Investitori istituzionali e mercati privati: una relazione sempre più stabile

Seppur ciascuno nel rispetto delle proprie caratteristiche e peculiarità, i maggiori investitori istituzionali italiani rivolgono sempre più attenzione all'investimento nei mercati privati: maggior rendimento atteso ma anche supporto alla crescita delle PMI e del Paese

Niccolò De Rossi

Gli ultimi 14 anni hanno visto il susseguirsi di numerose crisi, da quella dei subprime, passando per quella del debito sovrano, fino all’ultima pandemia tuttora in corso. Oltre alle drammatiche conseguenze che ciascuna di esse ha portato, sia a livello economico sia (nel caso di COVID-19) anche sanitario, questi grandi periodi di difficoltà e incertezza hanno consentito di migliorare, progredire e trovare nuove soluzioni: soluzioni che in condizioni “normali” non sarebbero probabilmente emerse.

Guardando agli investitori istituzionali italiani, infatti, e in particolare osservando l’evoluzione delle loro strategie di investimento, è inevitabile rilevare quanto abbia acquisito un peso sempre maggiore l’esposizione verso i mercati privati. Itinerari Previdenziali ha iniziato, nell’ormai lontano 2018, un percorso di approfondimento sugli investimenti “alternativi” e in economia reale, anche grazie alle testimonanze di quei fondi pensione e di quelle Casse di Previdenza che, da pionieri, si sono mossi in un ambito oggi diventato una sorta di must. Da quell’esperienza di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. I vari attori del sistema sono diventati più consapevoli, non solo dal punto di vista dei vantaggi finanziari che possono derivare da tali investimenti, ma anche in merito al supporto che i loro grandi patrimoni possono fornire alla crescita delle imprese e del Paese. Le numerose best practice raccontate e condivise a livello di sistema sono state raccolte nel Quaderno di Approfondimento 2020 “Sostenere lo sviluppo del Paese: una scelta davvero alternativa?”.

A distanza di oltre due anni dal primo incontro a che punto è il mercato istituzionale italiano rispetto ai mercati privati?Nell’Osservatorio “La relazione tra mercati privati e investitori istituzionali nel 2021” curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, si è cercato di riprendere quanto esaminato e tracciare nuove direttrici partendo sempre dalla concreta testimonianza degli investitori ma rivolgendo l'attenzione anche al parterre di fondi di investimento e asset manager che forniscono gli strumenti di investimento. Riprendiamone allora alcuni passaggi.

 

Qualche numero sugli investimenti nei mercati privati in Italia 

Se confrontati con la media di altri Paesi europei, i numeri degli investimenti nei private market in Italia sono ancora contenuti, oltre a essere di difficile reperibilità. Nei mercati esteri vi sono infatti operatori di private equity e private debt con masse gestite difficilmente paragonabili a quelle dei nostri operatori, anche se la strada intrapresa sta portando ad accrescere significativamente la penetrazione del mercato da parte di fondi italiani sempre più specializzati nei diversi settori di investimento.

Osservando i dati AIFI (realizzati in collaborazione con PwC Italia - Deals) sulla raccolta di private equity nel 2020 in Italia, si può rilevare come abbia raggiunto i 2.072 milioni di euro, in crescita (+32%) rispetto ai 1.566 milioni del 2019 con 26 operatori coinvolti. A fronte di questo significativo aumento, che lascia percepire il potenziale nascosto, una percentuale relativamente poco positiva in prospettiva riguarda la composizione geografica dell'investimento: il 90% del totale proviene infatti da investitori domestici, segnale poco confortante in un’ottica di internazionalizzazione dei fondi.

Nonostante le evidenze descrivano quindi un mercato agli inizi della propria crescita, può essere utile evidenziare le proiezioni di Prequin su private equity e asset alternativi per i prossimi anni: in particolare, considerando l’impatto di COVID-19, il modello di previsione di Preqin racconta di una crescita significativa delle masse gestite a livello globale in tutte le classi di attività alternativeTra la fine del 2020 e la fine del 2025, le risorse in asset alternativi sono previste in aumento del 60%, pari a un CAGR (tasso annuo di crescita composto) del 9,8%. La distribuzione tra le diverse classi non sarà però uniforme: private equity e private debt cresceranno rispettivamente del 15,6% e dell’11,4% l'anno. Per tutte le altre classi di attività previsto invece un tasso del 5% annuo o inferiore. A livello globale gli investitori consolideranno il loro appetito in termini di rischio e rendimento, di diversificazione e di resilienza dei portafogli, incrementando costantemente la propria esposizione ai mercati privati soprattutto attraverso l'investimento in private equity e private debt. Se i grandi investitori nazionali sapranno superare le difficoltà e gli ostacoli che ancora sono presenti nel Paese, l'Italia avrà tutte le potenzialità, nella stagione della ricostruzione post pandemia, di seguire questo trend. 

 

Il supporto degli investitori istituzionali italiani alle imprese e al Paese

Nel prendere in esame la cosiddetta finanza alternativa è sì utile approfondire i benefici finanziari per gli investitori ma lo è altrettanto anche soffermarsi sui riflessi positivi che da tale attività può portare all'economia italiana e alle sue realtà aziendali. La crisi pandemica ha infatti contribuito ad acuire il problema del finanziamento soprattutto di quelle micro, piccole e medie imprese che rappresentano il cuore produttivo e occupazionale del Paese.

L’edizione 2021 del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi curato dall’Istat può fornire un’utile fotografia delle diverse tipologie di finanziamento che vengono utilizzate dalle aziende. Dalla rilevazione condotta nel 2020 risulta che 4 imprese su 5 hanno modificato il ricorso alle abituali fonti di finanziamento per fronteggiare la crisi di liquidità. Da un lato, le imprese italiane hanno ridotto l’utilizzo dell’attivo come fonte di finanziamento principale, interrompendo nel breve periodo la tendenza, osservata nell’ultimo decennio, a un crescente ricorso a questa fonte; dall’altro, hanno utilizzato in misura più diffusa il finanziamento esterno, in particolare credito bancario e credito commerciale. Dati da cui si evince come lo sforzo ulteriore e fondamentale da compiere sia non solo quello di affinare e aumentare la domanda e l’offerta di prodotti di investimento nei mercati privati, ma anche quello di rendere le imprese più consapevoli del beneficio che potrebbero trarre proprio dalle voci di finanziamento che, ancora oggi, risultano scarsamente utilizzate e rivestono solo percentuali marginali rispetto all’approvvigionamento di risorse esterne. L’apporto di equity, ma anche di debito, tramite strumenti differenti rispetto alla “tradizione” è una prospettiva che non può essere ignorata. L’arrivo di nuovo capitale attraverso l’apertura delle fonti di finanziamento ai fondi di private equity e private debt mediante soluzioni di prestiti innovativi è la direttrice lungo cui soprattutto le piccole e medie imprese dovranno dirigersi.

In definitiva, da un lato l’opportunità per gli investitori di impiegare parte delle proprie risorse in investimenti che offrano ritorni attesi più elevati e che, al contempo, aiutino l’economia reale. Dall’altro, la possibilità per le stesse imprese di diversificare le proprie fonti di finanziamento. Tutti risvolti positivi, ricordando però che se è vero che l'attività di investimento nei private market ben si sposa con il profilo di investitori pazienti e di lungo periodo di fondi pensione e Casse di Previdenza, è necessario dall’altra parte che la loro natura non speculativa sia costantemente tutelata, anche e soprattutto nel rispetto dei rispettivi aderenti.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

4/1/2022

 
 
 

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