Il governo del sociale con i criteri delle aziende

Cosa accadrebbe se tutti gli Stati dell'Unione Europea (e non solo) si impegnassero a gestire i propri rapporti politici e commerciali nel rispetto di quei criteri ESG già in uso in ambito finanziario? Non solo profitto dunque, ma soprattutto scelte responsabili e più lungimiranti per il proprio Paese e il resto della comunità internazionale

Alberto Brambilla

Paesi che non rispettano i diritti civili e sociali, globalizzazione dei mercati, migrazioni, dazi, disoccupazione, aumento della spesa assistenziale e per il welfare, rischi per la coesione sociale, finanza socialmente responsabile e applicazione dei principi ESG. Che cosa hanno in comune tutte queste tematiche? Apparentemente nessuna ma, se ci pensiamo bene, tutti questi temi sono fortissimamente legati tra loro e l’adozione da parte dei governi di scelte politico-commerciali simili ai criteri ESG in uso per la valutazione degli investimenti farebbe fare un enorme salto di qualità al nostro modello sociale e di produzione. Imboccheremmo la “terza via”, quella del capitalismo sociale e solidale, un'evoluzione dei modelli capitalisti e socialisti nelle loro varie declinazioni.

Cosa sono i criteri ESG? In sigla Environmental, Social, Governance, rappresentano un metodo sempre più utilizzato nel settore degli investimenti finanziari per valutare l’impatto ambientale, sociale e di governance delle imprese nella gestione del loro business: il criterio consente di premiare con l’investimento solo le aziende che nello svolgimento della loro attività tutelano l’ambiente, rispettano i loro lavoratori, i fornitori e i clienti attraverso una gestione (la governance) socialmente responsabile, e non basata solo sul profitto. Se allargassimo la valutazione ESG non solo alle imprese ma anche ai governi dei vari Paesi che non rispettano l’ambiente, i diritti umani, i lavoratori e i loro cittadini, la società intera farebbe un enorme salto di qualità con vantaggi non solo per gli abitanti di quegli Stati che già li applicano, ma anche per quelli dei Paesi che subiscono la privazione di questi diritti. Se poi l’azione fosse condivisa da tutta la UE nei confronti delle nazioni con cui intraprendono robusti scambi commerciali, si risolverebbero anche gran parte dei problemi che abbiamo elencato, quali migrazioni, disoccupazione, spesa e coesione sociale.

Facciamo qualche esempio pratico. Nel mondo ci sono situazioni di gravi violazioni dei diritti e delle libertà civili e spesso, come accade in Birmania, Venezuela e Bielorussia (solo per citare qualche caso), a favore della “casta” dei militari o dei grandi proprietari terrieri o di vicini ingombranti, come lo è appunto la Russia per la Bielorussia. Più vicino a noi ci sono poi i casi della Libia, della Siria, dell'Iran,del Libano, ci sono poi gran parte dell’Africa subsahariana l’Afghanistan e la Turchia. La prima reazione delle popolazioni colpite da guerre civili o dittature è, dove possibile, spostarsi verso altri Paesi più sicuri e democratici provocando massicce migrazioni che, inesorabilmente, diventano il business dei mercanti di esseri umani e di organizzazioni criminali. Il risultato? Troppi morti nei “viaggi della speranza”, spoliazione di capitale umano in questi Paesi che quindi riprodurranno anche per le generazioni future miseria, ignoranza e povertà, ed enormi problemi di integrazione ed economici per le mete di approdo.

Ora è evidente che, soprattutto in una situazione di precarietà come quella attuale, compromessa dalla pandemia, anche un 2% di popolazione in più crea problemi viste le scarse risorse e l’altissima disoccupazione. Ben che vada i nuovi venuti finiscono di nuovo nelle grinfie delle associazioni criminali. Se invece la UE ma anche USA e Giappone, giusto per capirci, applicando i criteri ESG "politici” decidessero di non vendere più armamenti e rifornimenti a questi governi, sanzionando i patrimoni personali di questi dittatori e facessero lo stesso con i Paesi antidemocratici che vivono e fanno business con queste dittature (si veda l’emblematico caso della Somalia), le cose migliorerebbero molto. E forse quelle popolazioni, magari con l’aiuto delle Nazioni Unite, resterebbero (si veda la Siria). 

Qui arriviamo al problema della disoccupazione indotta anche da un'eccessiva globalizzazione e delocalizzazione che mina la coesione sociale e genera una enorme spesa assistenziale. E, guarda caso, i Paesi con i quali si fanno più affari, attratti dall’illusorio vantaggio economico (un profitto non ESG) sono quelli che generano migrazioni o che, impedendole, rendono privi di diritti civili e sociali molte donne, uomini e spessissimo anche i bambini. Dove andiamo a comprare i prodotti tessili e di abbigliamento? In Vietnam, Bangladesh, Birmania, Thailandia, Etiopia, Cina e Paesi dell’Est: non ce n'è uno democratico! Tutti che producono a basso costo perché inquinano e sfruttano la popolazione. Compreremo così anche bene - diciamo con un forte sconto rispetto a produrre da noi - ma poi? Poi spendiamo punti di PIL per la spesa assistenziale (114 miliardi nel 2019) creando nei nostri settori di punta elevati livelli di crisi e disoccupazione.

Non sarebbe meglio produrre da noi agevolando le operazioni di rientro di queste produzioni con vantaggi in termini di occupazione e diminuzione della spesa per sussidi? Possibile ad esempio che tutti gli strumenti per la salute - prova pressione, febbre, saturimetri, e così via - sono tutti cinesi? Inoltre, senza i nostri soldi questi governi antidemocratici non avrebbero le risorse per pagare le “caste” che li sostengono e per fornire armi ai Paesi che controllano, liberando così anche quelle popolazioni dal giogo dittatoriale. Prendiamo il caso della produzione di elettrodomestici che abbiamo appaltato alla Turchia, un Paese dove ogni giorno vengono brutalmente calpestate le libertà: con quale esito? L’Italia era il Paese del “bianco” e del “bruno” cioè degli elettrodomestici e ora c’è solo disoccupazione! Anziché mettere tutti in cassa integrazione, con i risvolti sociali e di illegalità che questa situazione produce, non sarebbe meglio riportare le produzioni in Italia favorendo qualità e occupazione? Faremmo un grande favore anche ai tantissimi turchi democratici mortificati da Erdogan, che invece rafforza il suo potere grazie ai nostri soldi.

Applicando i criteri ESG ai Paesi otterremmo risultati di gran lunga superiori rispetto alle sanzioni economiche. Se poi li abbinassimo alle sanzioni a carico dei dittatori, i risultati sarebbero ancora migliori. E perché non agire anche con i dazi sulle merci di questi Paesi? Il ricavato potrebbe essere messo in un “fondo ESG” per aiutare quelle popolazioni a uscire dalle dittature e dalla povertà, sostenendo soprattutto i bambini. Sanzionando gli Stati antidemocratici si ridurrebbero di molto i problemi delle migrazioni, della disoccupazione e della spesa pubblica con giovamento per la pace e la coesione sociale. Riflettiamo!

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

23/3/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Messaggero del 26/2/2021
 
 

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