescita del reddito disponibile delle famiglie italiane, le competenze in materia di investimenti finanziari rimangono limitate. Secondo quanto emerge dall’ultimo Rapporto Consob 2017 (anno di rilevazione 2016), le nozioni di base riportate nel grafico seguente vengono definite correttamente da una percentuale che si attesta tra il 30% e il 50% circa degli intervistati, per decrescere drasticamente (non supera il 20%) quando ci si dirige su aspetti più “sofisticati”, riguardanti ad esempio i profili di rischio dei prodotti finanziari rivolti ai risparmiatori.

 

 

Dato però certamente rilevante e che lascia un po' preoccupati è che, se circa il 60% del campione preferirebbe una composizione di portafoglio a trazione prevalentemente azionaria, questo considera le azioni meno rischiose delle sorelle obbligazioni; ne consegue che non si conosce affatto in che cosa si vorrebbe investire. Da ciò deriva che l'errata valutazione e percezione del rischio dell’investimento che si sta sottoscrivendo porta potenzialmente a un'allocazione dei propri risparmi ex-post profondamente inefficiente, data la personale propensione alla sopportazione di eventuali perdite conseguibili. Se si volge però lo sguardo sull’effettiva composizione dei portafogli delle famiglie italiane che investono ad esempio attraverso fondi comuni, complice certamente l’evidenziato deficit di conoscenza finanziaria, si evince come ancora sia fortemente presente la predilezione verso investimenti in titoli di debito, con un rilevante peso dei titoli di Stato domestici a discapito della componente corporate, che rimane ancora alquanto limitata. Le scelte di investimento dovrebbero dunque essere il frutto di una serie di valutazioni e processi decisionali che portano il risparmiatore a optare per un determinato prodotto piuttosto che per un altro. A monte dovrebbero esserci infatti una corretta pianificazione finanziaria e un'adeguata gestione del bilancio familiare, le quali consentono la creazione di risparmio che potrà essere allocata tra soluzioni previdenziali, finanziare e assicurative.

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Se neanche i difficili anni di crisi che faticosamente ci stiamo lasciando alle spalle e che indubbiamente hanno pesato in modo molto significativo su famiglie e risparmiatori sono serviti da stimolo per un cambio significativo di passo verso una generalizzata crescita delle competenze finanziarie, diventa evidentemente necessario prevedere iniziative e interventi coordinati che vadano proprio in questa direzione. Inoltre, come sta accadendo in tutte le economie avanzate compresa quella italiana, sono numerosi i cambiamenti e le sfide che ci accompagneranno per il prossimo futuro. Una su tutte, l’aumento della speranza di vita e il conseguente impatto che ciò avrà sul concetto di risparmio e sulle forme previdenziali a cui destinarlo.

Per confrontarsi con cambiamenti importanti, serve necessariamente un Paese che abbia cittadini-risparmiatori con un livello di educazione finanziaria di base generalmente soddisfacente. Chi possiede infatti maggiore conoscenza finanziaria pianifica di più il suo futuro e inevitabilmente investe meglio il proprio risparmio accumulato. Proprio per questo un lavoro di forte promozione dell’eduzione finanziaria è non solo funzionale ma quanto mai necessario. È così nato il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria presieduto da Annamaria Lusardi: mission del Comitato è quella di promuovere, attraverso iniziative di sensibilizzazione, l’attenzione verso l’educazione finanziaria, per incidere fortemente sul miglioramento delle competenze degli italiani in tema di risparmio, previdenza, investimenti e assicurazione. Con questi presupposti, il Comitato ha oltretutto promosso il mese dell’educazione finanziaria che prenderà il via il prossimo ottobre e che vedrà presenti, oltre al Ministero dell’Istruzione, anche tutti quei soggetti interessati a programmare iniziative in linea con l’obiettivo di migliorare l’educazione finanziaria dei cittadini. Tale appuntamento deve essere auspicabilmente visto come il primo di una lunga serie e non cadere, come purtroppo talvolta accade in Italia, nel dimenticatoio dopo poco tempo.

Accanto alle menzionate iniziative di più ampio respiro e rivolte alla più inclusiva partecipazione, occorre  poi una profonda riflessione sull’importanza che può ricoprire la scuola nel contribuire in modo incisivo sulla formazione dei più giovani. Il ripensamento del sistema scuola è uno dei grandi dibattiti che da sempre accompagna la nazione e le numerose “battaglie” politiche che si rincorrono negli anni. Tanto quanto l’attenzione verso l’educazione civica che dovrebbe tornare a essere insegnata fin dalle scuole medie, allo stesso modo anche per l’educazione finanziaria si potrebbe pensare a un percorso che parta, con i dovuti accorgimenti, dai primi anni delle scuole superiori. Pensare quindi ad almeno due o tre incontri annuali da riproporre, con i corrispondenti livelli di dettaglio e “difficoltà”, per i vari licei e istituti italiani sia sulle conoscenze di base dell’economia e della finanza, ma anche sull’importanza di gestione e pianificazione dei propri risparmi e la loro conseguente destinazione alla previdenza complementare e assicurativa. Sono dunque molte le iniziative che posso essere messe in campo con modalità e destinatari diversi; il filo conduttore che deve guidare i vari attori protagonisti deve essere l’impegno costante e soprattutto consapevole della necessaria crescita di offerta educativa per i risparmiatori italiani. Perché un risparmiatore “educato” è un risparmiatore migliore!

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

11/9/2018

 
 
 

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