Quali impatti se i tassi resteranno bassi per molti altri anni?

Lo scenario forse più probabile da pronosticare a breve e medio termine è quello in cui i tassi di interesse e offerti dal mercato obbligazionario resteranno su livelli minimi ancora per qualche anno: una tendenza di questo genere cosa implicherebbe per le scelte di investimento? 

Leo Campagna

I tassi di interesse nei Paesi sviluppati restano schiacciati sui minimi storici. In molti casi, addirittura in territorio negativo: è questo l’effetto più critico della cosiddetta "repressione finanziaria" provocata dal Quantitative Easing messo in campo dalle principali banche centrali occidentali per superare le problematiche nate dopo la grande crisi finanziaria 2008-2009. Un approccio che sembrava destinato a essere archiviato dopo che la Fed, dal 2015, aveva iniziato il proprio percorso di normalizzazione (rialzo graduale dei tassi di interesse USA), e la BCE ridotto l’acquisto negli ultimi trimestri di titoli sul mercato obbligazionario della zona euro. Ma da gennaio di quest’anno, le banche centrali sono ritornate in modalità "espansiva". La Fed ha dichiarato, dapprima, di sospendere il programma di rialzo dei tassi e, a giugno, di essere pronta a tagli qualora la situazione dell’economia lo rendesse necessario. Draghi, di recente, ha invece confermato che la BCE è pronta anche a rispolverare l’arsenale del Quantitative Easing per rimettere in moto la crescita e l’inflazione.

In un report pubblicato lo scorso 12 giugno a firma di S&P Global Ratings, intitolato "A Future For QE: Monetary Policy In Two Dimensions" si parte dalla constatazione che il modo in cui pensiamo alla politica monetaria è cambiato con l'adozione del QE: è passato dall'essere una questione unidimensionale focalizzata cioè sul solo impostare il tasso politico (PR ) a un problema bidimensionale di determinazione congiunta del PR e del QE. Una nuova realtà che richiede un quadro da parte della banca centrale per ricavare la combinazione ottimale di queste due variabili, data l'auspicata politica monetaria necessaria per raggiungere il suo obiettivo politico, come ben evidenziato dallo stesso campo economista di S&P Global Ratings Paul Gruenwald: "Il passaggio a un mondo bidimensionale per la politica monetaria solleva una serie di problemi, tra cui lo spazio di policy rate lontano dallo zero, l'uso di dot-plot, che rappresentano solo il tasso politico PR, per comunicare l'intento futuro della politica, e il potere predittivo del rendimento curva."

In tutti i casi, lo scenario più probabile a breve e medio termine è quello in cui i tassi di interesse e quelli offerti dal mercato obbligazionario restano sui livelli minimi per molti altri anni. Cosa implica questo nelle scelte di investimento?

L’aspetto più immediato è sui rendimenti attesi che tenderanno ulteriormente a scendere. Se si analizzano le performance annualizzate degli ultimi 10 anni (dal 14/6/2009 al 14/6/2019) e degli ultimi 5 (dal 14/6/2014 al 14/6/2019) degli indici Fideuram dei fondi comuni si nota come questa dinamica sia abbastanza evidente: il rendimento lordo annuo, ovvero al lordo delle spese annue correnti dei fondi, dei prodotti obbligazionari è passato dal 3,33% sui 10 anni al 2,01% sui 5 anni, quello dei bilanciati dal 5,56% al 4,0% e quello degli azionari dall’8,17% al 6,25%. Non si può sapere oggi quali saranno le performance dei prossimi 5 e 10 anni, ma sembra assai probabile che possano essere più vicine a quelle registrate negli ultimi 5 anni piuttosto che quelle relative agli ultimi 10 anni. Inoltre, viste le attuali valutazioni, con i principali indici azionari prossimi ai massimi di sempre e i rendimenti obbligazionari schiacciati sui minimi storici (con circa 12mila miliardi di bond in circolazione che hanno rendimento negativo) non è escluso che i rendimenti dei prossimi anni possano essere ancora meno generosi di quelli dell’ultimo lustro.

Leo Campagna 

22/7/2019 

 
 
 

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