Dopo 120 giorni il nulla

Se si vuole evitare che da una crisi sanitaria si passi a una crisi economica e sociale occorrono cure, cure, cure e test, test, test: l'analisi del Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Sudi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Alberto Brambilla

Quello che sconcerta a oltre 120 giorni dall'inizio dell'epidemia di COVID-19 è, da un lato, l’arroganza di quella che si autodefinisce "la scienza" e, dall'altro, l'assoluta infinita mancanza di soluzioni sanitarie, che pur esistono nella prima linea dei valorosi medici di corsia. Sentendoli ci si potrebbe chiedere se questi virologi, epidemiologi ed esperti di malattie infettive hanno studiato per dirci come ci dobbiamo comportare socialmente oppure per trovare rimedi alle malattie virali.

Ho indicato 120 giorni perché è assai probabile che nel 2019 la mortalità per malattie respiratorie (quasi 54mila in totale,di cui il 95% per persone con più di 65 anni.. che caso!) e in particolare per la polmonite, sia da attribuire a "un’ondata molto anomala" differente dalle normali polmoniti, tant'è che si sa - ma non esistono statistiche pubbliche - che una buona parte di queste è stata curata con tutti gli antibiotici possibili senza successo. E qui viene in mente la frase più scientifica che ho sentito in questa pandemia, quella della dottoressa Malara, anestesista e rianimatore in Codogno che alla domanda su come avesse fatto a scoprire SARS-CoV-2 ha risposto: "Se una normale polmonite non si riesce a curare con normali antibiotici, significa che la polmonite è anomala". Fatto il tampone, apparso il virus.

Siamo al 21 febbraio, ma già verso fine dicembre 2019 in alcuni ospedali, di Milano in primis, si verificava un enorme aumento di polmoniti anomale. E dov'erano gli scienziati? Alcuni di questi ci hanno messo 50 giorni per capire che non fosse una normale influenza. Stendiamo poi un velo pietoso sull'Organizzazione mondiale della Sanità, che non ne ha azzeccata una che sia una e pensare che il suo compito principale sarebbe quello di "sentinella delle epidemie"; qui i virus vincono facile: la pandemia è stata proclamata solo l'11 marzo!

Ma a proposito di sentinelle, torniamo ai nostri scienziati, quelli dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) o dell'AIFA e delle commissioni (tante, troppe) collegate, divenuti ormai star televisive, spesso in polemica tra loro: possibile che, sapendo da fine dicembre 2019 delle polmoniti anomale e vedendo quello che stava succedendo in Cina, non si siano allarmati? Non abbiano pensato a procurarsi mascherine, protezioni, ventilatori e a mettere in allerta il piano italiano anti-pandemie che pure c'è in qualche cassetto del Ministero? Ma la domanda ancora più importante è: come mai non siete riusciti a individuare il virus? E qui la risposta è drammatica: perché il virus, dicono, muta continuamente. Quindi, se il virus muta continuamente la scienza non può fare niente, è inutile; e infatti per nessuna delle recenti epidemie - dalla SARS alla MERS - è stato trovato il vaccino e neppure la cura. Ma allora, seconda domanda: se il virus muta sempre, a cosa serve il vaccino? Terza domanda: a furia di farci vaccinare ogni anno per l'influenza non è possibile che il nostro organismo si indebolisce e si riducono progressivamente le difese immunitarie naturali?

Sarebbe utile che la "scienza" rispondesse a questi interrogativi. Poi se riuscisse anche a approvare un protocollo di cura per i vari stadi della malattia usando le informazioni e le sperimentazioni di prima linea ed evitando - per quanto possibile - di intubare i malati, sarebbe un bel passo. Invece continuano a propinarci solo dubbi, ci incutono paure e spicosi dicendoci che il virus è terribile, i test non servono, forse ci si può riammalare (OMS), le mascherine sono inutili, i tamponi solo a quelli sintomatici prevedendo addirittura una terribile "seconda ondata". Certo, se ci indicassero una serie di esami per rassicurare lavoratori e popolazione, si potrebbe favorire una ripresa delle attività ed evitare che da problema sanitario si entri in una poco reversibile crisi economica; e la storia ci insegna che quando si entra nel tunnel della crisi anche la democrazia è a rischio. Su questo il governo dovrebbe ragionare evitando di inondarci di norme, obblighi e vincoli. Abbiamo necessità di protocolli di cura, non di protocolli da 23 pagine come quello siglato con i sindacati su come andare in bagno, ogni quanti secondi si può entrare in fabbrica, sul numero di cartelli da esporre sull'obbligo di indossare i guanti (ma non erano il principale veicolo d'infezione?), su come andare nello spogliatoio, in mensa e a farsi la doccia. Ma ci prendono tutti per scemi e incapaci di intendere e volere?

E che dire della regione Lombardia che ancora al 2 maggio proibisce alle aziende e ai privati di fare i tamponi o i test sierologici e se un ricoverato in una RSA ha più di 75 anni e se si ammala è vietato ospedalizzarlo: in pratica, una condanna a morte. Ancora oggi a gran parte del personale sanitario e nelle RSA non è stato fatto i tamponi. Manca tutto! Ci saranno buoni affari per le aziende farmaceutiche, per i consulenti sulla sicurezza del lavoro. Peccato che a perderci saranno le imprese, i lavoratori e tutti noi. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

11/5/2020

L'articolo è stato pubblicato su Libero Quotidiano del 9/5/2020
 
 
 

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