"Solidificazione" degli investimenti: se non ora, quando?

Le tensioni macroeconomiche in raffreddamento, la nuova stagione di politiche monetarie accomodanti e le nomine alla Commissione EU e BCE offrono un contesto finanziario che potrebbe favorire gli investitori istituzionali: possibile sfruttare la congiuntura per continuare a offrire soluzioni solide anche in un contesto particolarmente "liquido"?

Niccolò De Rossi

Il 2018 è stato un anno difficile per i mercati finanziari e, di conseguenza, per moltissimi investitori. Quasi la totalità delle asset class tradizionalmente detenute all’interno dei portafogli ha segnato rendimenti negativi. In particolare i mercati azionari, dopo un primo semestre positivo, hanno visto annullare inesorabilmente il loro trend di crescita per chiudere l’anno con perdite a doppia cifra. Non è stato risparmiato nemmeno il mercato obbligazionario governativo. Se, da un lato, può essere infatti ormai considerato un’alternativa ai depositi bancari per tutti quei risparmiatori che non cercano rendimento ma solo un investimento altamente sicuro e, in molti casi, ricevono addirittura un rendimento negativo, dall’altro, per gli investitori professionali, i bassi tassi di interesse hanno creato numerosi problemi in termini di mancato rendimento all’interno delle loro asset allocation strategiche che, per molti, hanno ancora un peso importante sul totale investito. 

Di contro, il 2019 ha segnato un recupero generalizzato su tutti i listini, annullando in gran parte le perdite conseguite l’anno precedente e facendo segnare nuovi massimi per Wall Street, che non accenna a fermarsi. Il percorso di ripresa dei mercati finanziari sembra dunque intrapreso, anche se si scontra con una crescita economica, soprattutto europea, che risulta ancora sotto le aspettative.

Sul piano macroeconomico, ormai da qualche anno, nonostante una flebile ma consolidata ripresa dall’ultima crisi, l’evidenza mostra come le parole (in particolare quelle dei rappresentati dei vari governi) influenzino i mercati molto più che una variazione nei fondamentali delle economie, rendendo il quadro internazionale, e di conseguenza, le scelte di investimento più che volatili, altamente "liquide" e mutevoli. Ne sono una riprova tanto l’altalena dello spread durante il duello tra Commissione Europea e governo italiano dello scorso ottobre, quanto i ribassi azionari durante lo scontro commerciale tra USA e Cina (a colpi di cinguettii dai toni accesi), che sembra solo da poco aver trovato una fase di rasserenamento. 

In tale contesto non va poi dimenticato che negli anni un aiuto concreto è arrivato dalla politica monetaria espansiva messa in atto sia in Europa che in America, ancorando i tassi di interesse su livelli molto bassi, per supportare la dinamica inflattiva verso l’obiettivo target del 2%. A tal proposito, l’elezione dell’ex numero uno del FMI alla presidenza della BCE sembra essere apprezzata dai mercati, poiché con ogni probabilità confermerà, per i prossimi mesi, l’atteggiamento da “colomba” ribadita dal predecessore Mario Draghi. Nonostante un’economia mondiale e soprattutto un’inflazione in Europa che stentano a crescere, i positivi segnali macroeconomici di distensione tra USA e Cina e una politica monetaria accomodante rendono i prossimi mesi favorevoli, ma altamente liquidi e quindi volatili, per una solidificazione e innovazione degli investimenti degli investitori istituzionali, sempre più preparati a fare i conti con un contesto finanziario e geopolitico in rapida evoluzione.

Fondi pensione e Casse di Previdenza, come anche Fondazioni di origine Bancaria e Fondi sanitari, sono infatti chiamati, per la verità da più di qualche tempo, a confrontarsi con il percorso di maturazione sia sotto il profilo dei prodotti finanziari investiti sia sotto quello dello della sostenibilità, che viene riassunta nell’applicazione di strategie di investimento SRI e criteri ESG. Se per questi ultimi il timore più volte palesato è quello di prestare il fianco a una moda passeggera in realtà poco supportata da solide visioni di lungo periodo, l’entrata in vigore di IORP II ne costringe in ogni caso almeno la valutazione del rischio all’interno dei portafogli. Per la verità gli investitori istituzionali domestici, ben prima dell’entrata in vigore della normativa europea, hanno cominciato a investire e monitorare i risvolti di sostenibilità dei propri investimenti, come per altro stabilito nel D.lgs. 252/2005. Inoltre, numerose ricerche e analisi empiriche, testimoniano come l’adozione di iniziative a sostegno dell’ambiente, del buon governo d’impresa e della generazione di impatti sociali, aggiungano valore ai denari investiti. La crescita degli investitori previdenziali non può inoltre prescindere dalla presa di coscienza sul ruolo sociale che svolgeranno sulla base dei crescenti e mutati bisogni dei rispettivi iscritti. Maggiori impegni durante tutto l’arco di vita dei lavoratori in particolare attraverso interventi di welfare, e non solo più nella fase di quiescenza, richiedono soluzioni ed erogazioni di prestazioni solide. 

Il secondo tassello necessario alla graduale “solidificazione” degli investimenti è certamente quello del sostegno dell’economia reale del Paese. In primo luogo perché può essere visto, compatibilmente con i peculiari obiettivi di ciascun investitore e nel rispetto delle proprie platee di riferimento, come fonte di rendimento aggiuntivo a quello obbligazionario, ormai da anni poco remunerativo. In secondo luogo, c’è l’aspetto del sostegno al tessuto imprenditoriale domestico. L’Italia è infatti da sempre considerata un Paese ricco di PMI sì virtuose ma di dimensioni ancora ridotte se confrontate con quelle degli altri Paesi europei. Così, il tema del finanziamento alternativo al tradizionale canale bancario diventa sempre più sentito sia dalla politica che dagli investitori istituzionali stessi. Basti pensare che le piccole e medie imprese con meno di 49 dipendenti rappresentano più del 90% delle imprese attive in Italia e occupano oltre il 60% dei lavoratori italiani,  numeri non proprio trascurabili. Inoltre, le riforme sui requisiti di capitale per il sistema bancario hanno inevitabilmente impattato sulla loro attività creditizia rendendola molto più selettiva e capillare, facendo venir meno per molte piccole e medie imprese le risorse necessarie per svolgere la propria attività produttiva e soprattutto innovativa. 

Terzo punto, ma non meno importante e strettamente legato ai precedenti, è la dimensione ancora ridotta dell’investimento nei private markets in Italia. Pur avendo registrato una solida crescita negli ultimi anni, i volumi destinati a private equityprivate debt, infrastrutture e venture capitalsono ancora ridotti rispetto a quanto si registra a livello europeo e mondiale. Ciò consente però agli investitori istituzionali di avere a disposizione un mercato relativamente giovane e in forte espansione, offrendo di conseguenza numerose occasioni di investimento a sostegno delle PMI italiane. Strategia di investimento e orizzonte temporale devono essere inevitabilmente un po’ più lunghi (5/9 anni), non solo per la durata dei fondi alternativi che hanno caratteristiche tecniche che richiedono tempi più dilatati, ma perché si intraprende un vero e proprio percorso di supporto alle imprese. L’obiettivo non può limitarsi al solo finanziamento e ricerca di rendimento aggiuntivo: investire direttamente in piccole e medie imprese significa cambiarne e innovarne la strategia di business, portarle a quotazione per poter beneficiare di investimenti internazionali e attrarre talenti, in definitiva contribuire alla crescita dell’economia nazionale.

È allora chiaro che, sebbene il momento non sia dei migliori, soluzioni innovative e sostenibili hanno bisogno di coraggio e di sfruttare una congiuntura che tutto sommato potrebbe rivelarsi favorevole nei mesi avvenire. Trasformare un contesto liquido in promesse solide: se non ora, quando?

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

9/9/2019

 
 
 

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