L'inattuale proposta del segretario DEM

Il 13,07% dei contribuenti italiani versa da solo circa il 58,95% di tutta l'IRPEF, facendosi di fatto carico del finanziamento del welfare del Paese: giusto allora continuare ad appellarsi ai più "ricchi", trascurando del tutto i concetti di merito e dovere, quando si cercano risorse per appianare le disuguaglianze sociali? 

Alberto Brambilla

La proposta del segretario DEM di introdurre una dote per i diciottenni al fine di ridurre le disuguaglianze e aiutare la fantomatica "generazione COVID" iper danneggiata dalla crisi pandemica - da finanziare con l'aumento della tassa di successione per i patrimoni che superano il milione di euro con la progressività per raggiungere, sopra i 5 milioni, un'aliquota fino al 20% - ha scatenato una serie di reazioni, la più decisa delle quali l’ha pronunciata il Presidente del Consiglio Mario Draghi. Incidente concluso? No, il segretario del PD rilancia con quelli di LeU e parte dei M5S una proposta che non è né ingenua né onesta ma suona sempre a solita musica: i soldi si prendono dove ci sono. Se poi chi li ha fatti ha faticato dieci volte di più rispetto a chi li prende, non importa nulla.

Quello che stupisce di più sono è però forse l’assenza di qualsiasi considerazione critica nei dibattiti politici così come nei salotti dei talk show nei quali se ne è discusso. Innanzitutto, tutti se la prendono con i cosiddetti “ricchi” come a dire che se hai avuto successo sei colpevole per il solo fatto di essere riuscito e pagare una quantità di tassa superiori alla media non ti assolve. Un concetto pericolosissimo perché va nella direzione opposta al premiare il merito. In secondo luogo, l’intero impianto della proposta si basa solo sul concetto di diritti, mentre i doveri diventano optional che si possono anche trascurare. Indagare perché e per quali motivi ci sono 36,5 milioni di persone in età da lavoro e solo 23 milioni di lavoratori che mettono l’Italia all’ultimo posto dei 28 Paesi per tasso di occupazione, con una distanza abissale rispetto ai migliori, non interessa; così come non interessa neppure perché il Paese detenga il record dei NEET. Senza i doveri non ci sono diritti: tanto per fare un esempio, se una sanità non funziona perché pochi fanno il loro dovere, il diritto alla salute è negato.

Non solo, politici e partecipanti ai dibattiti televisivi forse non conoscono, o fingono di non sapere, quale sia la situazione italiana e quanto sia enorme la redistribuzione che già oggi avviene per finanziare l’eccessivo assistenzialismo: un "metadone sociale" che limita, anziché aumentare lo sviluppo. Solo doveri, merito e abnegazione fanno un Paese forte! Nel secondo Dopoguerra non avevamo doti a 18 anni  ma si andava al lavoro a 14 anni, magari studiando di sera e facendo anche secondi impieghi pur di riuscire a dare un minimo di benessere alla propria famiglia e le condizioni di allora erano molto peggio di quelle di oggi: altro che disuguaglianze! Altro che ascensore sociale bloccato! Funzionava, eccome! Bastava impegnarsi, in condizioni peraltro più sfavorevoli di quelle attuali. 

E qual è la situazione dei giorni nostri? In primis, basta pensare a chi paga le tasse: i contribuenti delle fasce di reddito lordo annuo da zero o negativi fino a 7.500 euro e da 7.500 euro a 15mila euro sono 18.156.997, pari al 43,88% del totale, cui corrispondono 26,490 milioni di abitanti (rapporto tra abitanti e dichiaranti). Versano il 2,42% di tutta l’IRPEF, pari a 4,15 miliardi di euro (meno di 32 euro a testa, 22 considerando i cittadini) e - si suppone - anche pochissimi contributi sociali, per cui con molte probabilità saranno dei futuri anziani assistiti. Quelli tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito lordo sono 5,724 milioni, versano il 6,56% dell’IRPEF totale, pari a 11,255 miliardi, e un'imposta media di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per cittadino: un importo ancora insufficiente a coprire per intero anche il solo costo pro capite della spesa sanitaria (1.886,51 euro). Questi primi 3 scaglioni di reddito, che rappresentano circa il 60% della popolazione, versano 15 miliardi di IRPEF (l’8,98% del totale) e sono quindi a quasi totale carico di altri cittadini. Il grosso del carico fiscale grava invece sul 13,07% dei contribuenti con redditi da 35mila euro in su, che versano circa il 58,95% di tutta l’IRPEF e che non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sconti, agevolazioni, detrazioni e deduzioni. Insomma, il 57, 72% è a totale carico, un 29,21% è quasi autosufficiente e tutto pesa sul 13,07%, cioè sulle spalle di poco più di 5,5 milioni di contribuenti su oltre 41 milioni. Per garantire a questo 60% circa di cittadini i servizi sanitari occorrono 50,325 miliardi; per l’assistenza occorrono altri 70,07 miliardi, mentre per l’istruzione altri 53,89 MLD. Per queste sole tre funzioni, seppur di rilevante importo, la ridistribuzione totale è pari a 174,28 miliardi, cioè più dell’intero gettito IRPEF.

Risulta davvero credibile in un Paese che per il gioco d’azzardo spende ogni anno oltre 120 miliardi - per non parlare delle spese per animali da compagnia, alcol o tossico dipendenze (siamo nei primi 10 posti della classifica) - un così basso numero di paganti e una così alta redistribuzione? Non è che la gran parte dell’evasione contributiva ed elusione fiscale italiane sia da ricercarsi anche nel fatto che più tasse si pagano meno servizi pubblici si ricevono, mentre meno tasse si pagano e maggiori sono le prestazioni sociali e i servizi ricevuti da Stato, Regioni e comuni? E non è che nel continuare a parlare di disuguaglianze, di redistribuzione e di far piangere i ricchi, anziché di merito e doveri, si perpetui la situazione in cui l’Italia resterà il fanalino di coda per occupazione, competitività e sviluppo? E, infine, chi stabilirà se l’erede cui tassare il lascito del padre sia o meno un cretino, mentre il beneficiario della “dote Letta” sia o meno meritevole?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

7/6/2021

L'articolo è stato pubblicato su La Verità del 31/5/2021
 
 

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