La povertà si riduce anche con l'invecchiamento attivo

Progetti a impatto sociale per fronteggiare in modo efficace e intelligente la sfida demografica e contrastare al tempo stesso la povertà economica e sociale migliorando la qualità della vita dell’intera comunità

Alberto Brambilla

Nel precedente articolo (si veda il Punto del 25/6/2018) trattando di povertà, abbiamo individuato nella povertà educativa e sociale uno dei maggiori vettori responsabili di tale situazione.

Ora se anziché guardare la scala sinistra delle età (quelle da 5 a 25/27 anni) come abbiamo fatto nella precedente analisi, ci volgiamo alla parte più a destra, cioè dai 57/60 anni in su, scopriamo che una parte consistente del problema povertà si può alleviare anche qui senza maggiori sussidi o riduzioni drastiche delle imposte, ma con la riduzione della povertà educativa e sociale nella terza e quarta età. Seguendo la teoria di Andrew Scott nel suo “The 100 year life”, l’arma vincente è di nuovo la “formazione continua”, il propellente dell’invecchiamento attivo che potrebbe compensare gli effetti problematici indotti dalla difficoltà nell’occupabilità degli over 57 e dalla transizione demografica (invecchiamento della popolazione).

La suddivisione classica della vita in tre fasi, apprendimento, lavoro e accumulazione e, infine, pensione e decumulo della ricchezza, verrà molto probabilmente sostituita da una vita a più fasi all’interno della quale l’apprendimento, il lavoro, la pensione si spezzetteranno in ulteriori momenti di vita. Probabile che tra i 50 anni e l’età della pensione siano utili momenti di studio e di riconversione del proprio sapere e delle proprie capacità lavorative, supportati da forme di sostegno al reddito finalizzate alla nuova occupazione. Si pensi alla età di quiescenza che potremmo suddividere in una prima fase da pensionato attivo che ancora lavora (già oggi oltre un milione di pensionati lavorano), poi una seconda fase di volontariato, viaggi e hobby e, infine, un’ultima fase in cui si le forze e la salute si riducono e si accede a residenze specifiche.

Occorre tuttavia un cambio di prospettiva delle politiche di welfare (non più erogazioni senza un minimo di assunzione di responsabilità di coloro che ne beneficiano) al fine di aumentare la “consapevolezza sociale”. Un invecchiamento attivo di questo genere (da lavoratore e da pensionato) potrebbe favorire un aumento della produttività e anche, in parte, un incremento indotto del tasso di occupazione. Coniugando, ad esempio, tempo libero e impegno sociale, si possono ottenere grandi risultati per i soggetti impegnati, per le finanze pubbliche, per l’ambiente e per la società in generale.


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Una persona di 60 e più anni che è totalmente inattiva e dispone di redditi limitati può incorrere in una serie di problemi psicologici o fisici, ma anche economici; se questa persona è assistita con, ad esempio, pensioni sociali, sussidi, integrazioni al reddito, ed è in buone condizioni di salute, può essere coinvolta, al pari di chi dispone di redditi più elevati, in politiche di invecchiamento attivo attraverso la formazione e una serie di attività di utilità sociale, anche parzialmente e diversamente retribuite. Una soluzione potrebbe essere quella di realizzare sia nei piccoli paesi sia nei quartieri delle grandi città dei “centri polifunzionali” composti di aree comuni (cucina, salone da pranzo, ambulatorio, lavanderia, sala ricreazione, ecc), mini appartamenti per singoli o coppie e locali per degenze diurne, notturne o temporanee. Questi centri, più o meno autogestiti, potrebbero essere utili a chi li vive e alla comunità; ad esempio, potrebbero raccogliere a una certa ora del giorno i cibi che diversamente non sarebbero più utilizzabili il giorno dopo (pane, preparati freschi, prodotti che i supermercati eliminano dagli scaffali, ecc) e utilizzarli per la loro alimentazione e quella di chi ha problemi economici e si rivolge alle mense pubbliche.

Ovviamente, come in economia, nessun pasto è gratis e quindi tutti coloro che ne beneficiano dovranno poi “restituire” qualcosa alla loro comunità: magari tenendo pulito il proprio quartiere attraverso la manutenzione delle aree verdi, far attraversare la strada ai bambini, vigilare che non ci siano spacciatori o delinquenti e così via. Ma potrebbero raccogliere anche i farmaci in scadenza e utilizzarli per loro stessi e per la comunità; e così molte altre attività.

Il solo fatto di mettere in comune una parte della loro vita con altre persone che non devono essere solo anziani, perché in questi centri potrebbero trovare spazio anche abitazioni per giovani coppie, di non sentirsi soli e inutili nella parte finale della esperienza umana, potrebbe migliorare di gran lunga la qualità della vita con notevoli vantaggi per la loro condizione psico-fisica. E tutto questo potrebbe riverberare grandi vantaggi per la collettività di prossimità (quartieri più puliti, decorosi, sicuri e più vivi), per le finanze pubbliche, per la spesa sanitaria e assistenziale e ridurrebbe in natura il livello di povertà.

Dicevamo che in cambio potrebbero ricevere una “diversa retribuzione” magari sotto forma di buoni vacanza, agevolazioni per i trasporti, cinema, teatri e così via. Potrebbero mettere a disposizione la loro esperienza per insegnare e fare dopo scuola a bimbi e studenti più maturi e ricevere loro stessi lezioni di sana alimentazione, stili di vita salutari, di medicina e altro. Insomma, un modo più efficace e intelligente per fronteggiare anche la sfida demografica e un’ulteriore dimostrazione che per ridurre la povertà e migliorare la qualità della vita non servono solo i soldi: questi progetti ad alto impatto sociale sono certamente più efficaci. Moltiplicate per 8.000 comuni e per 365 giorni l’anno i risparmi in termini di riduzione della spazzatura, dei rifiuti speciali (farmaci), della spesa per assistenza e mense agli indigenti e verranno cifre enormi. Se poi in questi centri si fa lotta alla povertà educativa e sociale (anche solo con l’esempio), la qualità del Paese migliorerà. È solo un esempio, perfettibile, aggiustabile ma utile a far ragionare che solo corresponsabilizzando le persone e coniugando diritti e doveri si possono ottenere risultati enormi e senza eccessivi costi.    

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

9/7/2018

 
 

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