Il risiko dei mercati tra elezioni europee e trade war

Lasciata alle spalle la fatidica data delle votazioni per il rinnovo del parlamento europeo permangono numerose incertezze tanto sugli impatti che potrà avere la compagine sovranista nell’UE quanto sull’esito incerto dello scontro commerciale tra Usa e Cina

Niccolò De Rossi

Le votazioni dello scorso 26 maggio hanno chiuso (forse) la lunga e permanente campagna elettorale portata avanti negli ultimi mesi dai due partiti di governo. Il risultato del voto ha fatto in modo di agitare ancor di più le già movimentate acque in cui naviga l’esecutivo. E ciò non poteva che destare l’attenzione tanto degli investitori internazionali, che in realtà vigilano attenti sin dalla firma del contratto che tiene ancora in vita il governo, quanto della Commissione Europea preoccupata per l’innalzamento di debito e deficit come conseguenza di alcune possibili riforme. Se però si osservano i movimenti dei mercati delle ultime settimane, si nota come l’avanzata a livello europeo dei partiti sovranisti, seppur in misura inferiore rispetto a quanto qualcuno temeva, non abbia generato particolari turbolenze, segnale di come tale scenario fosse già stato incorporato nelle previsioni degli investitori. Dunque, i mercati non festeggiano ma nemmeno tremano. Ciò mostra un’ulteriore attesa da parte degli stessi che per ora non prendono posizione, aspettando l’evoluzione dello scenario sullo scacchiere europeo e nuovi elementi di valutazione per consolidare le proprie previsioni di breve e medio periodo.

Nonostante questo, l’Italia resta l’osservata speciale. Se il rallentamento economico è infatti generalizzato in tutta Europa e in questa prima parte d’anno è mancata soprattutto la crescita proveniente dalla domanda esterna, le intenzioni di intraprendere alcune riforme (su tutte, la flat tax) preoccupano i mercati, che rimangono alla finestra in attesa di capire inoltre quanto i partiti sovranisti potranno effettivamente pesare sulla scelta del nuovo Presidente della Commissione Europea. Oltretutto, il mandato in scadenza di Mario Draghi a capo della BCE lascia punti interrogativi sulle misure di politica monetaria che verranno adottate dal suo successore, a maggior ragione alla luce delle ultime dichiarazioni in merito alla prosecuzione delle misure di politica monetaria espansiva. Da considerare, inoltre, come l'avvicendamento al vertice della BCE potrebbe modificare tale indirizzo e portare a un possibile rialzo dei tassi di interesse, che farebbe venir meno il sostegno alle economie più fragili che perdura ormai da diverso tempo.

Nondimeno, le incertezze politiche nazionali relative alla futura composizione del governo e le attese per la risposta della Commissione Europea in merito alla procedura di infrazione hanno creato nuove turbolenze sullo spread. Ma al centro dell’attenzione per l’evoluzione dell’andamento degli asset domestici resta sempre e comunque il tema della crescita, che necessita di misure coraggiose e coerenti a maggior ragione nello scenario politico-economico attuale particolarmente incerto, cercando di evitare proclami roboanti, che preoccupano gli investitori, e rispettando soprattutto i parametri UE su debito e deficit. Servirà quindi lasciare da parte una tendenza più o meno assistenzialista che finisce per gravare particolarmente sui conti pubblici e tornare invece a parlare di misure per creare lavoro, incidere sulla crescita delle imprese favorendo la loro apertura all’export e mettere in campo provvedimenti di ampio respiro per tendere verso un piano di rientro del debito pubblico credibile.

Con un parlamento europeo dunque fortemente diviso, ma comunque a maggioranza “europeista”, occorrerà poi monitorare se l’Europa proseguirà sul percorso di rafforzamento e coesione, senza prestare troppo il fianco alle ripercussioni della guerra commerciale tra Usa e Cina. Questa ha infatti già causato un rallentamento della crescita globale, mostrando che le regole che governano il commercio internazionale si stanno avviando verso una stagione di cambiamenti. Nelle ultime settimane, infatti, i listini europei hanno sofferto per il riacuirsi dello scontro tra le due superpotenze che dura ormai da diversi mesi. Inoltre, il rischio di un rallentamento nella coesione tra i Paesi e nella gestione delle politiche comuni del continente, come ad esempio sul tema migratorio, finirebbe per far aumentare nel medio-lungo periodo i premi per il rischio richiesti sulle azioni europee, penalizzando proprio i Paesi con conti pubblici fragili e, di conseguenza, maggiormente esposti alle reazioni dei mercati.

Lo scenario che ne consegue non può quindi che essere connotato da grande incertezza, incertezza che non fa bene agli investimenti, soprattutto ai capitali prudenti degli investitori istituzionali quali fondi pensione, casse di previdenza e fondazioni di origine bancaria. Le loro allocazioni di portafoglio sono infatti per la maggior parte esposte verso asset tradizionali, proprio quelli che inevitabilmente risentono maggiormente in condizioni di mercato incerto e per i quali gli analisti stimano un aumento della volatilità per i mesi avvenire. Tale constatazione avvalora una volta di più l’impegno che gli investitori istituzionali stanno assumendo per aprire i propri capitali verso gli investimenti alternativi, quelli che molto spesso, con non poca semplificazione, vengono fatti rientrare sotto il cappello del finanziamento “dell’economia reale” ma che, allo stesso tempo, contribuiscono a portare rendimenti aggiuntivi e diversificare il rischio complessivo di portafoglio.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/6/2019

 
 
 

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