Investimenti in economia reale: il contributo delle Casse di Previdenza

Tra gli investitori istituzionali italiani le Casse Privatizzate rappresentano uno dei player più attivi nel sostenere l’economia reale italiana, ma strumenti illiquidi ben si conciliano con la necessaria sostenibilità di lunghissimo periodo? Ne abbiamo parlato con Emilio Giorgi, Chief Risk Officer di Fondazione ENPAM

Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi

Con oltre 21 miliardi di attivi patrimoniali e più di 360.000 iscritti al 30 settembre 2018, l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza di Medici e Odontoiatri si colloca al primo posto nella classifica dimensionale delle Casse di Previdenza. Se in aggregato tali Enti investono buona parte del valore complessivo dei loro attivi in investimenti a favore dell’economia reale nazionale, con Emilio Giorgi, Chief Risk Officer di Fondazione ENPAM, abbiamo approfondito come questi sono stati inseriti nella politica di investimento della Cassa.

Le Casse di Previdenza sono caratterizzate dall’obbligo di sostenibilità di lungo periodo. Come avete conciliato tale vincolo attuariale con l’investimento in strumenti alternativi tipicamente illiquidi? 

Gli obiettivi di sostenibilità e solvibilità della Cassa vengono considerati nell’impostare lo schema di asset allocation – che distribuisce gli investimenti su diverse asset class per un certo orizzonte temporale – e definire l’approccio di ALM. La Fondazione ha optato per l’approccio di ALM denominato “Investimenti Guidati dalle Passività” (Liability Driven Investments – LDI)che valuta in maniera integrata i rischi degli investimenti non solo in termini di mercato, ma anche di copertura delle passività. La strategia prevede di ottimizzare la correlazione tra attivi e prestazioni perseguendo l’esposizione ai medesimi fattori di rischio e ricercando la migliore corrispondenza dei flussi a lungo termine, con una strategia di investimento a doppio portafoglio: uno investito in attivi i cui flussi vadano a coprire direttamente le prestazioni (senza premio per il rischio e neutro rispetto al mercato) e l’altro investito in soluzioni a premio, nella cui combinazione si ricerchi il massimo rendimento aggiustato per il rischio (data la propensione specifica e i limiti di budget) che garantisca gli equilibri di lungo termine.

In quest’ottica, che deriva dalla consapevolezza di gestire la mission previdenziale in uno schema aperto e con una durata di lunghissimo termine, investimenti illiquidi caratterizzati da elevata sostenibilità dei flussi di reddito a lungo termine (quali ad esempio gli attivi caratterizzati da limitato rischio controparte a lungo termine, gli investimenti infrastrutturali regolati o a concessione anche di tipo sociale, gli investimenti immobiliari corecon contratti di locazione a lungo termine e garanzie accessorie), risultano particolarmente adeguati alla politica di investimento della Cassa per entrambi i portafogli suddetti. La caratteristica di illiquidità, purché associata a un’elevata sostenibilità reddituale e basso rischio controparte, è pertanto idonea e anzi strumentale al rispetto dei cosiddetti vincoli attuariali.

In che modo avete diversificato, all’interno della vostra asset allocation, l’esposizione verso investimenti nell’economia reale e in che forma è effettuato l’investimento? 

Nello schema di asset allocation è rappresentata la macro classe real assets, che raggruppa gli investimenti immobiliari, sia diretti che tramite fondi, operativi su strategie prevalentemente core diversificate su direzionale, commerciale, sanitario, ma anche alimentare e turistico alberghiero solo per citarne alcune; sono presenti inoltre investimenti di tipo infrastrutturale operativi su molteplici settori. Ulteriori investimenti in economia reale sono individuabili in altre macro e micro classi, quali il credito alternativo (a supporto di molteplici settori produttivi) e il private equity/venture capital (attraverso FIA che investono anche in biotecnologie e healthcare). La Cassa detiene inoltre, sia direttamente che indirettamente, diverse partecipazioni che vanno dagli Enti Universitari-Ospedalieri alle grandi realtà produttive del Paese.

In definitiva, gli investimenti in economia reale italiana pesano per il 27,2% rispetto all’AUM totale. 

Poiché il finanziamento del tessuto imprenditoriale nazionale può essere incentivato sotto varie forme dai governi, ritenete sia necessario un confronto più puntuale con la politica per addivenire a soluzioni quanto più condivise? 

Sì, peraltro riteniamo il finanziamento del tessuto imprenditoriale solo un aspetto parziale dell’universo degli investimenti in economia reale affrontabili nel Paese, e il più rischioso per le Casse di Previdenza rispetto, ad esempio, agli investimenti infrastrutturali regolati o a concessione (ed anche di tipo sociale) e gli investimenti mission related. Inoltre la realizzazione di investimenti che impattano direttamente sulle professioni di riferimento è fondamentale, considerando soprattutto la possibilità di stabilire una relazione diretta tra investimento e contribuzione previdenziale marginale, che consente di influire sui flussi a lungo termine dello schema.

L’investimento in determinati strumenti richiede certamente una preparazione non solo degli organi decisionali, ma anche delle strutture interne dell’Ente. Ritenete che manchi ancora qualcosa agli investitori istituzionali italiani o c’è invece bisogno di un’ulteriore spinta da parte della politica? 

Premettendo che la Fondazione è all’avanguardia sulle tematiche di selezione e due diligence degli investimenti, favorisce processi di educazione permanente sia delle strutture che degli organi decisionali, promuove e implementa un approccio ALM lungimirante strumentale e finalizzato a garantire la propria sostenibilità e solvibilità a lungo termine, riteniamo che se la politica volesse coinvolgere maggiormente gli investitori istituzionali italiani e non, a investire nel Paese più di quanto già non facciano potrebbe considerare l’opportunità di aprire una consultazione permanente finalizzata, in un’ottica win win, a individuare adeguate, solide e durature partnership pubblico-private (con le connesse riforme strutturali). Il tutto tenendo conto sia delle peculiarità di ciascun investitore istituzionale sia delle caratteristiche proprie della mission istituzionale.

Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

12/12/2018

 
 

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